Sicurezza vs produttività tra teoria e realtà
Anno 2021, ennesima morte bianca, un’altra vita spezzata sul posto di lavoro. Nonostante tutti gli sforzi prodotti in questi ultimi anni in materia di sicurezza sul lavoro, i casi come quest’ultimo non si arrestano, e lasciano rabbia, sgomento ed incredulità.
Va ricordato, infatti, che il decreto legge 81 del 2008, con le sue successive implementazioni, non ultima quella dell’anno scorso, causa covid, è un documento esaustivo ed importante che norma sapientemente tutte le attività lavorative; inoltre, va ricordato soprattutto che già dal 1994 è stato introdotto il DVR, ovvero il Documento di valutazione dei rischi, che ogni azienda, pubblica o privata deve avere e che valuta ogni tipologia di rischio sul posto di lavoro, normandone le procedure.
Tale DVR è redatto dal datore di lavoro con l’ausilio del RSPP (responsabile sicurezza prevenzione e protezione) e dal medico curante aziendale, visionato poi dal RSL. Per i lavoratori, tali documenti infatti donano una visione chiara del lavoro svolto delegando responsabilità, anche penali, su ogni situazione anormale che possa presentarsi e creare danno ai lavoratori.
Quindi è chiaro che per la legge ormai la vita umana sul luogo di lavoro è sacra e va tutelata: il punto è che tale principio è storicamente in contrapposizione con la produttività, e trovare una sintesi accettabile non è sempre semplice, soprattutto visti i periodi attuali, in preda a deliri liberali.
Da qui la riflessione da fare: o proseguire in suddetta direzione, dettata da vera civiltà e progresso, dando sostanza a tali implementazioni, oppure lasciare che tutto ciò rimanga solo lettera morta, non applicata realmente, e dare discrezionalità soggettiva a chi sceglie di seguire codeste regole, oppure al contrario il proprio profitto, sacrificando sull’altare della produttività la vita umana, scegliendo in base alla propria coscienza e non alla legge vigente.
Sul caso della povera ragazza le autorità competenti stanno già indagando ed io non voglio dire nulla. Come RLS rimango sgomento e mi pongo mille interrogativi; però, nonostante ciò mi sento solo di esprimere vicinanza ai familiari, nella speranza prima o poi di apprendere che tali notizie appartengano solo ad un passato ormai sepolto.
MAURO ESPOSITO (RI Torino)
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Tra le altre cose mi occupo per professione di Sicurezza del Lavoro. Nel 2020 sono 554.340 gli infortuni sul lavoro denunciati all’Inail, in calo del 13,6% rispetto ai 641.638 dell’anno precedente (rapportati esattamente al calo della produzione) ma 1.270 quelli con esito mortale, 181 in più rispetto ai 1.089 del 2019 (+16,6%). Questo significa che pur di non essere licenziati, i lavoratori hanno accettato condizioni di lavoro meno sicure rimettendoci la pelle.
Sono tre le considerazioni da fare.
La prima è che la sicurezza costa e incide sulla produttività e, malgrado ciò, non esistono reali incentivi economici per le aziende che investono nella sicurezza.
La seconda è che le pene previste per non aver rispettato le norme di sicurezza sono ancora troppo lievi e “sopportabili” perché incidono soprattutto in termini pecuniari a un livello sostenibile (conviene rischiare).
La terza: ancora oggi, per certe categorie di datori di lavoro è consentito essere controllori di sé stessi assumendo la carica di RSPP (Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione) – assurdo! -, ben sapendo che i controlli e le ispezioni serie di terza parte, ad esempio quelli operativi e quelli sul rispetto della direttiva macchine e sui dispositivi di sicurezza a bordo, sono scarsi e infrequenti.
Una buona riforma dell’impianto della legge di riferimento 81/08 e delle strutture di controllo, associata alla cogenza nella attuazione di sistemi di gestione della sicurezza del lavoro, salverebbe migliaia di vite. Ma le leggi sul vino le fa l’oste e i lavoratori continueranno a morire.
NICOLA DI CESARE (RI Cagliari)
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