Geopolitica Cina: una partnership strategica di USA, UK e Australia contro il Dragone. Al centro il futuro dell’Indo-Pacifico
da REPORT DIFESA (Pierpaolo Piras)
Washington. In breve tempo la notizia ha fatto il giro del mondo, deludendo quella corrente trasversale di pensiero che vuol vedere la potenza degli Stati Uniti in condizione di declino politico e militare, specie dopo l’ultimo ritiro delle proprie truppe dall’Afghanistan.
Ieri, il Presidente americano, Joe Biden ha parlato nell’East Room della Casa Bianca, annunciando che gli Stati Uniti, la Gran Bretagna avrebbero condiviso con l’Australia, la tecnologia offensiva e difensiva (la più sofisticata, efficace e segreta degli armamenti) in possesso dei sottomarini nucleari, di decisivo interesse strategico.
Per l’Amministrazione americana si tratta di un importante allontanamento dalla politica del passato e una sfida rivolta senza mezzi termini alla Cina, nel contesto della sua maggiore area di interesse economico e militare, quella dell’Indo-Pacifico.
Il termine “Indo-Pacifico”, nel linguaggio divenuto costante tra gli analisti, identifica la vasta area planetaria costituita dagli Oceani Indiano e Pacifico, comprendendo i numerosi Stati presenti, le vie marittime di comunicazione e i non pochi stretti geografici che costringono tutta la circolazione marittima a percorsi obbligati.
Biden ha pronunciato l’annuncio insieme al primo ministro britannico, Boris Johnson e al primo ministro australiano Scott Morrison, svelando la costituzione di una nuova alleanza difensiva, denominata “AUKUS”.
Secondo un accordo di alcuni decenni fa, il Regno Unito è l’unica altra nazione a condividere la tecnologia di propulsione, logistica e armamento dei sottomarini nucleari statunitensi.
Ai tempi della Guerra Fredda, era volto a contrastare la vecchia Unione Sovietica in tutte le aree del mondo.
Quale lo scopo dell’AUKUS ?
Joe Biden è stato chiaro. “Riconosciamo – ha detto – tutti l’imperativo di garantire la pace e la stabilità a lungo termine nell’Indo-Pacifico”.
Tuttavia, apertis verbis, l’obiettivo di questa nuova alleanza è apparso chiaro a tutti: sfidare la crescente influenza economica e militare della Cina.
Lo sforzo arriva in mezzo alle crescenti tensioni con il Dragone su una serie di questioni, tra cui le ambizioni militari e il deprecabile stato dei diritti umani.
Va da sé che il Presidente americano vede la grande potenza asiatica come il concorrente globale più significativo degli USA.
Si tratta di una vera svolta della politica estera degli Stati Uniti, di tipo più aggressivo, in linea con i principi del realismo operativo di fronte al colosso cinese, che da tempo si dimostra spregiudicato in campo economico e privo di ogni scrupolo nelle relazioni strategiche.
Biden è all’opposto della nota osservazione del passato Presidente, John Quincy Adams (1767-1848), che formulò la nota teoria di politica estera “astensionista”, secondo la quale l’America “non va all’estero in cerca di mostri da distruggere. Lei è la campionessa e la vendicatrice solo di se stessa”.
Proprio sulla base dell’esperienza di questi ultimi 5-6 decenni, è più aderente alla realtà credere che Biden voglia percorrere un cammino fatto di maggiore realismo, ma quanto basta per non farsi soverchiare dalla Cina.
Tuttavia, senza rinunciare ai vantaggi e virtù di una strategia basata sulla moderazione.
La dimostrazione di ciò viene dalla conclusione della Guerra in Vietnam, laddove gli USA hanno cercato di applicare il contenimento anticomunista in modo crudo e, ancor peggio, con notevole noncuranza sia verso gli ostacoli offerti dal terreno del conflitto che della storia peculiare del popolo vietnamita.
Alla lunga, in questo caso, non hanno mostrato né realismo né moderazione, concludendo il conflitto (anche in quel caso, come in Afghanistan) con un ritiro unilaterale dal Vietnam del Sud ed un elevato numero di giovani vittime americane.
Di fronte alla frustrazione derivata dall’esperienza nel Sud Est asiatico che in parte perdura nelle sale della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato, la generazione di politici statunitensi all’epoca applicarono un correttivo fatto di realismo e moderazione, applicandolo alla loro gestione della Guerra Fredda.
Nel dettaglio, cambiarono decisamente i risultati: tra questi trovò vigore la cosiddetta “strategia della distensione pacifica” con l’Unione Sovietica ed il Patto di Varsavia.
Il risultato strategico è stato un decisivo abbassamento della minaccia di una guerra nucleare e ha aperto l’URSS e l’Europa orientale, dominata dai sovietici, ad avere più rilassanti contatti esterni.
E’ vero, solo di poco, ma in modo davvero critico e positivo.
Tutto fa pensare che anche quest’ultimo accordo tra USA, Regno Unito e Australia possa e voglia suscitare un contenimento delle mire espansionistiche della Cina e nel contempo ad avere maggiore condiscendenza verso le aspirazioni dei tre nella vasta area strategica dell’Indo-Pacifico.
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