Storia di una ripresa. L’incredibile capacità di resistenza delle librerie nell’anno della pandemia
di L’INKIESTA (Dario Ronzoni)
Nonostante il crollo registrato ad aprile, la vendita dei libri ha recuperato con un boom di vendite a dicembre. Merito di un’industria capace di essere elastica e di suscitare grandi emozioni, come dimostra il caso della Francia.
di L’Odyssée Belle, da Unsplash
Il Covid non ha colpito in modo uguale il mondo della cultura. Se i cinema hanno registrato un crollo degli incassi (diminuito del 72%) e il fatturato dei professionisti dello spettacolo è stato quasi azzerato, il settore dei libri esce dal 2020 quasi senza problemi. Un mezzo miracolo.
Le premesse erano varie. Secondo una rilevazione condotta a ottobre dall’Aie (Associazione italiana editori) nel 2020 erano «aumentati i lettori in Italia», con un leggero aumento della percentuale dei cittadini che dichiaravano di aver letto un libro nei 12 mesi precedenti (dal 58% del 2019 al 61% del 2020).
Questo si rifletteva nella costante riduzione della perdita di fatturato nel mercato, che ad aprile, subito dopo il lockdown, era calato a -20% rispetto al 2019, ma già a settembre dava segni di miglioramento fino ad arrivare a -7% sull’anno precedente.
Addirittura, ha dichiarato in una conferenza stampa Ricardo Franco Levi, il presidente dell’Aie «Le vendite a Natale sono andate bene e questo ci consente di sperare che il 2020 si chiuda sugli stessi livelli del 2019».
I dati saranno studiati e diffusi a fine gennaio, in occasione della Scuola per Librai Umberto ed Elisabetta Mauri, ma alcune tendenze sono già visibili: per esempio, la tenuta generale del settore. O l’impatto (positivo) degli aiuti messi in campo dallo Stato in primavera. Ma si registra anche una situazione disomogenea («a macchia di leopardo») nel territorio.
In particolare, hanno sofferto di meno i librai di provincia e molto di più le librerie, anche quelle di grandi catene, nei centri delle grandi città (conseguenza del calo del turismo). Peggio di tutte, poi, stanno quelle dei centri commerciali, che risentono delle chiusure obbligatorie nei weekend. Benissimo, invece, le vendite online.
In generale, la sopravvivenza del libro e delle librerie durante la pandemia non è un fenomeno solo italiano. Come dimostra questo articolo apparso a inizio gennaio su Le Monde, anche in Francia l’anno si è chiuso con numeri confortanti. Anche qui, il crollo primaverile è rientrato nei mesi successivi e il bilancio finale si attesterebbe tra -5% e 0% di differenza.
Dietro al caso francese ci sarebbero però dinamiche diverse, sia come andamento di vendita sia, soprattutto, come reazione emotiva. Soprattutto perché, a differenza di quelle italiane, le librerie francesi hanno vissuto due periodi di chiusura, uno a primavera e uno a novembre. In particolare, in questa seconda occasione sono state le proteste molto accese di un ampia parte del mondo della cultura a riportare il libro al centro del dibattito pubblico.
Ci sono state iniziative di solidarietà, come nel caso degli scrittori che si sono offerti di pagare le multe dei librai che avessero deciso di riaprire bottega, violando il decreto. Ma soprattutto la percezione, diffusa, che venisse perpetrata nei confronti del settore un atto di ingiustizia. E così, al momento della riapertura, il 20 novembre, il numero degli ordinativi era già arrivato a quote record. Livelli che Le Monde definisce «mai visti».
Per reggere alla richiesta i centri di distribuzione hanno lavorato 24 ore su 24, è stato impiegato un piccolo esercito di interinali e sono state necessarie ristampe su ristampe. La Francia, per solidarietà e per reazione alla pandemia, si è riscoperta quello che ama pensare di essere: un Paese di lettori.
A questo slancio di solidarietà che ha portato le vendite a un +35% rispetto al 2019 ha contribuito anche il tempismo del premio letterario Goncourt, il più importante del Paese, che ha fatto slittare l’assegnazione al momento della riapertura delle librerie. E così, grazie al traino contemporaneo del premio (nel 2020 assegnato a Hervé Le Tellier per “L’anomalia”), l’uscita di volumi di interesse globale, come la prima parte della biografia di Barack Obama, e la tradizione consolidata anche in Francia di regalare libri a Natale, il mese di dicembre ha salvato un anno altrimenti compromesso.
Se però si guarda nel dettaglio, ecco che emergono le classiche luci e ombre. Nel confronto tra Francia e Italia, per esempio, si vede che il primo lockdown avrebbe portato gli italiani a diminuire i ritmi di lettura (così dice la ricerca Aie), rallentati dalla necessità di abituarsi alla nuova realtà. I francesi avrebbero invece impiegato il primo lockdown per «intensificare le proprie abitudini»,
Ma, soprattutto, in Francia si sarebbe sviluppato il fenomeno del “click and collect”, dove gli acquisti erano online, ma consegnati nelle librerie vicine. Questo ha portato a «una riscoperta della libreria di prossimità»: tanto che i venditori che lo praticano sono passati da 400 (marzo) a 1.400 (novembre), costituendo un piccolo limite allo strapotere di Amazon.
In generale, nonostante i buonissimi numeri, la maggior parte delle vendite si è concentrata intorno a pochi titoli (i best-seller) facendo soffrire le piccole case editrici. Non solo: il crollo dei viaggi si è riverberato nel calo degli acquisti di guide di viaggio e anche i volumi d’arte (soprattutto in Italia) sono rimasti sugli scaffali.
Resta ancora molto da fare, insomma, ma il bilancio è comunque positivo. Sia il libro che la libreria escono dall’annus horribilis della pandemia dimostrando capacità di resistenza impreviste. Tutte cose che lasciano ben sperare, nel limite del possibile, per i prossimi mesi.
FONTE: https://www.linkiesta.it/2021/01/libro-2020-crisi-francia-italia/
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