da TERMOMETRO GEOPOLITICO
In occasione della riunione annuale plenaria del parlamento cinese, le cosiddette Due Sessioni, si definiscono le politiche economiche per il 2021, per i prossimi cinque anni e per i prossimi quindici anni. Si mettono, dunque, le basi per uno sviluppo futuro che le aziende italiane devono ben conoscere per definire le proprie strategie.
Quanto all’anno in corso, l’interrogativo principale nelle anticipazioni era sulla eventuale rinuncia a un obiettivo di crescita del Pil predeterminato per il 2021. Una pratica questa che nel corso degli anni aveva costretto Pechino ad affannose rincorse all’ultimo decimale per non venire meno alla parola data, dovendo però fare affidamento sull’aumento della spesa pubblica, non più sostenibile dopo lo stimolo del 2008 che aveva compensato il calo della domanda internazionale in conseguenza della crisi finanziaria internazionale. La decisione finale è stata quella di fissare un target di crescita “superiore al 6%” che risulta inferiore a quello che si poteva evincere sommando i target fissati dalle province (+6,8%) e di quasi due punti sotto alle previsioni dell’IMF e della Banca Mondiale di un rimbalzo nel 2021 al +8%. Si tratta dunque di una scelta conservativa che lascia margine d’azione.
Nelle prossime settimane, inoltre, verrà approvato il Quattordicesimo piano quinquennale, le cui linee guida sono già state identificate in occasione del Quinto Plenum – la riunione plenaria del comitato centrale del PCC – dello scorso ottobre.
La novità è che per la prima volta da un orizzonte quinquennale ci si è posizionati su uno di quindici anni, identificando il percorso al 2035 come punto di passaggio fondamentale per conseguire i risultati di “piena modernizzazione” che nel 2049 potranno far dichiarare al Partito che il Sogno Cinese preconizzato da Xi Jinping nel 2012 è finalmente realtà. Quali le linee allora? L’elemento centrale è quello della doppia circolazione, un’immagine costruita sull’integrazione fra una dimensione internazionale fatta di interscambio e flussi di investimento (circolazione esterna) e una domestica caratterizzata da consumi interni e aumento della qualità della produzione in funzione di una sostanziale autarchia tecnologica nei settori strategici (circolazione interna). Il punto fondamentale è la coesistenza delle due circolazioni, ma dando un sempre maggiore peso a quella interna. In sintesi, come riportato da Zichen Wang nel suo blog Pekingnology riprendendo le parole di Xi Jinping, tutto ruota attorno allo “spirito del Quinto Plenum” che si traduce in un contesto di fondo che prende il nome di “nuovo livello di sviluppo” e che caratterizzerà gli anni dal 2021 al 2049, con un “tagliando” nel 2035. Una “nuova filosofia di sviluppo” che dovrà essere innovativo, coordinato, verde, aperto e condiviso; e, infine, un “nuovo paradigma di sviluppo” ovvero la messa in pratica di questi concetti e che prende le vesti della strategia della doppia circolazione.
Bene, se la “teoria” è definita, resta da mettere a punto la “pratica”. Il 2020, infatti, si è chiuso dimostrando come la transizione da una economia dipendente dalle esportazioni e dagli investimenti – un problema già identificato ai tempi del “new normal” del 2015, quando si decise proprio di definire un nuovo modello di sviluppo passando dalla quantità alla qualità – non sarà un compito semplice. I tempi diversi del manifestarsi dell’epidemia in Cina e nel resto del mondo e le risposte alla crisi economica non coincidenti – stimoli alla produzione in Cina e sostegno ai consumi nel resto del mondo – hanno generato un disallineamento per cui, proprio nell’anno in cui Pechino avrebbe dovuto ridurre il proprio surplus commerciale con gli USA come da accordi stipulati il 15 gennaio con Trump nel Phase-1 Agreement, la bilancia commerciale ha raggiunto il valore positivo di 535 miliardi di dollari con una crescita del 27%.
Allo stesso tempo, il contributo delle esportazioni nette alla crescita del Pil si è attestato nell’anno della pandemia al 28%, il valore di gran lunga più alto di questo secolo e che nell’ultimo decennio aveva sfiorato il 10% solo nel 2015 conseguendo invece valori negativi in più occasioni. Specularmente, le vendite al dettaglio sono ben lontane dalla tanto auspicata “ripresa a v” – a un calo netto si affianca una altrettanto netta ripresa – che ha contraddistinto la produzione manifatturiera. Se nel dicembre del 2019 il tasso di crescita mensile delle vendite era stabilmente attorno all’8%, il valore del 2020 è di un +3,9% frutto di un calo superiore al 20% nei primi due mesi dell’anno e di una ripresa che però non è mai andata oltre il +5% di novembre, rallentando ancora al +4,6% in dicembre. I consumi, dunque, sono tornati a crescere già ad agosto, ma non hanno ancora ripreso il passo che avevano prima della pandemia.
La volontà di Pechino di spingere sui consumi interni è, però, ampiamente consolidata. Tra gli ostacoli da superare c’è l’armonizzazione degli interessi di breve periodo – mantenere alti tassi di crescita attraverso export e investimenti – o conseguire la revisione strutturale verso i consumi interni, ma probabilmente a spese della crescita nell’immediato. Avere un target di crescita non troppo elevato è allora sicuramente d’aiuto in favore delle riforme strutturali, anche se un eventuale risultato troppo sotto la previsione ormai consolidata di un rimbalzo all’8% nel 2021 potrebbe innestarsi come soglia, quantomeno psicologica, per valutare l’andamento della ripresa cinese.
Imprese italiane: che fare?
Definito il contesto, come dovrebbero comportarsi le aziende italiane in affari con la Cina? Alcune utili indicazioni emergono dal rapporto elaborato dal Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina (CeSIF) intitolato Il ruolo delle PMI nelle relazioni fra Italia e Cina: analisi di scenario e indicazioni di soci e imprese che contiene i risultati di un questionario sottoposto a 180 PMI rispetto alla loro attività con la Cina e le conseguenti percezioni.
In più di una risposta, le aziende hanno indicato di vedere la Cina soprattutto come mercato di sbocco per i propri prodotti, preferendo questa opzione all’indicazione della Cina come sede per la produzione di prodotti a basso costo. Nonostante il prezzo inferiore sia ancora individuato come una delle ragioni della forza competitiva di aziende cinesi presenti nello stesso settore, nel questionario viene attribuita poca importanza alla possibilità di spostare la produzione in Cina per andare incontro a minori vincoli ambientali o contrattuali. Una tale prospettiva ben si sposa con la promozione della circolazione interna, una indicazione del fatto che le aziende italiane hanno compreso pienamente il senso della transizione in corso della Cina da luogo della produzione a luogo del consumo.
Con una qualche sorpresa, dal questionario è inoltre emerso come la risposta alla crescita qualitativa della produzione industriale cinese non dovrebbe limitarsi a chiusure doganali, quanto piuttosto concretizzarsi in una crescita della competitività italiana grazie a maggiori investimenti in ricerca e sviluppo. Si tratta di una dimostrazione di grande maturità e consapevolezza sulla dimensione dei processi in corso in Cina, che, come descritto in precedenza, hanno un orizzonte trentennale e dunque vanno affrontati alla radice. Per cogliere le opportunità derivanti dalla crescita del mercato emerge con forza l’esigenza di presentarsi con partner italiani o europei dopo aver seguito un percorso di accompagnamento promosso da enti o associazioni di categoria nazionali o territoriali.
Infine, il digitale rappresenta allo stesso tempo la porta d’ingresso per chi ne ha compreso il valore in Cina e il massimo ostacolo per chi non riesce ad adattarsi a una modalità di vendita che con la pandemia ha preso ancora più piede. Nel 2020, mentre le vendite al dettaglio sono calate del 3,9%, quelle digitali sono cresciute del 14,8% e oggi rappresentano il 24,9% del totale.
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