Un occhio al mondo
Per capire fino in fondo l’importanza del cambiamento e della riconquista della ‘sovranità umana’ occorre capire come cambiare se stessi comprendendo il mondo. La ‘vera’ globalizzazione che unisce tutti i paesi esistenti, e’ una malattia per la quale ciò che si fa spensieratamente a casa propria, provoca sofferenza altrove, in posti cosi lontani da non vederli ne con gli occhi ne con il cuore. A questo proposito ho scelto di parlare di un paese africano riportando tra virgolette alcuni passi di un articolo pubblicato da Unimondo il 10 aprile scorso.
“Un Paese definito uno “scandalo” per la quantità di ricchezze presenti nel suo sottosuolo, dall’oro ai diamanti, dal rame allo stagno, dal cobalto al manganese, che lo configurano come uno dei più ricchi al mondo dal punto di visto minerario e geologico ma al contempo agli ultimi posti dell’Indice di sviluppo umano, tra i più poveri del pianeta, come condizioni di vita della popolazione”. Il Congo: un paese-icona dello sfruttamento operato dal sistema capitalista. Immense ricchezze minerarie e un popolo estremamente povero e affamato; sembra un ossimoro, in realtà e’ un cliché replicato in tutto il sud del mondo.
Di queste risorse che l’uomo capitalizza in ricchezze, cito il Coltan….perché chi in mano, chi in tasca, chi all’orecchio, chi sulla scrivania, chiunque sta usando il coltan in questo momento e ogni giorno. Con il coltan vengono prodotti i cellulari, i computer e il tablet dal quale sto scrivendo. Il coltan, indispensabile alla tecnologia, e’ una maledizione per i congolesi che vengono sfruttati e mantenuti in uno stato di estrema miseria per poter essere schiavizzati senza complicazioni.
“L’estrazione e il traffico illegali del coltan nelle regioni orientali della RD Congo, in Kivu, dove si trova l’80% delle riserve mondiali, hanno determinato l’invasione di eserciti stranieri, la formazione di milizie armate e incontrollate, la creazione di masse di profughi in fuga, l’orrore di stupri di massa, saccheggi e distruzioni di ogni genere, spesso compiuti da ragazzini armati. Proprio i bambini sono doppiamente vittime del conflitto, dalla parte dei carnefici all’interno delle milizie, o costretti dalla povertà estrema a lavorare nelle miniere di coltan a cielo aperto e senza alcun tipo di protezione. Il coltan si presenta come una sabbia nera, inalabile e soprattutto radiattiva, o, “leggermente radioattiva come preferiscono dire le multinazionali”. Le asfissie e gli incidenti legati al crollo delle gallerie sono all’ordine del giorno così come la realtà di centinaia di migliaia di ragazzi che muoiono di tumore o di malattie respiratorie. Nondimeno le colline verdeggianti del Kivu, sono state scavate senza alcun ordine o accortezza, elemento che ha determinato il sicuro inquinamento delle falde acquifere”.
Lo sciacallaggio portato avanti dai paesi limitrofi che rivendono il Coltan la cui richiesta e’ in continuo aumento da parte delle multinazionali, ha costretto questo popolo alla morte e alla miseria, in una guerra che dopo la seconda guerra mondiale, viene considerata la più sanguinaria e che viene alimentata dalla corruzione e dagli interessi economici.
E’ chiaro che occorre avere coscienza e lottare per la pace, anche per questo paese che muore atrocemente per quella stessa tecnologia che viene considerata un traguardo dell’evoluzione umana, un successo che ha portato benessere e ha contribuito a evolvere l’uomo più velocemente di quanto non fosse accaduto in milioni di anni. Forse per quella parte di umanità che può accedere al suo utilizzo, anche se a caro prezzo e a discapito di molti diritti naturali. Ma non certo per chi viene sacrificato in nome del profitto.
Un gruppo di ingegneri di Amsterdam ha progettato il Fairphone cioè un telefono cellulare che funziona senza l’utilizzo del Coltan: una forma di tecnologia sicuramente molto più etica e responsabile. Non esiste un prodotto industriale totalmente etico ma sicuramente e’ possibile iniziare a fare scelte consapevoli cominciando dal carrello della spesa e dagli oggetti utilizzati ogni giorno e che diventano ‘indispensabili’ a causa dei bisogni indotti. Si può fare politica e buona economia, esercitando un potere enorme che è quello di gestire gli acquisti il più coscienziosamente possibile; cercando gli effetti della produzione di ciò che si compra e si consuma; cercando la verità celata dietro ogni “libretto delle istruzioni” e ogni “etichetta”. Se si avesse coscienza del potere che ha il consumatore di far svanire il McDonald o la Coca-Cola in un batter di ciglia, semplicemente smettendo di acquistarne i prodotti, si potrebbe arrivare a organizzare una ribellione totale al sistema partendo dai gesti più semplici di ogni giorno dal mangiare al vestire al muoversi, senza bisogno di grandi e dispendiose organizzazioni; sopratutto sarebbe efficace totalmente. Questo potrebbe essere, oppure è, lo scopo principale di un imperterrita e costante divulgazione culturale; una coraggiosa e infallibile rieducazione sociale.
Il consumatore non ha nessun potere di influenzare l’occupazione commerciale di un Paese. La tipologia dei consumi viene imposta da chi detiene i mezzi di produzione e dalle “non” regole del mercato.
Chi va a fare la spesa in un discount tedesco o acquista i mobili in un mobilificio svedese o pranza in un fast food americano, lo fa solo perché sono quelli i luoghi che il suo stipendio gli permette di frequentare.
La sovranità individuale non esiste, o se esiste è uno strumento del globalismo e del liberismo ed è figlia della loro propaganda individualistica.
Esiste solo una Sovranità ed è quella Costituzionale che è collettiva ed espressione del popolo e quindi della comunità-Stato.
Il nostro dovere non è quello di fare i consumatori disobbendienti, ma quello di tornare ad essere cittadini riconquistando la nostra sovranità come popolo attraverso un percorso ESCLUSIVAMENTE POLITICO.
Il nostro unico dovere è costruire un partito politico.
Concordo con Andrea. Talvolta i membri di un popolo devono iniziare una lunga e sanguinosa guerra civile, essere disposti a sacrificare centinaia di migliaia o addirittura qualche milione di vite umane, dimostrare di essere in grado di generare partiti di alto livello, che a loro volta tirino fuori una elevata classe dirigente.
Se i membri del popolo, anche i milioni di membri superiori per volontà e coraggio, non sono disposti a sacrificarsi, a costruire, a tenere duro pazientemente per offrire uno Stato serio (magari con mille difetti) ai loro figli, allora non c’è niente da fare. Bisognerà attendere un’altra generazione e poi magari un’altra ancora e così via, fino a quando una generazione sarà capace di vivere sacrificandosi. Questo è ciò che insegna la storia.
Quando ai consumatori nostrani, in qualità di cittadini prendano il potere nel nostro paese ed esercitino una egemonia, anziché gingischiare con pseudo-battaglie moralistiche prive di effettualità.
“Gingischiare in pseudo-battaglie moraliste? “Quindi mi stai dicendo che è giusto sollazzare nel sistema finché non c’è la rivoluzione armata? Che è inutile fare resistenza al sistema cercando di non piegarsi ai Monopoli radicali aspettando il partito liberatore? Vado intanto alk Ikea che ci sono i saldi tanto domani faremo la rivoluzione? Che la divulgazione culturale per risvegliare le coscienze è un inutile strumento in vista dei milioni di vite umane per te giustamente sacrificabili alla causa? wow……
La rivoluzione armata fatta bene la devono fare in Congo, al più, non la dobbiamo fare noi in Italia.
La resistenza individuale è sempre necessaria, ma è individuale, appunto. Tuttavia è evidente che i monopoli,come tu li chiami, possono sparire o mutare forma soltanto se la politica li fa sparire o fa mutare ad essi forma, quindi la lotta contro i monopoli,ossia l’attacco ai monopoli, ha necessariamente natura politica. Il singolo può imparare a lavorare il legno ed evitare di andare da Ikea,altrimenti, causa magro stipendio, sarà costretto ad andarci, esclusi i bravi commercianti che fanno ottimi acquisti al mercato dell’usato. Ma questa resistenza e altre forme simili sono individuali. Ognuno può praticarle e farlo in forme diverse. Servono a non essere travolti, a costruirsi uno spazio proprio. La divulgazione di queste forme di resistenza, proprio perché non aspirano a colpire il nemico o lo fanno ingenuamente, non è politica. Chi invita a queste forme di resistenza fa un discorso morale o forse meglio spirituale, non politico. Come “forme di lotta” sono simboliche, ossia non reali. Non sono forme di lotta politica. Sono atti che esprimono una posizione morale. Credo che la storia non offra nemmeno un caso di presa del potere, di rivoluzione o di grandi riforme o di combiamenti derivati da simili lotte simboliche, ossia non lotte.
Per quanto mi riguarda ne faccio mille di queste battaglie (salvo un goccio del2003,non bevo coca cola dal1987, né la bevono i miei figli, per recare un esempio) ma non le propagando, né aderisco a “campagne” collettive, perché credo che per oltre venti anni alcuni settori politici hanno confuso la lotta politica vera con la lotta simbolica (valicare la linea rossa, per intenderci), ossia con una non lotta, una finta lotta.
Al di là delle posizioni legittime o meno cerchiamo di evitare termini che possano creare fraintendimenti, grazie. A torto o ragione Ivana a dato una mano concreta ad ARS Liguria nell’organizzazione dell’evento del ponente e questo è ciò che conta per “noi”. Un saluto a tutti voi.
Non è una “finta” lotta ma una “diversa” lotta che non esclude quella politica al limite la arricchisce. In Congo certo devono fare la rivoluzione e noi avere più coscienza etica di ciò che acquistiamo. La storia ognuno la guarda come vuole e ne studia gli aspetti che gli sono più consoni. Altri infatti nella storia hanno operato dei cambiamenti con il risveglio delle coscienze e ripeto questo non esclude ne ostacola quella politica. Non per forza deve essere una replica agli errori di altri ma etica e morale non sono sacrificabili perché fondamentali alla dignità umana.