Tra salute pubblica e geopolitica: la posta in palio nella corsa ai vaccini
di OSSERVATORIO GLOBALIZZAZIONE (Alessandro Catanzaro)
A un anno di distanza dalla scoperta del paziente 1 in Italia, può risultare utile un riepilogo di come sta procedendo a livello globale la strategia dei vaccini anti-Covid. Ossia, l’unico strumento teoricamente in grado di debellare, una volta per tutte, la pandemia.
Occorre fare una considerazione preliminare. Tenuto conto che il primo allarme ricevuto dall’Oms, relativo al focolaio di Wuhan, risale al 31 dicembre 2019 (anche se è altamente probabile che la diffusione del virus sia partita molto prima), il fatto che ad oggi esistano diversi vaccini disponibili, testati e autorizzati con procedure d’emergenza tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, è un risultato eccezionale. Forse addirittura insperato sulla base delle precedenti esperienze nel settore.
Tuttavia, le criticità non mancano. Intanto, proprio il fatto che i vaccini sono tanti indica che è stata imboccata una strada ben precisa: quella della competizione tra i laboratori di ricerca. Ufficialmente per avere più frecce all’arco della lotta al virus, ma è facile osservare che per alcune aziende questa opportunità si sia tradotta nell’affare del secolo, come dimostrano i titoli letteralmente schizzati in borsa dopo l’annuncio del vaccino. Tale “segregazione produttiva” mette a rischio, in via teorica, l’interscambio di informazioni (fondamentale per la ricerca scientifica) e, di sicuro, la possibilità di un’equa distribuzione: al momento ad accaparrarsi la stragrande maggioranza dei vaccini, disponibili e non, sono stati infatti i Paesi a più alto reddito.
Inoltre, come peraltro prevedibile, il Sars-CoV-2 sta mutando. Ne sono già state identificate migliaia di varianti, tra cui quelle attualmente più problematiche sono tre: inglese, sudafricana e brasiliana. Di queste, la variante inglese presenta sicuramente una maggiore contagiosità e forse anche una maggiore letalità; probabilmente sono più contagiose anche le varianti sudafricana e brasiliana che, in aggiunta, sembrerebbero anche in grado di ridurre l’efficacia dei vaccini esistenti. Fattore, questo, che potrebbe costringere le aziende farmaceutiche a rimettere mano ai propri prodotti, di fatto “rincorrendo” il virus e ritardando la fine dell’emergenza pandemica.
Detto ciò, proviamo a fare una panoramica dei vaccini attualmente a disposizione nelle varie zone del mondo e di quelli in fase avanzata di sperimentazione, analizzandone le informazioni relative alla struttura, alla produzione, alla distribuzione e all’efficacia, così come risulta da studi e pubblicazioni.
Il tutto tenendo presente l’ovvia considerazione che la battaglia contro il Covid non è esente da fattori geopolitici. Chi esce prima dalla pandemia accumula infatti un notevole vantaggio competitivo su tutti gli altri; chi lo distribuisce, può godere di consistenti benefici in termini di soft power. E così via.
[Fonte dati: Oms, Bloomberg, Financial Times, Statista, Wikipedia]
Pfizer–BioNTech
Frutto della collaborazione tra il colosso statunitense Pfizer e l’azienda tedesca BioNTech, questo vaccino funziona con la tecnologia dell’Rna messaggero e prevede due dosi. Primo in Occidente ad annunciare l’esito positivo dei test della cosiddetta fase 3 (il 9 novembre), a breve distanza è stato approvato dalle varie autorità di regolazione, tra cui la stessa Oms. Viene prodotto tra Germania, Belgio e Stati Uniti.
È in assoluto il vaccino con l’efficacia più alta, pari al 95%, nonché l’unico prodotto occidentale di cui viene portata avanti una sperimentazione in Cina, in collaborazione con la locale Fosun Pharma. Finora ne sono state ordinate in giro per il mondo oltre un miliardo e 200 milioni di dosi, distribuite soprattutto nelle aree più sviluppate, come Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Regno Unito, Canada e Israele. Il limite più grande è la temperatura di conservazione estremamente bassa, intorno ai -70° C, ma una recentissima nota dei produttori sostiene che il vaccino è in grado di resistere per due settimane anche tra i -25° e i -15° C.
Moderna
Moderna è un’azienda statunitense, più piccola rispetto a Pfizer, che produce tra gli Usa e la Svizzera. L’annuncio dell’efficacia del suo vaccino è arrivato una settimana dopo quello della concorrente. Anche questo è un vaccino a Rna messaggero, con un’efficacia molto simile al precedente, pari al 94%. Ha tuttavia una temperatura di conservazione più alta, attorno ai -20° C, e oltretutto può resistere fino a un mese in frigorifero. Gli ordini di Moderna superano le 800 milioni di dosi e provengono anch’essi soprattutto dai Paesi più sviluppati.
Oxford-AstraZeneca
Aveva destato grosse speranze il vaccino prodotto dalla multinazionale anglo-svedese in collaborazione con l’Università di Oxford, ma allo stato attuale è anche quello che sembra presentare maggiori criticità.
Un prezzo basso (la Commissione europea lo avrebbe pagato appena 1,78 euro a dose) e la conservabilità in un normale frigorifero ne hanno tra l’altro favorito la scelta per il programma Covax, promosso dall’Oms insieme ad altri soggetti e destinato ai Paesi meno sviluppati. A tale riguardo, è arrivata anche l’autorizzazione della stessa Oms limitatamente agli stock prodotti in Corea del Sud e in India (che si è assicurata in questo modo una parte consistente della produzione nazionale). Anche per questo motivo gli ordini sono i più alti in assoluto: più di 3 miliardi di dosi su scala globale.
Da notare come il Regno Unito, giocando d’anticipo con l’autorizzazione concessa già a dicembre, si sia accaparrato molte delle prime dosi, prodotte paradossalmente all’interno dell’Ue, tra Germania, Olanda e Belgio.
Il punto critico del vaccino, che funziona grazie a un vettore virale, è l’efficacia. Quella generale è intorno al 70% (anche se una pubblicazione degli ultimi giorni rivede tale percentuale all’81% semplicemente seguendo diverse tempistiche di somministrazione). Tuttavia, l’efficacia sembra diminuire sui soggetti over 55: alcune perplessità sono state sollevate a riguardo dall’Ema, che ha comunque deciso di autorizzare il farmaco. Un grosso punto interrogativo riguarda inoltre la copertura delle varianti, tanto che il Sudafrica ha deciso di non somministrare le sue dosi. Da notare il fatto che la Fda, l’ente regolatore statunitense, non ha ancora autorizzato l’uso del vaccino negli Usa.
Johnson & Johnson
Ultimo arrivato in ordine di tempo tra i vaccini occidentali (la Johnson & Johnson è una multinazionale statunitense, ma la sua sussidiaria Janssen si trova in Belgio), si basa anch’esso sulla tecnica del vettore virale. È stato approvato finora solamente nel piccolo Stato caraibico di Saint Vincent e Grenadine e in Sudafrica, dove è iniziata una primissima distribuzione a seguito della marcia indietro su AstraZeneca.
L’efficacia generale è più bassa dei concorrenti, attestandosi al 66%, ma il vaccino si conserva tranquillamente in frigorifero e, a differenza di quasi tutti gli altri, richiede un unico dosaggio, cosa che ne aumenta notevolmente la praticità. Su base globale ha già oltre 350 milioni di ordini, nonostante il fatto che, come detto, attenda ancora l’approvazione di gran parte degli enti regolatori.
Gamaleya
Il vaccino russo, prodotto dall’ente nazionale di ricerca epidemiologica ed evocativamente chiamato Sputnik V, è basato sempre su un vettore virale. Ha sorpreso tutti quelli che credevano che il gigante eurasiatico stesse bluffando con i suoi annunci. Certo, in Russia si bruciano un po’ le tappe: lo Sputnik è stato approvato già in agosto, prima ancora che fossero disponibili dati ufficiali.
In ogni caso, una successiva pubblicazione su The Lancet ha dimostrato un’efficacia pari al 92%. Inoltre, con una temperatura di conservazione ragionevole (-18° C ) e un buon prezzo (meno di 10 dollari a dose), il vaccino si candida ad avere molte richieste a livello globale, al momento già pari a oltre 750 milioni di dosi.
A parte la Russia, dove sono state somministrate la maggior parte delle vaccinazioni, lo hanno già approvato altri venti Paesi. Tra questi l’Argentina, il Messico, l’Iran, la Serbia e l’Ungheria, unico membro della Ue (da Bruxelles hanno invece fatto sapere di non aver ancora ricevuto alcuna richiesta di approvazione). Altri carichi potrebbero essere destinati al Brasile e all’India, che dovrebbe anche diventare un hub di produzione, affiancando così i siti russi e kazaki.
Vector Institute
Vaccino peptidico, sempre di provenienza russa, è prodotto nel centro di ricerca statale di Novosibirsk, in Siberia. Anch’esso, come lo Sputnik è stato approvato prima della pubblicazione di dati ufficiali. Si suppone quindi che possa avere una certa diffusione nel Paese, anche se non è ben chiaro quanta.
I vaccini cinesi
Veniamo dunque ai vaccini cinesi, che presentano diverse particolarità. Intanto, in Cina si segue la stessa logica utilizzata in Russia: diversi farmaci sono stati autorizzati già durante le prime fasi di studio. Ma, a differenza dei vaccini russi, le sperimentazioni avvengono non solo in patria, ma anche in diversi Paesi in giro per il mondo (il che ha senso considerato che, allo stato attuale, il Covid in Cina non circola, almeno stando ai dati ufficiali).
L’azienda di Stato Sinopharm ha prodotto un vaccino a virus inattivato, con la collaborazione degli istituti di ricerca biologica di Pechino e Wuhan. Il prodotto, conservabile in frigorifero, ha un’efficacia dichiarata dall’azienda pari al 79%, ma le autorità sanitarie degli Emirati Arabi, uno dei Paesi dove è in corso la sperimentazione, hanno rivisto al rialzo tale percentuale all’86%. Gli ordini di questo vaccino in giro per il mondo ammontano a 230 milioni di dosi. Tra i richiedenti spiccano il Pakistan, l’Indonesia, l’Egitto e, ancora una volta, l’Ungheria.
Risultati contrastanti per il secondo vaccino cinese, Sinovac, prodotto stavolta da un’azienda privata. Anch’esso si serve del virus inattivato e si conserva in frigo.
Studi in Turchia hanno dimostrato un’efficacia alta (91%), subito però ridimensionati dalla sperimentazione indonesiana (65%) e infine da quella brasiliana, con un modesto 50%. Ricordiamo che il Brasile è il Paese da cui è partita una delle varianti più insidiose. Proprio questi tre Stati sono quelli a cui è destinata la maggior parte delle forniture, che in totale ammontano a oltre 350 milioni di dosi.
CanSino, ultimo dei vaccini cinesi, anche se in realtà è quello che ha ricevuto la prima approvazione di emergenza (già a fine giugno), essendo destinato al personale militare. È in effetti sviluppato da un’azienda privata in collaborazione con l’istituto di biotecnologie dell’accademia militare delle scienze. Funziona grazie a un vettore virale e si può conservare in frigorifero; è inoltre l’unico altro vaccino, oltre a quello di Johnson & Johnson, a inoculazione singola.
Spedito anch’esso all’estero per i test sulle popolazioni locali, ha un’efficacia del 66% secondo le autorità sanitarie del Pakistan. Gli ordini in questo caso sono più ridotti (circa 50 milioni di dosi, destinate in prevalenza al Messico).
Bharat Biotech
Anche l’India, autentica potenza in ambito di manifattura farmaceutica, ha un vaccino tutto suo. Prodotto da un’azienda locale in collaborazione con l’istituto nazionale di virologia, funziona con tecnologia a virus inattivato e si conserva in frigorifero. Anche in questo caso, l’autorizzazione di emergenza è stata data prima della pubblicazione di dati precisi. Sappiamo che è stato mandato in giro per il Paese e offerto ad alcuni Stati come Filippine, Bangladesh e Myanmar, che hanno accettato ma non hanno ancora ricevuto le dosi. Sono stati siglati accordi per spedire il farmaco anche in Brasile e perfino negli Stati Uniti.
Gli altri vaccini in arrivo
In fase 3 di sperimentazione e dunque teoricamente vicini al traguardo (non considerando Johnson & Johnson che come detto viene distribuito al momento solo in Sudafrica) sono almeno altri sei vaccini. Due sono occidentali: Novavax (americano) e CureVac (tedesco). Due sono cinesi: Anhui Zhifei Longcom e quello su cui sta lavorando la nazionale accademia delle scienze mediche. Uno è indiano (Cadila Healthcare); uno, infine, è kazako, sviluppato dall’istituto statale di ricerca biologica.
Il dato curioso è che prodotti non ancora sul mercato sono già ampiamente prenotati. Novavax, ad esempio, che finora non aveva mai lanciato un vaccino ma che sta lavorando a uno particolarmente economico, ha già 1,4 miliardi di dosi opzionate (il grosso dall’onnipresente India). Mentre CureVac ne ha 275 milioni, suddivisi tra Ue e Regno Unito.
Rischia invece un clamoroso flop la collaborazione tra due big del settore farmaceutico come Sanofi (francese) e GlaxoSmithKline (britannica). Nonostante ordini per oltre 700 milioni di dosi, lo sviluppo del vaccino è terribilmente in ritardo: difficilmente vedrà la luce prima della fine dell’anno.
Paradossalmente è molto più avanti la piccola Cuba che, soggetta a sessantennale embargo da parte degli Usa, ha trovato il modo di sviluppare un suo vaccino grazie al lavoro dell’istituto nazionale di ricerca epidemiologica. Il farmaco, chiamato orgogliosamente Soberana, sembra essere giunto a un buono stadio di sviluppo, tanto che il governo ha annunciato che verrà somministrato gratuitamente ai turisti che visiteranno l’isola.
E l’Italia? Un po’ a rilento, ma ci siamo anche a noi. Il vaccino 100% made in Italy, sviluppato dall’azienda laziale ReiThera insieme all’Istituto Spallanzani, è da poco entrato nella fase 2. Con un po’ di ottimismo, potrebbe essere pronto per settembre.
Più in generale, in giro per il mondo ci sono attualmente oltre 250 compagnie che stanno lavorando a un vaccino.
In chiusura, andiamo a vedere quali sono i Paesi con maggiore copertura vaccinale sul totale degli abitanti. Decisiva, a tale proposito, è la quantità di vaccini immediatamente consegnati (al momento, a livello mondiale siamo intorno ai 200 milioni), oltre ovviamente alla predisposizione di piani vaccinali efficienti. Sotto questo punto di vista, sono messi bene Stati Uniti e Regno Unito, meno l’Unione Europea.
Ma la nazione che sta andando meglio di tutti è Israele, con quasi un abitante su due che ha ricevuto almeno un’inoculazione (e i risultati in termini di diminuzione dei contagi sono più che confortanti). Se consideriamo anche i microstati e i territori non autonomi, Gibilterra fa ancora meglio, mentre al terzo posto troviamo, sorprendentemente, le isole Seychelles. Appena fuori dal podio gli Emirati Arabi Uniti.
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