Il problema della sovranità energetica dall’unità d’Italia sino ad oggi (Parte Prima)
di QELSI QUOTIDIANO SOVRANISTA (Leonardo Giordano)
All’indomani della proclamazione dell’Unità d’Italia, oltre al problema del risanamento del bilancio per pagare i debiti contratti nelle tre guerre d’Indipendenza e durante il Risorgimento, cui si riuscì a far fronte utilizzando le ingenti risorse finanziarie e materiali del Regno delle Due Sicilie, si pose anche il problema delle fonti di energia con le quali alimentare le prime fabbriche che andavano sorgendo.
Ricorrere al carbone importato dalla Gran Bretagna e dalla Germania, come si fece inizialmente, voleva dire essere costretti a produrre unicamente per il mercato interno e ad erigere barriere doganali al fine di bloccare l’importazione di prodotti a buon mercato dall’estero. All’ingresso nel secolo XX, siamo nel 1905, l’industria italiana, secondo i dati riportati da Gioacchino Volpe, poteva contare su 117.000 opifici ed imprese, 800.000 cavalli di forza motrice, 1.400.000 operai.
Occorreva allora impostare una strategia per guadagnare ampi spazi di autonomia e sovranità energetica. Si riuscì ad avviare un processo virtuoso investendo e puntando sull’energia idroelettrica e quella geotermica, fonti che la situazione idrogeologica italiana consentiva con ampi margini:‹‹ E noi di questa forza ne possedevamo nelle nostre montagne, nei nostri fiumi, tesori ritenuti inesauribili. […] Avevamo, al posto del carbone nero, ricchezza e miseria dei paesi che lo possedevano, il carbone bianco …”La forza idraulica ci emanciperà dal carbone inglese e ci farà diventare una delle nazioni industriali più floride” aveva proclamato alla Camera, il 10 maggio 1894, Giuseppe Colombo, Deputato e ingegnere e professore del Politecnico di Milano.››
Agli inizi del secolo si giunse a produrre in Lombardia 500.000 cavalli dinamici da impianti idroelettrici e, dopo alcuni anni, altri 250.000 in Piemonte, poi si passò sugli Appennini, in Umbria, sfruttando le cascate del Velino. Motori elettrici di accresciuta potenza presero il posto di motori a vapore: dai 4.000 motori elettrici del 1903, si passò ai 60.000, per circa 600.000 cavalli, nel 1911. Tutto ciò stimolò tanto ottimismo circa il futuro energetico dell’Italia che Francesco Saverio Nitti arrivò ad ipotizzare ‹‹ un grande demanio statale di quelle forze e proponeva senz’altro un miliardo di debiti per la produzione e la distribuzione governativa dell’energia ››, insomma una prima bozza d’idea di quello che successivamente sarebbero divenute l’Agip e l’Eni.
Nonostante gli evidenti progressi e il sostanziale aumento della forza motrice prodotta con fonti energetiche italiane, si era ben lungi dall’aver conseguito un grado soddisfacente di autonomia energetica. Dice ancora Gioacchino Volpe:‹‹L’utilizzazione stessa delle acque a scopo idroelettrico, che parve dovesse liberar l’Italia da costosi tributi e fornire a tutti energia a buon mercato, dopo aver raggiunto buone vette nel 1907, si fermò. Sfruttate le migliori deviazioni, gli impianti diventarono via via più costosi a costruir e mantenere, e venne meno la convenienza di abbandonare il vecchio carbone ››. Molto influirono i ritardi nella ricerca di tecnologie meccaniche più avanzate, l’arretratezza di un’industria meccanica in grado di fornire macchine e motori che rendessero conveniente lo sfruttamento dell’energia idroelettrica anche nelle condizioni idrogeologiche meno agevoli, il dover dipendere da capitali stranieri che detenevano il controllo del sistema bancario italiano. Volpe parlava, al riguardo, di ‹‹ un disegno, un proposito, una volontà, non tanto italiana quanto straniera, attuantesi per mezzo delle banche, in cui stranieri, specialmente tedeschi, erano assai potenti: gente interessata, sì, allo sviluppo delle industrie nostrane, specialmente di quelle che impiegavano poco lavoro, come era la idroelettrica, ma per avvantaggiar le proprie industrie, anzi per tener le altre legate sempre al proprio carro industriale, in una dipendenza che poteva estendersi anche a gelosissimi campi della attività nazionale.››
Nel 1926 nasce l’Agip, come azienda di natura giuridico – privata ma che aveva nello stato il principale azionista, Daniele Pozzi la definisce ironicamente “una holding pubblica molto privata”.
Su questo giudizio molto pesa l’esperienza della prima direzione , affidata ad Ettore Conti, un imprenditore privato, pioniere dell’industria elettrica di inizi Novecento, e all’influenza che vi esercitò il Ministro delle Finanze dei primi anni del Ventennio, Giuseppe Volpi da Misurata il quale aveva degli interessi d’affari nel mondo petrolifero. Un altro giudizio negativo e sarcastico sull’Agip ai tempi del Fascismo fu quello dei liberali antifascisti, interessati alla sua liquidazione dopo la fine della seconda guerra mondiale. Secondo costoro l’acronimo stava per “Agenzia Gerarchi in Pensione” poiché spesso alla sua direzione vi venivano mandati gerarchi dal potere “in declino”.
Al di là però di questi giudizi (se non pregiudizi) sicuramente superficiali, vari e cospicui sono i meriti dell’Agip durante il Ventennio. Innanzitutto le sue finalità statutarie erano ampie e moderne, ritagliate davvero sulla necessità di giungere ad un’ampia autonomia energetica e all’affrancamento dalla dipendenza dal carbone. Si andava dalla “ricerca e coltivazione di giacimenti petroliferi” “al trattamento industriale”, dal “commercio di prodotti petroliferi” a “qualsiasi operazione finanziaria, industriale, immobiliare, comunque connessa o attinenti gli scopi sociali”.
A ciò si aggiungano altri meriti riguardanti fatti e realizzazioni reali che, se non si fossero verificati effettivamente, rivelando le enormi potenzialità di questo Ente, difficilmente Enrico Mattei, che aveva avuto il mandato di porla in liquidazione, l’avrebbe salvata e da essa avrebbe derivato l’Eni. Pesava nel giudizio negativo sull’Agip “fascista” anche la pressione americana che voleva sgomberare il campo della ricerca e coltivazione di giacimenti petroliferi da ogni possibile concorrente interno. Dice Italo Pietra, uno dei più fidati collaboratori di Mattei: ‹‹Alla linea del presidente dell’Azienda (il Senatore Pedretti) fa riscontro l’atteggiamento dell’amministrazione alleata, che è molto sensibile ai problemi del petrolio e che ce l’ha con l’Agip come ex pupilla del regime e azienda statale. In considerazione del fatto che gli impianti della Esso e della Shell, sequestrati durante la guerra, sono stati gestiti dall’Agip, si entra in azione per mettere l’Agip a terra e per “mangiare tutta la frittata.”››
Ma quali sono i punti di forza dell’esperienza Agip durante il Ventennio? L’introduzione di importanti innovazioni tecnologiche per le perforazioni. Per esempio nel 1929 il presidente Giarratana adotta il sistema di perforazione definito “rotary” con trivelle a punte ruotanti oltre che “a percussione”. Tale sistema permetteva migliori risultati in termini di rapidità e profondità delle perforazioni. Nel 1938, a seguito di un viaggio negli Usa di due tecnici Agip, viene introdotta la tecnica della “sismica a riflessione” che facilitava la ricerca di giacimenti di idrocarburi. Si registrò una massiccia assunzione di geologi che potessero lavorare in sinergia con tecnici ed ingegneri nel campo della ricerca dei giacimenti: ‹‹ Iniziava in questo modo – chiosa Daniele Pozzi- anche in Italia il lento processo di formazione di una “geologia del petrolio”, sempre più lontana dall’impostazione “naturalistica” che la disciplina aveva avuto tradizionalmente, ma invece aperta alle esigenze pratiche dell’industria.››
Di questo arricchimento di risorse del personale e delle competenze beneficiarono nel dopoguerra l’Agip e l’Eni di Mattei. Nel campo della commercializzazione furono stretti rapporti di collaborazione e partnerariato con altri paesi, al fine di sfuggire ai condizionamenti delle grandi compagnie anglo-americane, Standard Oil e Shell in testa a tutte. Infatti si fecero accordi con la Romania (1934) e con l’Urss (1924). Si fa persino un tentativo, solo parzialmente riuscito, di entrare nel mercato dell’Iraq (1929) facendo leva sul voto a favore dell’ingresso dell’Iraq nella Società delle Nazioni che l’Italia si era impegnato a dare.
Tra il 1936 ed il 1940 vengono rinvenuti nella penisola diversi giacimenti di metano, quello che, in altri termini, poteva essere considerato un “carburante autarchico” e che rappresentò uno dei pilastri delle politiche energetiche di Enrico Mattei nel dopoguerra. Quando il “petroliere “ di Matelica assunse le redini dell’Agip vi trovò un “bagaglio” di competenze e di know how molto significativo. Daniele Pozzi così sintetizza questo lascito importante: ‹‹ Una certa etica “pionieristica”, quindi, e forti legami personali, che saranno alcuni degli elementi caratterisitici dell’Agip di Mattei, iniziarono dunque durante la guerra, nei cantieri padani che attendevano la fine del conflitto per riprendere, su basi nuove, il proprio lavoro.››
Quando Mattei assunse la direzione dell’Agip si pose il problema se dare o meno fiducia ad uno dei migliori tecnici “fascisti” dell’Agip: l’ingegner Carlo Zanmatti. Egli si persuase che meglio sarebbe stato evitare stupide ritorsioni ed epurazioni quando Zanmatti gli relazionò sull’esito positivo delle ricerche di idrocarburi nella Val Padana e lo convinse che aveva tenuto segreti tali esiti ai tedeschi. Un “fascista” ed un “antifascista” si incrociarono ed incontrarono sul tema dirimente della sovranità energetica. (Segue)
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