“Io pago in contanti”: in Veneto campagna del FSI-Riconquistare l’Italia a sostegno del pagamento in contanti
di LEONARDO ZOCCA (FSI-Riconquistare l’Italia Vicenza)
Siamo di fronte ad una grande campagna promossa dal governo per incrementare l’uso dei pagamenti elettronici. Una campagna che era già in atto da qualche anno ma che ora, in occasione dell’emergenza sanitaria, ha raggiunto il suo apice. Oltre ai soliti strumenti di persuasione, ora il governo ha deciso di stanziare risorse pubbliche di bilancio. Di recente, i titoli degli articoli dei principali giornali italiani usano con frequenza l’espressione “lotta al contante”, suggerendo un’identità tra contante e evasione fiscale.
Questa campagna governativa si inserisce nel più ampio contesto della promozione della digitalizzazione dei rapporti sociali. Dal mondo del lavoro, con la promozione del lavoro da casa, a quello del rapporto cittadino-pubblica amministrazione, a quello del cosiddetto tempo libero, le relazioni faccia a faccia sembrano essere l’aspetto della vita sociale che si è deciso di sacrificare per primo in termini di restrizioni alla libertà e per ragioni sanitarie. Il lavoro, il rapporto con gli enti pubblici, il tempo libero, sono oggi sempre più vissuti a distanza, con modalità telematiche. La questione di fondo è la sacralizzazione della tecnologia digitale, che offre sostegno a tutti gli altri argomenti secondari. Tuttavia, come già scriveva l’autore francese Jacques Ellul, non è la tecnologia il problema, quanto, piuttosto, la sua trasformazione in idolo da venerare.
In termini concreti la “lotta al contante” avvantaggia chiaramente le banche. Punisce invece, in termini di commissioni sulle operazioni, in particolare, il piccolo commercio e la piccola ristorazione (per la grande mole di micro-pagamenti). Punisce in via indiretta anche i comuni cittadini, che si troveranno probabilmente a pagare prezzi più alti, dopo che i piccoli imprenditori avranno deciso di proteggere il loro margine di guadagno dalle commissioni bancarie. Tuttavia, i comini cittadini sono già stati “puniti” con la decisione del governo di destinare diversi miliardi di euro di fondi pubblici alla promozione dei pagamenti digitali. Una somma che, in tempi di vacche magre come quelli attuali, avrebbe potuto (e dovuto) essere destinata alla scuola o alla salute.
La generalizzazione dei pagamenti elettronici finisce col rendere tracciabili tutte le transazioni commerciali di tutti i cittadini, non solo a fini di verifica fiscale, ma anche a scopo di profilazione commerciale (oggi) e a scopo di sorveglianza e repressione politica (domani, in caso ce ne fosse bisogno).
Lo scambio commerciale tra l’offerta di un servizio (apparentemente) gratuito da un lato e la cessione di dati personali dall’altro ha generato colossi come Google e Facebook. Si tratta di uno scambio che ha dimostrato essere estremamente vantaggioso per chi acquista i dati. La maggioranza degli utenti invece è ancora convinta di poter usufruire di un servizio in cambio di nulla. Tra i vari tipi di dati personali disponibili grazie alle nuove tecnologie (geolocalizzazione, comandi vocali, dati biometrici…) ai fini della profilazione commerciale, quelli ricavabili dai pagamenti elettronici sono di gran lunga i più preziosi. Si capisce allora come la generalizzazione dei pagamenti elettronici aumenterà la capacità di personalizzazione dei messaggi pubblicitari e la loro forza persuasiva, estendendola anche a fasce di popolazione finora estranee a questo processo.
Con la generalizzazione dei pagamenti elettronici la titolarità di un contratto di conto corrente diventerà, ancor più rispetto ad oggi, un requisito essenziale per la vita sociale dei cittadini. Le banche si troveranno così ad erogare un servizio pubblico essenziale in regime di diritto privato. La regolamentazione pubblica del regime giuridico bancario, nata a tutela dei cittadini, ha già dimostrato la sua scarsa efficacia con le disastrose gestioni degli ultimi anni (Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Monte dei Paschi di Siena, Banca Etruria tra tutte), per non parlare di quanto accaduto con la crisi finanziaria del 2008-2009. I grandi gruppi bancari nostrani, da quando sono stati considerati “too big to fail” – troppo grandi per poter essere lasciati fallire – sono legati a doppio filo allo Stato italiano. Grandissima sarà allora la tentazione di prelevare risorse finanziarie dalla collettività senza dover applicare l’etichetta odiosa di “tasse”. Alcuni esempi possono essere l’aumento generalizzato delle spese di tenuta del conto corrente o l’applicazione ad esso di tassi di interesse negativi.
Ai nostri detrattori sia chiara una cosa: con questa campagna noi non strizziamo l’occhio all’evasione fiscale. L’evasione in sé e per sé è un fenomeno negativo. Essere favorevoli al contante non significa legittimare l’evasione, anche se è esattamente questo il messaggio proposto dai media.
Il tema dell’evasione deve condurre direttamente a quello dell’equità del nostro fisco, ovvero allo studio di quale sia stata l’effettiva evoluzione fiscale italiana negli ultimi trent’anni: i “piccoli” hanno visto la loro aliquota fiscale reale aumentata anche in assenza di modifiche sull’aliquota nominale, per effetto della rimodulazione di detrazioni e deduzioni mentre i “grandi”, grazie alla revoca dei controlli sulla circolazione dei capitali, trasferendo gli utili in Stati a fiscalità particolarmente vantaggiosa, hanno visto al contrario la loro aliquota fiscale reale diminuita anche in assenza di modifiche sull’aliquota nominale.
C’è dunque l’evasione di sopravvivenza dei piccoli e c’è l’evasione a norma di legge dei grandi. Questa sì è una situazione che richiederebbe l’intervento correttivo del governo! Ma non saranno certo loro a prendersi cura della sorte dei cittadini a basso reddito o dei piccoli imprenditori; toccherà a noi, a prescindere da come finirà questa fantomatica “lotta al contante”.
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