Come era facilmente ipotizzabile e prevedibile, la crisi del Governo Conte non poteva che spostare ancora più a destra l’asse politico complessivo del Paese. Renzi ha svolto il suo compito senza indugi e, ad oggi, la sua ricompensa è la sopravvivenza politica, nonché la rimozione dalla scena dell’ex presidente del consiglio con cui è in diretta competizione per coprire lo spazio politico estremamente fluido che, da Forza Italia al Movimento cinquestelle, vedrà dopo questi eventi una continua evoluzione. Ma l’intero quadro viene e verrà modificato dall’irruzione di Draghi nella scena politica, un’irruzione preannunciata da molto tempo.
Gli obiettivi raggiunti con l’incarico a Draghi offrono la cloche di comando della politica economica ed industriale per la ricostruzione post pandemia a chi, come il neo-premier, è espressione diretta dell’elitès capitalistiche euro-atlantiche. Non è un mistero che Draghi, proprio per ciò che rappresenta, sia uomo gradito alla nuova amministrazione Biden non meno ostile di quella precedente alla Cina e alla Russia in uno scontro ormai sempre meno latente.
La composizione del Governo è un dettaglio rispetto al suo ruolo. Certamente fa un certo effetto vedere tutti insieme appassionatamente. Da Giorgetti a Di Maio, passando per Brunetta e Franceschini. Fa effetto e conferma che ciò che nella sostanza unisce le forze politiche italiane è ciò di cui Draghi è espressione. Seppure le forze politiche rappresentano settori sociali articolati e le loro basi di massa sono diverse, politicamente tutte quelle presenti in Parlamento, senza nessuna distinzione, si inchinano di fronte al potere reale che oggi esprime direttamente il suo Premier. Un governo siffatto fa giustizia della pantomima e della retorica antifascista su cui il PD ha fondato in questi ultimi anni la sua propaganda contro la destra. Non esiste realpolitik che possa giustificare un governo comune con chi si ritiene siano i nemici della democrazia. O lo sono o non lo sono. In realtà la narrazione del “nemico” identificato nella destra nasconde l’”amico” comune che abita a Washington e soprattutto sta dentro le ragioni delle compatibilità sistemiche contro cui nulla si può. Sotto la bandiera dell’europeismo si mascherano quei confini oltre i quali la politica è completamente sottomessa. La stessa “opposizione “della Meloni, che cercherà di sfruttare a suo vantaggio la competizione con la Lega, non si preannuncia così agguerrita. Come il voto contrario alla fiducia di Sinistra Italiana non va oltre “la pace con la coscienza” ma non mette in discussione la sua alleanza con le forze, PD e Cinquestelle, che sono l’architrave su cui si sorregge da un punto di vista parlamentare il nuovo governo. Questo tenuto anche conto che i parlamentari di SI sono tre e, tranne Fratoianni, gli altri due (Palazzotto e De Pretis) hanno annunciato che voteranno la fiducia.
A parte l’indigesta lettura dei nomi del Governo, che certamente destabilizza chi in questi anni si è bevuto in buona fede la narrazione di chi fossero i buoni e i cattivi, non si può dire certo che questo Governo, i cui ministeri chiave sono tutti in mano a Draghi, non avrà consenso. La beatificazione di questi giorni ovviamente è servita a far digerire l’operazione politica nella consapevolezza dei compiti del nuovo esecutivo. Draghi avrà il compito di gestire tanti soldi, i circa duecento miliardi del Recovery Found, e gestirà la fase finale della pandemia. Sarà colui che, agli occhi di tutti, la sconfiggerà nel nostro paese. Poi sappiamo bene che accanto alla gestione dei soldi ci saranno delle “riforme” i cui effetti, però, si sentiranno ben oltre la vita del Governo Draghi. E’ molto probabile che fra un anno circa il Premier diventerà presidente della Repubblica. Diventerà il garante di quanto verrà fatto quest’anno e di quanto sarà necessario quando la pandemia finirà e i vincoli europei torneranno pienamente applicabili.
In questa situazione si sente ancora di più quanto pesi l’assenza completa di un’organizzazione e di una rappresentanza politicamente autonoma delle classi subalterne. Senza tale presenza tutta la vicenda assume una tendenza ancora più regressiva.
E’ possibile si riaprano spazi a sinistra ma non è affatto scontato sia così. Forse una sponda potrà venire da una parte dei grillini orfani del movimento e presenti in Parlamento: già con il voto di fiducia si verificherà quantitativamente e qualitativamente di cosa stiamo parlando. Come, dall’altro lato, non è da escludere che una parte di loro faccia asse con Fratelli d’Italia e che lo faccia lo stesso Di Battista. Questo si vedrà. Certo è che l’unità nazionale che vede un governo dalla Lega a Leu, lascerà un segno profondo nel senso comune e negli assetti politici del Paese. Come ci insegna la storia le parentesi non esistono, al contrario di quanto pensava Benedetto Croce.
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