Napoleone III e la sua influenza nel processo di unificazione italiana
di NUOVA RIVISTA STORICA (Luigi Morrone)
La società editrice Dante Alighieri pubblica, nella meritoria collana “Biblioteca di Nuova Rivista Storica”, diretta da Eugenio Di Rienzo, gli atti del Convegno Napoleone III e il Secondo Impero. L’unificazione italiana e la politica europea, svoltosi nelle giornate del 9 e del 10 dicembre 2020 presso il Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Catania.
Frutto di una collaborazione con alcune Università francesi e l’Università di Mosca, il convegno ha affrontato il problema storiografico costituito dalla figura di Napoleone III, soprattutto nel quadro delle relazioni internazionali in cui s’inserì il “Secondo Impero” francese.
Figura controversa, quella di Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, nipote di Napoleone I, la cui ombra aleggiò su tutta la vita del nipote.
Gli studi, per molti anni, hanno risentito di pregiudizi negativi, riassumibili nella valutazione tranchante di Jacques Bainville, secondo cui Napoleone III aveva compromesso la sicurezza della Francia «Lavorando alla rivincita di Waterloo attraverso la distruzione dei trattati del 1815 e l’affermazione dei principi di nazionalità». La negatività dei giudizi della storiografia ha indotto gli storici ad una rivalutazione della figura di “Napoleone il Piccolo”, a partire dal 1972, con lo studio di Jeanne Henri-Pajot dall’emblematico titolo: “Napoléon III. L’empereur calomnié”.
Dopo goffi tentativi insurrezionali, Luigi Napoleone emerge dopo le temperie del 1848, arrivando alla Presidenza della Repubblica in una Francia sconquassata da vicende tumultuose: il ritorno dei Borbone sul trono prima con Luigi XVIII, poi con Carlo X, travolto dalla fronda parlamentare e dai moti di piazza; la “monarchia di luglio” di Luigi Filippo d’Orléans, a sua volta sopraffatta dalle barricate della Comune. La “Seconda Repubblica” francese nasce, però con un vizio di fondo: viene istituita una figura presidenziale di cui non vengono definiti i contorni, e – soprattutto – i suoi rapporti con l’Assemblea, sì da portare al conflitto tra le due istituzioni, che a sua volta conduce al “colpo di Stato” del 2 dicembre 1851, bollato come “farsa” da Engels. E la Costituzione che nasce dal “colpo di Stato”, quella del 1852, attribuisce il titolo di chef de la République per 10 anni a Napoleone “il piccolo” (così chiamato da Hugo nella seduta dell’Assemblea del 17 luglio 1851, nomignolo che sarà il titolo di un velenoso pamphlet che il romanziere scriverà in esilio).
Dieci anni. È la durata del mandato a Napoleone “il Grande” come “primo Console” dopo il colpo di stato del 18 brumaio (9 novembre 1799) e come Presidente della Repubblica Italiana con l’articolo 43 della Costituzione del 1802. L’ombra dello zio incombe sempre più su Napoleone “il Piccolo”.
È l’inizio della fase ascendente della parabola del futuro Napoleone III, che trova il suo snodo (come è stato per lo zio) nella politica francese verso l’Italia, che in quel momento è “questione romana” e si svilupperà verso la creazione di uno stato unitario, al di là e, probabilmente, contro le sue aspettative.
Sostiene Antonio Gramsci: «Cesare e Napoleone I sono esempi di cesarismo progressivo. Napoleone III e Bismark di cesarismo regressivo», ma la storiografia meno “schierata” non si allinea a questo poco meditato pregiudizio, tralaticiamente rampollante dalle teorie marxiane, e addirittura ridondante, in qualche caso, nel grottesco, con improbabili e forzati paragoni tra il Secondo impero e i totalitarismi del XX secolo.
Il Secondo Impero è lungi dall’essere un blocco monolitico privo di qualunque possibilità di contraddittorio e, soprattutto, non è – come sostenuto da Marx, acriticamente recepito dalla storiografia di stampo marxista – l’espressione dei ceti dominanti “spaventati” dalla “rivoluzione” del 1848 che con la “svolta autoritaria” del 1851 “riprendevano fiato” (espressione testuale di Cesare Spellanzón).
In realtà, il “colpo di stato” del 2 dicembre 1851 e l’introduzione del regime imperiale sono legittimati da plebisciti sulla cui spontaneità dell’esito molti dubbi sono stati sollevati, ma che non solo appaiono espressione genuina della volontà popolare, per quanto, da un’attenta analisi del voto, fanno emergere un’adesione alle trasformazioni istituzionali non soltanto del notabilato agricolo, industriale, finanziario, burocratico, ma anche della grandissima parte della piccola-media borghesia orleanista e repubblicana delle città e nella maggioranza della popolazione delle campagne, che sicuramente avrebbero costituito le fondamenta granitiche dell’Impero, per tutta la sua durata.
Riprendendo, approfondendo ed ampliando le tesi espresse da Benedetto Croce, la parabola di Luigi Napoleone è un regime “di transizione”, realizzante una modernizzazione della società, una “politica di espansione” che, con l’ampliamento della spesa pubblica, con profonde trasformazioni urbanistiche, con una sapiente politica fiscale, con l’introduzione del primo sistema di Welfare in Europa, riesce a superare la profonda crisi della società francese, perdurante da Waterloo.
Il Secondo Impero, prosecuzione senza “fratture istituzionali” del regime nato dal colpo di stato del 1851, è una “monarchia di parvenu”, una forma nuova di monarchia senza il crisma del legittimismo, ma – al contrario – espressione della sovranità popolare, che usa il rafforzamento del potere esecutivo ed il “cesarismo” determinato dal carisma del Bonaparte per il perseguimento dei suoi fini.
La Francia non solo raggiunge obiettivi notevoli sul piano interno, ma ritorna al centro dello scacchiere europeo, in conseguenza di una politica internazionale di Napoleone III improntata al ridimensionamento del ruolo dell’Austria, all’appeasement con il Regno Unito, all’ampliamento dell’espansione coloniale.
La “svolta autoritaria”, proprio per il suo carattere provvisorio, fa – dunque – emergere la Francia dal caos, la rende una Nazione moderna ed economicamente avanzata, le conferisce un prestigio internazionale che sembrava irrimediabilmente perduto.
Resta il nodo che ha costituito il fil rouge della storiografia “ostile” a Napoleone III: il suo pencolare tra la difesa ad oltranza della sovranità papale su Roma e l’accondiscendere al ridimensionamento dello Stato pontificio (che gli aliena sia le simpatie dei cattolici, sia quelle dei “progressisti” – la difesa del Vescovo di Roma fu il movente dell’attentato di Felice Orsini), il contrappeso al ridimensionamento della potenza austriaca, costituito dalla naturale crescita della potenza prussiana e la sua egemonia nel mondo tedesco, sono i prodromi di Sedan, come sostenevano gli storici d’antan?
Convegno, dunque, di fondamentale importanza per conoscere la figura di Napoleone III e, soprattutto, la sua influenza sul processo di unificazione italiana. Relazioni di altissimo livello e relatori di prestigio internazionale rendono imperdibile questo libro, dovuto alla meritoria iniziaiva della Società Editrice Dante Alighieri.
«Quotidiano del Sud» – 6 settembre 2021
Fonte: http://www.nuovarivistastorica.it/?p=11314
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