Il sovranismo filosofico di Costanzo Preve
Pubblico un breve saggio che avevo scritto qualche anno fa in occasione di un progetto editoriale poi abortito
di SIMONE GARILLI (FSI-Riconquistare l’Italia Mantova)
Questo saggio non ambisce ad una ricostruzione dell’articolata filosofia di Costanzo Preve. L’opera del professore torinese sarà filtrata in modo da restituire un contributo filosofico di prim’ordine sul tema della sovranità nazionale e della sua legittimità come principio ispiratore dell’azione politica, oggi.
Chiariamo prima di tutto i termini della questione, a partire dalle definizioni che ci suggerisce lo stesso Preve.
Posto che la sovranità nazionale è senza dubbio uno dei principi ispiratori dell’azione politica nell’età moderna, è bene distinguere a livello logico i principi politici da quelli filosofici. I primi devono la loro stessa esistenza nel campo delle idee alle strutture sociali e culturali che caratterizzano l’epoca storica di riferimento. Se sono anche solo astrattamente pensabili è perché lo consentono le griglie concettuali entro cui si svolge il pensiero. Un uomo dell’antichità non pensava come un uomo del Medioevo, il quale a sua volta non pensava come pensa l’uomo moderno. La validità universale e trans-storica appartiene invece ai soli principi filosofici, strettamente legati alla natura specifica dell’animale uomo.
Per sovranità nazionale si intende dunque la sovranità degli Stati nazione generati da un processo secolare culminato nella maggior parte dei casi nei secoli XIX e XX. Il termine ‘nazione’, in effetti, copre un campo di significati ben più ampio e il suo etimo riporta al latino ‘natio’, che significa ‘nascita’, a richiamare l’importanza del territorio in cui si vive e si costruisce una storia e una cultura comuni. Vi è quindi nazione anche senza lo Stato moderno e le sue istituzioni, e non sono necessari particolari requisiti dimensionali o politici.
Indipendentemente dai risultati storici prodotti nella società, nella cultura e nella politica da un determinato principio politico, è possibile dare di esso un giudizio di valore. Si tratta, nel linguaggio filosofico di Preve, di accertarne il contenuto di Verità trans-storico, cioè ontologico. In termini pratici, se si esclude un orizzonte storico governato dalla Provvidenza e una teleologia – sia essa declinata in senso religioso (Dio) o laico (storicismo marxista, progressismo liberale) – è ovvio che la dimensione ontologica di un principio politico non è riducibile al successo o all’insuccesso contingente (e per contingente non si intende l’orizzonte di una vita umana, ma di un’epoca storica, che ha tempi anche molto diversi).
Ciò premesso, si capirà perché questo breve saggio è diviso in due parti: nella prima tenterò di isolare dal principio politico del sovranismo nazionale moderno il suo valore ontologico. Per farlo mi servirò del principio filosofico che è alla base dell’intera opera previana: il comunitarismo, liberato dai lacciuoli ideologici che lo imprigionano nella nostra epoca. Nella seconda parte riporterò il comunitarismo filosofico di Preve al panorama politico del nostro tempo. Tenterò quindi di dimostrare come, secondo il filosofo torinese, il principio filosofico del comunitarismo coincida, oggi, con il principio politico del sovranismo nazionale.
Comunità e comunitarismo
La cura che Costanzo Preve ha riservato al principio del comunitarismo risponde ad una sola ragione filosofica di fondo: l’esistenza della Natura Umana. La filosofia moderna tende a negare la validità di alcune caratteristiche ontologiche della specie umana, e si divide tra un “relativismo storico e sociologico assoluto che identifica la natura umana con la configurazione storica data dai rapporti sociali dominanti” e un “biologismo riduzionistico, per cui la cosiddetta natura umana è interamente ricavabile dalle conoscenze della biologia e della genetica”[1]. Preve riprende invece le tradizioni aristotelica e marxiana, completandole a vicenda. Se l’uomo è con Aristotele ‘animale sociale, politico e comunitario’ (politikòn zoon) dotato di ragione, linguaggio e capacità di calcolo sociale (zoon logon echon), è anche con Marx ‘ente naturale generico’ (Gattungswesen), laddove con generico si intende la capacità esclusiva “di produrre consapevolmente e con intenzione forme di produzione e di convivenza comunitaria differenti”[2]; ciò che lo distanzia da tutte le altre forme viventi governate più semplicemente dall’istinto e dal corredo genetico sottostante. Per l’uomo la forma di vita razionale e comunitaria è quindi innata, sebbene possa articolarsi dal punto di vista culturale, sociale e istituzionale in maniera imprevedibile. Costanzo Preve non ha mai escluso l’ipotesi di una costruzione sociale tanto alienante e oppressiva da negare irreversibilmente la natura umana comunitaria e razionale. Non a caso ha scritto a più riprese del rischio di una “mutazione antropologica” indotta dal meccanismo impersonale del capitalismo, almeno nella sua fase “pura”, in cui ci troviamo. Ha sempre dato per scontato, però, che la natura umana farà resistenza, vendendo cara la pelle. Si tratta allora di capire come organizzare questa resistenza e da dove partire, oggi.
La risposta di Preve ci interessa da vicino. Secondo il filosofo torinese “oggi le idee veramente incompatibili con la riproduzione capitalistica sono tutte connesse con il recupero della sovranità nazionale (economica, politica, militare), dunque deglobalizzazione, sovranità nazionale e riorientamento geopolitico”[3]. Il principio filosofico del comunitarismo si salda quindi con il principio politico della sovranità nazionale. Vediamo dunque di definire con rigore il comunitarismo che esce dalle pagine del nostro filosofo.
La Comunità di Preve non è, come credono molti dei suoi superficiali detrattori, un tutto organico, nel quale l’individuo viene sacrificato al collettivo, e dove le positive libertà introdotte dalle rivoluzioni “borghesi” (su tutte le libertà di pensiero e di parola) sono negate da uno Stato etico repressivo e totalitario. Al contrario, vi è un dialogo serrato tra due poli che si alimentano reciprocamente: Comunità e Libera Individualità. In altri termini, “questa etica sociale comunitaria non è assolutamente ostile all’individuo e alla sua fioritura esistenziale, artistica, filosofica e anche economica, ma è incompatibile solo con l’idea che la convivenza umana derivi da una rete di rapporti fra atomi sociali considerati originari, ossia fin dall’inizio preliminari e primari rispetto alla convivenza stessa”[4]. L’individuo, infatti, “non è solo il profilo dell’imprenditore capitalistico che trasforma la socialità umana in un sistema dell’egoismo relazionale, ma è soprattutto il titolare della libertà di coscienza, nonché l’unità minima di resistenza al potere”[5].
Per meglio precisare i connotati del comunitarismo previano utilizzerò un metodo contrastivo: come non si deve articolare il comunitarismo se si intende valorizzarne il contenuto universale.
Innanzitutto, il comunitarismo di Preve non è marxista né comunista. Non è marxista perché il marxismo, lungi dall’essere la lineare declinazione politica delle teorie di Karl Marx – già di loro non coerenti né sistematiche – è invece una costruzione ideologica messa a disposizione di una classe sociale subalterna e non intermodale (cioè non in grado di transitare autonomamente da un modo di produzione ad un altro). In questo senso Preve afferma che il marxismo è “una forma di positivismo per poveri, [il quale] non poteva che mutuare dalla sua stessa natura sociale tutti gli elementi teorici di subalternità tipici appunto delle classi dominate”[6]. Non è la sede dove richiamare questi elementi di subalternità, basti considerarne gli effetti politici negativi che secondo Preve sono stati prodotti nella realtà storica del comunismo, sovietico in particolare. Il comunismo storico, in tal senso, “è stato una (generosa) patologia tanto del comunitarismo quanto dell’individualismo, ma soprattutto del secondo. Si trattò, infatti, di collettivismo, ossia di organizzazione politica dell’atomismo”[7]. Mi si consenta una parentesi: trovo il giudizio del filosofo torinese sul comunismo storico nel complesso ingeneroso, essendomi noto il livore che Preve ha manifestato soprattutto nell’ultima fase della sua impresa intellettuale verso lo stesso Partito Comunista Italiano. Sono pronto a riconoscere le lacune teoriche (le “subalternità” di Preve) che il PCI ha senz’altro mutuato dalla tradizione marxista internazionale, senza le quali d’altra parte non sarebbe stata possibile la mutazione politica che ha condotto passo dopo passo fino al Partito Democratico; da qui a buttare il bambino con l’acqua sporca, tuttavia, ce ne passa, considerando che l’azione politica e istituzionale del PCI in seguito alla Seconda Guerra Mondiale si declinò in un riformismo radicale che contribuì a conquiste sociali decisive per la classi lavoratrici, non certo nella ricerca programmatica della “rivoluzione del proletariato”, che tutt’al più riemergeva in superficie nella propaganda di partito. Al netto di tali considerazioni, comunque, ciò che interessa in questa sede è il distacco dichiarato del comunitarismo di Preve dalla tradizione politica e teorica marxista e comunista, salvo alcuni singoli intellettuali da lui ritenuti marxiani, o marxisti eretici (innanzitutto Lukàcs).
Il comunitarismo di Preve non è nemmeno fascista, né razzista o nazionalista. Non è fascista per i motivi già richiamati dell’assoluta importanza della libera individualità e in particolare delle libertà di pensiero e parola, ma anche perché rifiuta la rigida divisione in classi della società. Non è razzista o nazionalista, d’altra parte, perché l’idea “comunitaria di nazione deve essere separata e contrapposta alla pratica del nazionalismo espansionistico e colonialistico. Il fascismo italiano non solo non l’ha fatto, ma si è addirittura costruito capillarmente sulla base della confusione dei due concetti”[8].
In terzo luogo, il comunitarismo previano non è nostalgico, e quindi non rimanda a modelli comunitari pre-capitalistici, ed evita l’idealizzazione delle comunità tribali originarie e della vita contadina di epoca feudale, pur riconoscendone alcuni contenuti comunitari positivi, sia pure isolati dalla totalità della riproduzione sociale.
Infine, questo comunitarismo riformulato non è liberale, né post-moderno. Non è liberale perché considera il liberalismo nella sua continuità con il modo di produzione capitalistico, e quindi non separa artificialmente il liberalismo politico ed economico da quello culturale e ideologico, sebbene ne salvi dialetticamente alcuni contenuti di verità universali (molti dei diritti fondamentali dell’individuo cosiddetti civili e politici). Non è post-moderno perché rifiuta sia l’accettazione disincantata del capitalismo come “fine della storia”, sia la resistenza primaria ma insufficiente fondata sull’individuo isolato e sulle comunità ristrette di amici, che Preve definisce nei termini di “epicureismo moderno”.
Delineato in questo modo il comunitarismo filosofico, vediamo di calarlo nelle strutture sociali ed economiche odierne.
Lo Stato nazione, “giusto mezzo” del comunitarismo universalistico
Ci troviamo nella terza fase del modo di produzione capitalistico.
Questo pensava Costanzo Preve, sostenendo che fosse in atto un trapasso “da un’epoca di capitalismo ancora borghese (e quindi anche proletario […] ad un’epoca nuova ed inedita di capitalismo post-borghese, e più esattamente di un capitalismo senza classi”, il quale, d’altra parte, “non significa società più egualitaria e democratica e con minori differenziali sociali di sapere, potere, ricchezza […] Tutto al contrario. La società in cui stiamo trapassando sarà caratterizzata dalle diseguaglianze più odiose ed oligarchiche, tuttavia non saranno più caratterizzate da differenti ethos di classe”[9]. Un capitalismo “sempre più puro e sempre meno appesantito dai sistemi sociali dello stato del benessere” ha bisogno di un continuo “allargamento geografico” e di un infinito “approfondimento antropologico (sempre nuovi stili di vita e di consumo da imporre)”. Per riprodursi richiede pertanto “il superamento del vecchio diritto internazionale fondato sulla sovranità degli stati e la messa sotto tutela e sotto condizione di questa stessa sovranità”[10]. Questa, in sintesi, è l’essenza di un modo di produzione che ha superato le resistenze sistemiche precedenti ed ha assorbito anche gran parte di quella cultura marxista impregnata di storicismo, disposta perciò ad ammettere l’illusorietà delle teorie comunitarie e anti-capitalistiche precedenti scambiando il successo del capitalismo per un giudizio di valore irreversibile sul comunismo. Di qui il ripiegamento della filosofia post-moderna nel binomio solo apparentemente antitetico dell’accettazione disincantata dei rapporti capitalistici (“la gabbia d’acciaio” weberiana) e della resistenza molecolare al potere biopolitico, per non parlare delle inesistenti moltitudini di Toni Negri, riflesso cosmopolita del globalismo ideologico di cui si nutre il capitalismo post-borghese.
Vi è quindi un fondamentale insegnamento politico di natura contingente nella riformulazione comunitaria di Costanzo Preve. Date le condizioni appena descritte – riprodotte in particolare dall’imperialismo americano rivestito di Diritti Umani e Democrazia formale – il giusto mezzo della resistenza comunitaria al capitalismo globalizzato è la comunità ristretta dello Stato nazione. Va da sé, d’altro canto, che a differenza dei modi di produzione precedenti, il capitalismo ci presenta uno scenario globale che non possiamo semplicemente rifiutare, ma con il quale dobbiamo relazionarci secondo i dettami del comunitarismo. Preve chiama allora ‘universalismo’ quel “campo di confronto fra comunità unite dai caratteri essenziali del genere umano, della socialità e della razionalità”. Sostiene a proposito che, “astrattamente parlando, l’individuo libero inteso come unità minima di resistenza al potere non ha bisogno della comunità per rapportarsi all’universale. In concreto, invece, il passaggio per la comunità gli è essenziale, altrimenti non potrebbe nemmeno pensarsi come individuo”[11]. Ne discende che “il comunitarismo è anche la sola via concretamente praticabile per l’universalismo”[12]. Nella fase post-borghese del capitalismo il solo comunitarismo all’altezza della sfida politica, culturale e antropologica che ci è dinanzi è quello dello Stato nazionale, che trova la sua radice nel “diritto all’autodeterminazione dei popoli e soprattutto nel diritto – assoluto e non negoziabile – a coltivare le loro identità linguistiche e culturali”[13].
[1] Costanzo Preve, Individui liberati, comunità solidali, CRT, Pistoia, 1998, p. 10.
[2] Costanzo Preve, Elogio del comunitarismo, Controcorrente, Napoli, 2006, p. 48.
[3] Costanzo Preve, Attacco alla sovranità e ruolo (negativo) degl’intellettuali. Intervista a Costanzo Preve, in www.eurasia-rivista.org, 4 dicembre 2011, http://www.eurasia-rivista.org/attacco-alla-sovranita-e-ruolo-negativo-deglintellettuali-intervista-a-costanzo-preve/12558/.
[4] Costanzo Preve, Elogio del comunitarismo, Controcorrente, Napoli, 2006, p. 222.
[5] Ivi, p. 245.
[6] Ivi, p. 71.
[7] Ivi, pp. 245-246.
[8] Ivi, pp. 205-206.
[9] Costanzo Preve, Hegel antiutilitarista, Settimo Sigillo, Roma, 2007, p. 56.
[10] Costanzo Preve, Elogio del comunitarismo, Controcorrente, Napoli, 2006, p. 22.
[11] Ivi, p. 253.
[12] Ivi, p. 252.
[13] Costanzo Preve, Comunitarismo, Eurasia. Parla Costanzo Preve, in www.rivistaindipendenza.org, agosto 2007, http://www.rivistaindipendenza.org/Teoria%20nazionalitaria/Intervista%20a%20Costanzo%20Preve.htm
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