Decenni di austerità hanno reso il sistema sanitario italiano incapace di combattere l’epidemia di COVID-19
di VOCI DALL’ESTERO (Carmenthesister)
Questo articolo, segnalato a Vocidallestero da Thomas Muntzer, fa parte del più ampio studio pubblicato su Intereconomics, La risposta europea alla crisi del Coronavirus, e testimonia, con una ampia serie di dati, la sistematica riduzione delle risorse della sanità avvenuta in Italia nel corso di trent’anni, in particolare dei servizi ospedalieri e di pneumologia, che ha lasciato il paese incapace di offrire ai suoi cittadini una adeguata protezione nei confronti della pandemia. Un prezzo pesante pagato dall’Italia – e da altri paesi periferici – alla attenzione monotematica e maniacale verso il consolidamento dei conti pubblici derivante dai fallimentari vincoli europei.
di Alessandro Bramucci, Franz Prante, Achim Truger
Traduzione di M.Paperoga
La pandemia di Sars-CoV-2 e la conseguente malattia covid-19 sta travolgendo alcuni sistemi sanitari europei in maniera inedita. La situazione resta particolarmente grave in Italia. Nelle regioni più colpite, il sistema sanitario nazionale non è stato in grado di far fronte alle cure dei pazienti covid-19. Questo articolo esamina più da vicino il legame tra assistenza sanitaria e forte consolidamento del bilancio nel caso dell’Italia. Sebbene l’austerità sia stata particolarmente forte all’indomani della crisi economica del 2008 e delle sue conseguenze nell’area dell’euro, le politiche di bilancio italiane sono state caratterizzate da periodi di consolidamento difficili sin dagli anni ’90. Nel corso degli anni, il SSN ha subito una profonda trasformazione volta a contenere i costi e aumentare l’efficienza. La questione ora è se le conseguenze di queste misure abbiano lasciato l’SSN impreparato ad affrontare il flagello del COVID-19.
Il SSN italiano è stato fondato nel 1978. Sulla base della Costituzione nazionale (articolo 32), lo Stato garantisce il diritto universale e in gran parte il libero accesso ai servizi sanitari. (1) Nel corso degli anni ’90 è stata attuata una prima serie di riforme di vasta portata nel tentativo di contenere i costi a fronte delle crescenti esigenze sanitarie di una popolazione che invecchia e di migliorare rapidamente le tecnologie (Pavolini e Vicarelli, 2013). Queste riforme erano in gran parte in linea con l’approccio liberale mercatista del “New Public Management” e il loro obiettivo primario era quello di limitare i disavanzi pubblici e il debito dell’Italia (Pavolini e Vicarelli, 2013). Il contenimento dei costi era quindi motivato dal contesto macroeconomico dell’epoca, caratterizzato dagli sforzi dell’Italia per soddisfare i criteri di Maastricht e i requisiti del Patto di stabilità e di crescita, che hanno portato a una stretta generale della spesa pubblica. Più recentemente, la crisi finanziaria globale e la risposta politica alla crisi dell’euro hanno messo a dura prova l’economia italiana e significative restrizioni alla spesa sanitaria sono tornate nell’agenda nazionale (De Belvis et al., 2012). Dall’inizio degli anni ’90, il governo italiano ha registrato quasi 30 anni consecutivi di avanzi primari di bilancio (figura 1). Ciò indica che per quasi tre decenni il governo ha estratto dall’economia nazionale in termini di tasse più di quanto le persone hanno ricevuto da parte dei servizi pubblici. La figura 1 mostra inoltre che i periodi di tagli alla spesa sanitaria reale tendono a corrispondere o a seguire ai periodi di forte consolidamento del bilancio, nella prima metà degli anni ’90 e nella crisi dell’euro dopo il 2010.
Figura 1
Spese pubbliche obbligatorie per l’assistenza sanitaria pro capite e saldo primario in Italia
prezzi costanti (2010) e percentuale del PIL potenziale
Note: l’OCSE classifica nella stessa categoria le spese sanitarie finanziate dal governo e finanziate dalle assicurazioni obbligatorie. Fonti: OCSE; Fmi.
L’evoluzione della spesa sanitaria italiana è riportata nella figura 2 insieme ai dati relativi a determinati paesi europei e alla media dell’eurozona. Si possono osservare tre fasi nell’evoluzione della spesa italiana. Negli anni ’90, a differenza della maggior parte degli altri paesi industrializzati, l’Italia ha registrato un calo della spesa sanitaria pubblica e obbligatoria (misurata in euro costanti pro-capite). Solo alla fine degli anni ’90 è iniziata una leggera tendenza all’aumento, quando la spesa è aumentata parallelamente agli altri paesi europei fino alla fine degli anni 2000. Dal 2010 in poi è iniziata una nuova fase di contenimento della spesa, durata fino al 2015. In questo periodo, la spesa per l’assistenza sanitaria pubblica è stata colpita in modo analogo anche in Portogallo e Spagna e in misura maggiore in Grecia, vale a dire nei paesi più colpiti dalla crisi dell’euro e dalle successive politiche di austerità. Per contro, in questo periodo si è registrato un rapido aumento della spesa sanitaria pubblica obbligatoria pro-capite in Germania, Francia e Belgio.
Figura 2
Spese pubbliche obbligatorie per l’assistenza sanitaria pro capite in alcuni paesi
prezzi costanti (2010)
Note: i dati relativi a Malta e Cipro non sono disponibili e non sono inclusi nella media dell’eurozona. Adesioni all’euro a data 2020. Interruzioni presenti nei dati. Per il 2018, dati provvisori o stime OCSE.
Fonti: OCSE; calcoli degli autori.
La figura 3 mostra la variazione percentuale dell’assistenza sanitaria pubblica e obbligatoria pro-capite per queste tre diverse fasi e per l’intero periodo tra il 1990 e il 2018. Dal 1990 al 2000 si è svolta in Italia una prima fase di contenimento della spesa, in cui la spesa pubblica è aumentata solo dell’8,7 per cento. Dopo una seconda fase leggermente espansiva dal 2000 al 2010, in cui la spesa pro capite in Italia è aumentata del 27,1%, la crescita della spesa sanitaria pubblica ha registrato una riduzione nel terzo intervallo di tempo (come è avvenuto in Portogallo, Grecia e Spagna). In questo periodo, caratterizzato dall’ultima serie di tagli di bilancio, la spesa pro-capite in Italia è diminuita dell’8,2 per cento – meno fortemente che in Grecia, ma più che in Spagna e Portogallo. Per contro, il gruppo dei paesi del Nord ha registrato un aumento. Complessivamente, dal 1990 al 2018, la spesa sanitaria pubblica obbligatoria pro-capite in Italia è aumentata di meno del 26,8%, che è di gran lunga il valore più basso tra i Paesi europei riportato nel grafico 3.
Figura 3
Variazione percentuale della spesa pubblica obbligatoria per l’assistenza sanitaria pro capite in alcuni paesi
Nell’ultimo decennio, l’entità dei tagli al SSN è stata particolarmente drammatica. Sulla scia della crisi finanziaria ed economica del 2008, la spesa sanitaria pubblica totale in Italia (compresi investimenti, consumi intermedi, ricerca e sviluppo e altre componenti) ha subito una drastica battuta d’arresto. Dal 2008 al 2018, la spesa totale per l’assistenza sanitaria pubblica in termini nominali (compresa l’inflazione) è aumentata solo del 5,3% in Italia, mentre in Germania è aumentata del 46,8% (figura 4a). Inoltre, i dati COFOG (2) dimostrano l’entità dei tagli ai servizi ospedalieri (3). A differenza dei paesi dell’Europa settentrionale, l’Italia (insieme al Portogallo e ancor più alla Grecia) ha ridotto la spesa pubblica per i servizi ospedalieri.
Dal 2011 al 2018, i tagli ai servizi ospedalieri pubblici hanno contribuito in modo sostanziale alla dinamica negativa del tasso di crescita percentuale della spesa pubblica totale per l’assistenza sanitaria (figura 4b). Sebbene la politica di austerità abbia gravato pesantemente sul sistema sanitario, la quota delle spese sanitarie nella spesa pubblica totale è aumentata dal 10 per cento nel 1995 al 14,7 per cento nel 2008 ed è rimasta al di sopra del 14 per cento dopo il 2008, secondo i dati COFOG. Ciò può indicare che l’assistenza sanitaria era importante per il governo nonostante i vincoli di spesa generale. Tuttavia, ciò non ha impedito che le spese italiane scendessero al di sotto dell’andamento internazionale.
Fonti: EUROSTAT COFOG; calcoli degli autori.
Figura 4b
Composizione del tasso di crescita della spesa pubblica totale per l’assistenza sanitaria in Italia, valori nominali
Nell’UE, quasi un terzo della spesa pubblica per l’assistenza sanitaria viene utilizzato per coprire le spese di funzionamento delle istituzioni ospedaliere curative (Federazione europea degli ospedali e dell’assistenza sanitaria, 2018). Nel corso degli anni, gli ospedali sono stati soggetti a crescenti pressioni e sono stati spesso visti come una delle principali fonti potenziali di tagli ai sistemi sanitari pubblici (vedi McKee, 2004; Popic, 2020). Le strategie di contenimento dei costi hanno rivisto l’uso e la fornitura di cure ospedaliere a favore dei servizi ospedalieri diurni e ambulatoriali, sacrificando così costantemente la capacità ospedaliera. I dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) mostrano che dall’inizio degli anni ’90 il numero di ospedali è stato drasticamente ridotto in tutta Europa, ma in particolare in Belgio e in Italia. Gli ospedali per terapie intensive sono attualmente un elemento centrale nella lotta contro il COVID-19. Un maggior numero di ospedali per terapie intensive avrebbe anche potuto facilitare l’isolamento dei pazienti infetti, riducendo il rischio di contagio. La figura 5 mostra che, dopo essere partita da un livello simile a quello della Germania nel 1990, l’Italia ha ridotto la capacità ospedaliera pro capite molto più di molti altri paesi nel giro di due decenni. Dal 2010 in poi, il numero di ospedali per terapie intesive in Italia è sceso al di sotto della media UE. La tendenza ha continuato a diminuire nel corso degli anni della crisi dell’euro.
La disponibilità di posti letto per terapie intensive è stata ridotta in modo ancora più drastico rispetto alla capacità ospedaliera (figura 6). Sebbene in molti paesi europei si possa osservare una tendenza pronunciata verso la riduzione dei letti di terapia intensiva, pochi paesi europei hanno ridotto il numero di posti letto disponibili tanto quanto l’Italia. Nel 1990, l’Italia aveva sette posti letto ogni 1.000 abitanti, un valore vicino alla Germania e superiore alla media UE. Nel 2017, il numero di posti letto per terapie intensive era sceso a 2,6 ogni 1.000 abitanti, significativamente inferiore rispetto alla Germania con sei posti letto disponibili ogni 1.000 persone e molto più vicino al valore storicamente basso della Spagna. Così, in un periodo di tempo piuttosto breve, l’Italia si è trovata all’estremità inferiore dello spettro in Europa.
C’è anche una notevole differenza nell’offerta di posti letto di terapia intensiva, con l’Italia di nuovo in coda in Europa (Rodi et al., 2012; OCSE, 2020). Sebbene negli ultimi anni il numero di posti letto di terapia intensiva in Italia sia rimasto relativamente costante (figura 7), la capacità di terapia intensiva non è stata ampliata (a differenza, ad esempio, della Germania) nonostante gli avvertimenti di possibili strozzature nella capacità ricettiva dei pazienti in terapia intensiva (Rhodes et al., 2012).
L’Italia, così come altri paesi europei, sarebbe stata meglio preparata per un trattamento adeguato dei pazienti covid-19 in condizioni gravi e critiche se la capacità di terapie intensive e di emergenza non fosse stata ridotta. I letti assistiti da ossigeno sono particolarmente rilevanti per il trattamento ospedaliero del COVID-19. Per alcuni pazienti, le difficoltà respiratorie peggiorano nel corso della malattia, rendendo necessaria un’assistenza medica intensiva. La discussione pubblica si concentra quindi principalmente sulla disponibilità di capacità di terapia intensiva e di attrezzature di ventilazione meccanica. Tuttavia, la velocità con cui dovrebbe essere fornita la ventilazione della macchina è oggetto di controversie tra specialisti polmonari e medici di terapia intensiva (Gattinoni et al., 2010). L’attuale divario di ricerca sul COVID-19 potrebbe quindi richiedere anche una diagnosi completa dei pazienti da parte di specialisti polmonari, che potrebbe portare a migliori risultati terapeutici (vedi anche Begley, 2020). In questo contesto, la sostanziale riduzione del numero di posti letto pneumologici durante la fase di intensificazione dell’austerità dopo il 2010 in Italia è particolarmente tragica. Secondo i dati del Ministero della Salute, il numero di posti letto pneumologici è sceso da 4.414 nel 2010 a 3.573 nel 2018 – una riduzione del 19%.
La riduzione delle risorse nel sistema sanitario pubblico e in particolare nel funzionamento degli ospedali pubblici in Italia va avanti da quasi 30 anni. La popolazione italiana sta attualmente pagando il prezzo di prolungate politiche di bilancio restrittive nel SSN. L’attenzione unilaterale ai vincoli fiscali e alla riduzione del debito ha privato il settore sanitario italiano di una parte importante della sua capacità di offrire un’adeguata protezione alla popolazione. La forte riduzione delle risorse ha causato gravi difficoltà al SSN nell’affrontare efficacemente le conseguenze del COVID-19. Lo scoppio della crisi sanitaria ha dato un campanello d’allarme che non può rimanere inascoltato.
* Questo contributo si basa su parti preliminari di un progetto di ricerca in corso sull’economia italiana finanziato da Friedrich-Ebert-Stiftung in Germania.
1. La Commissione Europea (2019) nel Suo Rapporto Paese Italia 2019 ritiene che il SSN sia generalmente efficiente e il suo esito in termini di indicatori sanitari buoni, anche se con disparità regionali nella fornitura di servizi sanitari che incidono sull’equità e sull’efficienza.
2. La classificazione delle funzioni dell’aggregato sanitario governativo (COFOG) (GF07 e gruppi relativi) classifica tutti i tipi di spesa pubblica a fini sanitari (comprese le spese per i dipendenti, i consumi intermedi, la spesa pubblica per gli investimenti lordi, ecc.). La delimitazione della spesa pubblica nella classificazione COFOG differisce dal Sistema dei conti sanitari.
3. Secondo la classificazione COFOG, il ricovero in day hospital è classificato sotto i servizi ospedalieri.
Bibliografia
Begley, S. (2020, 8 aprile), Con le macchine per la ventilazione assistita che si esauriscono, i medici dicono che le macchine sono sovrautilizzate per il Covid-19, STAT, https://www.statnews.com/2020/04/08/doctors-say-ventilators-overused-for-covid-19/ (14 aprile 2020).
De Belvis, A. G., F. Ferrè, M. L. Specchia, L. Valerio, G. Fattore e W. Ricciardi (2012), La crisi finanziaria in Italia: implicazioni per il settore sanitario, Politica sanitaria,106, 10-16.
Gattinoni, L., S. Coppola, M. Cressoni, M. Busana e D. Chiumello (2020), Il Covid-19 non porta a una sindrome da distress respiratorio acuto “tipica”, American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine, pubblicazione online anticipata.
Commissione Europea (2019), Rapporto paese Italia 2019: compresa una revisione approfondita sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici, SWD(2019) 1011 def.
Federazione europea degli ospedali e dell’assistenza sanitaria (2018), Ospedale in Europa, dati sanitari 2018.
McKee, M. (2004), Riduzione dei letti ospedalieri: Quali sono le lezioni da imparare?, European Observatory on Health Systems and Policies Policy brief,6.
OCSE (2020), oltre il contenimento: Risposte dei sistemi sanitati al COVID-19 nell’OCSE, https://read.oecd-ilibrary.org/view/?ref=119_119689-ud5comtf84&Title=Beyond%20Containment:Health%20systems%20responses%20to%20COVID-19%20in%20the%20OECD (2 aprile 2020).
Pavolini E. e G. Vicarelli (2013), Italia: Uno strano SSN con i suoi paradossi, in: E. Pavolini e A.M. Guillén (a cura di), Sistemi sanitari in Europa sotto austerità, lavoro e welfare in Europa, Palgrave Macmillan.
Popic, T. (2020), Sistemi sanitari europei e COVID-19: Alcune lezioni precoci, blog EUROPP, https://blogs.lse.ac.uk/europpblog/2020/03/20/european-health-systems-and-covid-19-some-early-lessons/ (29 marzo 2020).
Rhodes, A., P. Ferdinande, H. Flatten, B. Guidet, P. G. Metniz e R. P. Moreno (2012), La variabilità dei numeri dei letti di terapia intensiva in Europa, Medicina intensiva,38, 1647-1653.
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