Nella nuova fabbrica dove cambia il lavoro
di ARIANNA EDITRICE (Mario Bozzi Sentieri)
Nel 2018 l’Italia ha esportato beni per 463 miliardi di euro, prodotti da oltre quattro milioni di lavoratori dell’industria. E’ il segno immediato di un Paese che continua a collocarsi ai vertici dei produttori manifatturieri del mondo. Malgrado ciò la nuova dimensione della Fabbrica e del Lavoro che la anima continua ad essere sottovalutata. A cominciare dalla rottura della vecchia divisione tra operai ed impiegati. Oggi entrambi lavorano fianco a fianco, utilizzando spesso i medesimi tablet e computer, seppure con funzioni diverse, ma spesso integrandosi, in ragione del miglioramento dei processi produttivi.
L’idea dell’operaio fordista appartiene al passato. La stessa logica del prodotto standardizzato, risultato di un processo ripetitivo di “assemblamento” delle diverse componenti, lascia gradualmente il campo ad oggetti “personalizzati”, unici seppure prodotti in serie, in quanto segnati dall’apporto creativo del lavoratore.
E’ il cosiddetto ingaggio cognitivo, ovvero la possibilità data agli operai di non lavorare solo con le mani, ma di contribuire al miglioramento del processo produttivo anche con idee o comunque con un ruolo attivo nell’organizzazione del lavoro.
L’operaio mero esecutore lascia il campo all’operatore “integrato”, capace di dialogare con le macchine ma anche di formulare proposte autonome, in grado di migliorare il valore aggiunto del prodotto.
Nel contempo la nuova fabbrica dilata i suoi spazi produttivi e creativi, sia alla base che al vertice della catena produttiva.
Alla base l’attività manifatturiera si alimenta dell’abilità e della conoscenza del prodotto da parte dell’operaio, in grado di migliorane la qualità e di determinarne – ove richiesto – l’unicità.
Al vertice l’azienda dovrà essere sempre più integrata con il territorio, con i centri di ricerca, con le università, diventando il collettore della capacità innovativa, dell’abilità manifatturiera, dell’immaginazione e dell’emozione espressi dal prodotto. Al punto che si dovrà parlare di hub manifatturieri, all’interno dei quali favorire la crescita di imprese in grado di assemblare oggetti complessi.
Al centro di questi processi di trasformazione c’è la figura del lavoratore sempre più consapevole del proprio ruolo, attivo rispetto alle scelte aziendali, capace di “fare squadra” piuttosto che – come nel passato – di “essere in squadra”, gerarchicamente subalterno e passivo. Il modello è quello dell’azienda “orizzontale”, lungo le linee produttive, in grado di collocare allo stesso livello funzionale manager, tecnici, operai specializzati. Non sono solo ipotesi di lavoro o elaborazioni di qualche sociologo d’avanguardia. Sono la realtà dei sistemi di organizzazione produttiva adottati dalle industrie capofila delle filiere aziendali, attraverso il cosiddetto World Class Manufacturing (WCM): un programma di innovazione basato sul miglioramento continuo, con un sistema integrato di derivazione Giapponese, che prevede l’eliminazione di ogni tipo di spreco e perdita (Muda) con il coinvolgimento di tutti, attraverso l’impegno rigoroso di metodi e standard.
L’implementazione del programma di ciascuno pilastro avviene secondo sette passaggi che portano l’azienda da uno stato Reattivo (si reagisce quando nasce un problema) ad uno Preventivo (utilizza le esperienze per evitare il ripetersi di problemi già verificatesi, incluso problemi simili in altre condizioni), per traguardare uno stato Proattivo (in accordo con l’analisi di rischio Risk Assessment, utilizza le appropriate azioni correttive per prevenire la possibilità che accada uno specifico problema).
Un ruolo fondamentale in questi processi d’integrazione, lavorativi e sociali, è la formazione permanente, attraverso la nascita di vere e proprie scuole del lavoro dentro le fabbriche.
Si tratta di strutture semplici, affidate a squadre di pochissimi elementi specializzati, che ospitano aule o laboratori dove gruppi di lavoratori vengono invitati a studiare e a rielaborare i processi produttivi nella più totale libertà. Lo scambio capitale-lavoro in queste strutture produce operazioni win-win: lavorare meglio significa permettere al lavoratore di esprimere il proprio talento creativo, ma si traduce anche in una sensibile riduzione dei costi.
Siamo agli albori di un nuovo Umanesimo ? La sfida è certamente su questo piano. Quello che Giovanni Gentile individuava come il portato di una nuova cultura, di una nuova dignità per il lavoratore, che proprio perché tale crea la sua umanità.
A questo, anche a questo, invitano a pensare la “nuova fabbrica” ed i nuovi modelli organizzativi del lavoro: ad un lavoratore “qualitativamente e quantitativamente differenziato attraverso il lavoro che compie”, in grado di dare il proprio contributo ai nuovi processi produttivi.
Fonte: https://www.ariannaeditrice.it/articoli/nella-nuova-fabbrica-dove-cambia-il-lavoro
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