Sleepless Biden
di L’INTELLETTUALE DISSIDENTE (Emanuel Pietrobon)
Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno commesso l’errore di non comprendere il vantaggio del semi-isolazionismo di Donald Trump. Oggi, la definitiva “americanizazzione” dell’Unione Europea rischia di trovare la sponda perfetta con la nuova amministrazione statunitense.
La classe dirigente dell’Unione Europea è nota per il possesso di alcune caratteristiche per nulla invidiabili che la rendono drammaticamente incapace di essere all’altezza delle sfide dei tempi. Non è così da oggi, ma da ieri, dove per ieri si intende la fine della guerra fredda: trent’anni di pura insipienza politica. Invero, lo statismo richiede mentalità strategica, pragmatismo, machiavellismo, lungimiranza e una certa dose di spavalderia muscolare – Erdogan docet –, e in nessun caso gli alti papaveri europei possiedono simultaneamente ognuno di questi ingredienti. Da Emmanuel Macron ad Angela Merkel, passando per Pedro Sanchez e Mark Rutte, l’ingrediente che manca è sempre uno: la spavalderia muscolare. La spavalderia significa coraggio, coraggio di ricorrere alla diplomazia delle cannoniere e del bastone e della carota, coraggio di ammettere che la storia non è finita – o meglio, è finita soltanto per l’Occidente – e che il mondo trasuda la solita anarchia di sempre, ovverosia che nelle relazioni internazionali è ancora un bellum omnium contra omnes perché homo homini lupus e così sarà sempre.
Il duo Macron–Merkel è avanti anni luce rispetto alla mediocrità che impera su gran parte dell’Ue, ma la pavidità è una malattia degenerativa che, se non curata, conduce alla morte. L’asse franco-tedesco, forse, sopravvivrà alla prova della storia – del resto, ha dimostrato di funzionare e il Vecchio Continente ha bisogno di una guida –, ma Macron e Merkel no. Statisti? Senza dubbio. Giganti della politica? Non proprio. I due avevano e hanno un sogno; rendere l’Europa (più) autonoma dagli Stati Uniti, ma hanno sprecato quattro anni preziosi – l’era Trump – durante i quali avrebbero potuto dare impeto ai propri progetti e, adesso, con l’insediamento del sottovalutato e incompreso Joe Biden alla Casa Bianca, tutto è perduto. L’autonomia strategica di Macron è un capitolo chiuso, che non verrà riaperto. E i sogni eurasiatici della Merkel sono morti, almeno per ora. Risorgeranno, certamente, perché la weltanschauung tedesca è innatamente votata all’egemonia mondiale e ha lo sguardo posato più verso l’Asia che verso l’Europa. Perché l’Europa, per la Germania, è una gabbia ab immemorabili. L’homo germanicus ha sempre visto e cercato il proprio lebensraum ad Est, dove sorge il Sole, nella consapevolezza che il Vecchio Continente è, per l’appunto, troppo vecchio, oltre che piccolo e stretto.
Trump, disinteressato – ma non troppo – alle sorti dell’Ue, ritenuta più un rivale da mettere in riga che un alleato a cui delegare funzioni, ha servito a Macron e Merkel il loro sogno su un piatto d’argento. Ma è stato incompreso, persino deriso, e combattuto; quando, al contrario, la sua visione basata sul semi-isolazionismo e sui disimpegni strategici avrebbe dovuto essere sostenuta, supportata, galvanizzata, nutrita. Attendere una vita intera il passaggio di un momento fuggevole, preparandosi a catturarlo, e poi, una volta davanti, lasciarselo scappare perché non si è stati in grado di riconoscerlo. Questo è accaduto negli anni di Trump. Ed è accaduto anche per via dell’assenza di quella soprascritta spavalderia muscolare che ha impedito a Macron e Merkel di difendere i loro interessi laddove minacciati, mostrandosi dei combattenti per l’autonomia strategica a fasi alterne. Ma i sogni richiedono costanza, dedizione e tenacia, non volubilità e codardia.
Ripiegata nel cassetto la maglia dell’autonomia strategica, il nipote di Napoleone e l’erede di von Bismarck hanno indossato subitaneamente la felpa scolorita dell’atlantismo. Perché gli Stati Uniti sono una matrigna che non educa, punisce, e che non ama, odia, ma di cui non ci si può liberare per paura di ritorsioni, disparità di forze e assenza di una propria visione. La Germania, per quanto predichi il multipolarismo, nei fatti continua ad accettare la sudditanza alla matrigna: le sanzioni alla Russia, la strumentalizzazione del caso Navalny, l’appiattimento all’agenda estera degli Stati Uniti su ogni fascicolo internazionale. Biden ha proposto un vertice delle democrazie, Berlino ha risposto proponendo un piano Marshall per salvare le democrazie liberali. Biden ha chiesto un ritorno al multilateralismo, la Merkel ha recentemente auspicato la formulazione di un’agenda estera transatlantica comune, estesa da Mosca a Pechino. Non è necessario il dono della preveggenza per sapere – con assoluta certezza – come andranno le cose: sarà un’agenda scritta da Washington e accettata da Bruxelles senza previa lettura.
I rapporti euroatlantici continueranno a viaggiare su un doppio binario, ma la prospettiva del disallineamento integrale è sempre più lontana. L’occasione era Trump, ed è passata. Biden, il sottovalutato e l’incompreso, farà leva sul multilateralismo e sullo spauracchio del mondo libero in pericolo per rinsaldare la comunità euroatlantica, aumentando la morsa degli Stati Uniti sulla debole e vile Europa, potendo contare sull’appoggio indiretto di statisti come Merkel e Macron: teoricamente contrari ad un’americanizzazione ulteriore dell’Europa, ma praticamente incapaci e/o nolenti di evitarla.
Biden, tutt’altro che sleepy, è uno sleepless, un padrino del Partito Democratico legato a doppio filo con il complesso militare-industriale nordamericano e attivo nella gestione di dossier delicati sin dai primi anni ’90: dalle guerre iugoslave alle invasioni di Iraq e Afghanistan. Burattino di altri? Forse. Probabilmente sì. Ma i presidenti sono dei semplici attori che prestano il volto ad una sceneggiatura scritta da altri – questo vale negli Stati Uniti e in tutto il mondo. Sbaglia chi crede che Biden sia un pupazzo nelle mani di Kamala Harris o Antony Blinken: questa era ed è un’immagine preconfezionata, fondata sul pregiudizio e sull’ignoranza degli schemi che regolano la politica. Se Biden è pupazzo di qualcuno, sicuramente non lo è di altri due pupazzi – il regista, o l’eminenza grigia, non ha un nome né una forma, è immateriale, senza tempo e permea il Sistema Stati Uniti: è il cosiddetto Stato profondo.
Quel regista, adesso, superato il paragrafo Trump, ha intenzione di ristendere il controllo sul secondo cortile di casa dell’America, ovvero l’Europa, e tutto indica che potrebbe riuscirci: mancano gli statisti in grado di opporsi al disegno, manca l’unità di intenti, manca una visione comune. Si continuerà a litigare, perché fratelli coltelli e perché il rapporto tra Stati Uniti ed Europa regge su un miscuglio di amore e odio, ma ogni europeismo contemplante l’autonomia strategica non vedrà mai luce fino a quando la pavidità post-storica verrà preferita al coraggio. Questi saranno gli anni del grande ritorno delle “coalizioni dei volenterosi” e i primi due mesi dell’amministrazione Biden ne sono la dimostrazione.
Fonte: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/esteri/sleepless-biden/
Finché il sistema usa salti…. O se salta.