Benedetto XVI: la Morte di un Amico, la Solitudine del Pastore.
di STILUM CURIAE (Marco Tosatti)
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, Americo Mascarucci è rimasto molto colpito dalle parole del messaggio che Benedetto XVI ha inviato all’abate di un’abbazia cistercense austriaco, e ci offre questa riflessione. Buona lettura.
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Benedetto XVI, la solitudine del pastore
Ha fatto un certo effetto leggere la lettera che Benedetto XVI ha spedito a Reinhold Dessl, abate dell’abbazia cistercense di Wilhering in Austria, nella diocesi di Linz, esprimendo cordoglio per la morte all’età di 91 anni del collega professore di Ratisbona, Gerhard Winkler, anche lui monaco cistercense. Una lettera molto toccante da cui traspare la solitudine del pontefice emerito.
La missiva è riportata su carta intestata e Avvenire ci tiene ad evidenziare che in alto è riportata la dicitura «Benedictus XVI. Papa emeritus» per sottolineare come Ratzinger non si ritenga più il papa legittimo come sostengono invece don Minutella e tutti quelli che ritengono invalide le sue dimissioni. Ma al di là dei discorsi più o meno legittimi sulla sede impedita, sui due papi, sulle dimissioni più o meno invalide, ciò che appare evidente è la solitudine di Benedetto che nella lettera, parlando del collega scomparso, scrive: “La notizia della morte mi ha profondamente colpito. Tra tutti i miei colleghi e amici, lui era il più vicino a me. La sua allegria e la sua profonda fede mi hanno sempre attratto. Ora ha raggiunto l’aldilà, dove certamente molti amici lo aspettano. Spero di potermi unire presto a loro”.
Si dirà che il papa emerito ha 94 anni, ha seri problemi di salute, è lucido di mente ma limitato negli spostamenti e in cuor suo conta di chiudere al più presto la sua esistenza terrena per riunirsi ai suoi amici più stretti. Ma letta in controluce non può non emergere la solitudine di un grande teologo, che poi ha avuto il privilegio di essere papa, ha dovuto bere l’amaro calice della rinuncia rendendosi conto di non poter governare, che vede intorno a sé il deserto. Ha visto andarsene i suoi più stretti e sinceri collaboratori e ora anche quello che lui definisce “il più vicino a me”.
Benedetto ogni giorno si sente più solo dentro una Chiesa che ormai da otto anni sta demolendo tutto ciò che lui, e prima ancora Giovanni Paolo II, hanno faticosamente costruito. La loro idea di una Chiesa identitaria, incentrata sui valori della fede, non imprigionata nelle logiche mondane, ma testimone autentico del Vangelo. Una Chiesa che ha cercato di stare nel mondo senza essere “del mondo” e che ha riconfermato in ogni contesto politico, sociale, economico, culturale, la centralità del Vangelo e dei suoi principi etici e morali. Negli ultimi otto anni Benedetto ha visto trionfare all’interno della Chiesa di Cristo quelle stesse tendenze secolarizzatrici e mondane che lui e il suo amato predecessore erano riusciti ad arginare.
Anche se ci hanno raccontato che fra Benedetto e Francesco ci sia sempre stata una forte sintonia, questo è stato sistematicamente smentito dai fatti. Mentre il Sinodo sulla Famiglia discuteva di concedere la comunione ai divorziati risposati, in un volume uscito in contemporanea e contenente le sue opere principali, Ratzinger aggiornava proprio la parte relativa ai divorziati risposati, e non per renderla coerente con quella di Bergoglio, ma anzi per rimarcarne le differenze, sostenendo che soltanto in caso di annullamento da parte della Sacra Rota poteva essere considerato lecito un secondo matrimonio. Poi nel 2018 l’incidente diplomatico sulla pubblicazione della collana “La teologia di Papa Francesco” che portò alle dimissioni dell’allora prefetto della Segreteria per le comunicazioni Dario Edoardo Viganò; lettera che fu presentata come un tentativo di Ratzinger di evidenziare la piena continuità fra il suo pontificato e quello bergogliano. In realtà la lettera conteneva ben altro, ovvero il rifiuto a scrivere una recensione sostenendo che quei libri lui non li avrebbe letti per questione di tempo ma soprattutto perché tra gli autori della collana compariva il professor Peter Hünermann, «che durante il mio pontificato si è messo in luce per avere capeggiato iniziative anti-papali». A ciò si aggiungano le prese di distanza di Benedetto rispetto all’abolizione del celibato sacerdotale e all’ordinazione delle donne, il libro pubblicato insieme al cardinale Robert Sarah che tanto fastidio ha provocato nei sacri palazzi mentre si spalancavano le porte a riti pagani e mostruosità di altro tipo, i suoi continui attestati di stima verso gruppi tradizionalisti e le critiche verso le derive ultramoderniste dell’episcopato tedesco.
Al di là dei maldestri tentativi di raffigurare Bergoglio in continuità con Benedetto e addirittura con Giovanni Paolo II è invece evidente come l’attuale papa abbia fatto di tutto per interpretare una chiara discontinuità rispetto ai suoi predecessori, ispirato proprio da chi come il teologo ultra progressista Walter Kasper è fra i principali interpreti della rottura del Concilio Vaticano II rispetto alla tradizione. Lo si è visto con la recente riforma liturgica e il motu proprio «Traditionis custodes» con cui Bergoglio ha cancellato il Summorum Pontificum di Benedetto che aveva liberalizzato le celebrazioni secondo l’antico rito. Un modo neanche troppo originale per esaltare quell’ermeneutica della discontinuità che Ratzinger da teologo e da papa aveva invece combattuto e tentato di seppellire definitivamente proprio con un motu proprio rivolto a sigillare una continuità fra Concilio di Trento e Concilio Vaticano II. Bergoglio ha invece capovolto anche la funzione che Giovanni Paolo II aveva riconosciuto ai vescovi, quello di custodi dell’antico rito, trasformandoli di fatto in repressori della tradizione. Un regalo ai settori progressisti della Chiesa, gli stessi che hanno scatenato la guerra contro Benedetto XVI spingendolo alle dimissioni, con la messa in latino che di fatto ha assunto la stessa funzione di uno scalpo del papa emerito offerto da Bergoglio ai suoi nemici. E sebbene chi scriva consideri il Concilio Vaticano II un male sia nella continuità che nella discontinuità, sarebbe innegabile non riconoscere come oggi nella Chiesa siano nuovamente dominanti quegli errori pastorali che tanto Wojtyla che Ratzinger avevano corretto.
Un Benedetto XVI che arriva ad augurarsi di raggiungere presto i suoi amici nell’aldilà, dà tanto la sensazione di una resa da parte di chi si sta rendendo conto di non potere dare più nulla alla Chiesa. In quel richiamo ai veri amici da raggiungere presto, c’è forse proprio la consapevolezza di non essere più utile ad una Chiesa che al di là degli ipocriti attestati di stima bergogliani ha rinnegato tutto di lui e dove ormai ha soltanto nemici. Ma forse c’è anche la speranza di morire prima che possa vederla finire in rovina?
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