di ANTONIO MARRAPODI (FSI-Riconquistare l’Italia Reggio Calabria)
L’esperienza del secondo dopoguerra ci insegna che solo un regime di repressione finanziaria permette di ridurre il rapporto debito/Pil mantenendo i tassi di interesse al di sotto del tasso di crescita dell’economia. È evidente quindi che né il tasso di interesse né il tasso di crescita del Pil possono essere guidati dai meccanismi di libero mercato ma devono diventare variabili POLITICHE. E, in un certo senso, lo sono già oggi. Pensiamo agli spread tra i tassi di interesse europei: sono ormai sottratti alle logiche dei mercati finanziari grazie al rigido controllo politico esercitato dalla BCE.
Per questo motivo si registrano tassi vicino allo zero nonostante livelli record di debito pubblico. Insomma, l’Ue sopravvivrà finché manterrà sospese le sue regole fondanti. Purtroppo, però, rispetto al secondo dopoguerra, tutto ciò oggi non è accompagnato – come previsto dalla nostra Carta costituzionale – da politiche orientate al lavoro basate sulla crescita dei salari che, al “prezzo” di una moderata inflazione, farebbero crescere il Pil nominale contribuendo quindi a ridurre il rapporto debito/Pil.
Ci si riferisce a quel modello di sviluppo grazie al quale ci siamo rialzati dalle macerie di un conflitto rovinosamente perduto e che, dagli anni ’80, è stato progressivamente e tacitamente abrogato da una classe politica prona a diktat di attori stranieri. Solo così è stato possibile distruggere il futuro dei giovani, e quindi dell’Italia, tramite austerità, disoccupazione e precarizzazione del mercato del lavoro.
Tutti (dis)valori che, stando alla base dei Trattati europei, sono stati portati avanti con consenso bipartisan negli ultimi 30 anni. Il dramma è che questi ragionamenti sono estranei alla attuale classe politica il cui orizzonte temporale è orientato a stabilire il numero massimo di partecipanti all’imminente cenone di Natale.
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