Previdenza pubblica sostenibile viatico ai piani pensionistici privati
di DAVIDEMURA
Il sistema previdenziale italiano è pubblico ed è obbligatorio. Nel senso che chi lavora deve obbligatoriamente essere iscritto a una cassa previdenziale (INPS o casse previdenziali specializzate, come quelle per i professionisti). Non esiste alcuna possibilità che un cittadino lavori senza una copertura previdenziale, che nei fatti, è pubblica o in regime di diritto pubblico. Sicché, ogni mese al lavoratore vengono trattenute delle somme per finalità previdenziali.
Fino a una ventina d’anni fa, il sistema previdenziale italiano era basato sul metodo retributivo: attraverso un particolare calcolo, chi andava in pensione percepiva più o meno una media delle retribuzioni percepite nell’intero arco lavorativo. Oggi il sistema è invece contributivo: prendi una pensione commisurata ai versamenti previdenziali. Meno lavori e più basso sarà l’importo pensionistico. Sotto una certa soglia di contributi annuali, poi, non avrai diritto ad alcuna pensione.
Non sto qui a dirvi se sia meglio il sistema retributivo o quello contributivo o quello misto, vero è che quello che assicura una vecchiaia serena è certamente il sistema retributivo; quello contributivo assomiglia parecchio a un investimento, sicché meno soldi investi e meno rendita avrai in vecchiaia. La logica che muove il retributivo è la solidarietà sociale e di classe, poiché pone a carico dello Stato l’onere di garantire il benessere dell’individuo nella fase più vulnerabile della sua vita adulta. E precisamente, rispecchia maggiormente il principio dell’uguaglianza sostanziale, perché permette al cittadino di evitare l’indigenza nella fase finale della propria vita.
Tuttavia, l’ideologia neoliberista ed eurista, che domina oggi la cultura previdenziale (e non solo), demonizza il sistema retributivo, perché sarebbe foriero di insostenibili spese previdenziali e di presunte ingiustizie sociali. Naturalmente, la stessa ideologia non fa questione dei privilegi e degli utili che il risparmio previdenziale permette di far conseguire alle élite, creando quella forte diseguaglianza di classe, terreno fertile per la deflazione, l’abbattimento dei diritti sociali e della povertà indotta. Sicché, quello che le élite definisce un necessario risparmio, nasconde invece un arricchimento per le classi dominanti, che non hanno bisogno di alcun sostegno previdenziale in vecchiaia.
Oggi, il dibattito previdenziale, fermo restando il sistema contributivo, si concentra giusto sull’età di uscita e gli anni di contributi. Quota 100, introdotta dal Governo Conte I, si poneva in rottura rispetto al trend precedente (riforma Fornero), prevedendo un rapporto età-contributi che sommati dovevano dare almeno 100 (es. 32 anni di contributi e 68 anni di età). Rottura perché il trend precedente – spinto dalla burocrazia europea ordoliberista – chiedeva un aumento dell’età pensionabile e un aumento degli anni di contributi, nei termini qui spiegati. Un’ingiustizia sociale bell’e buona, con la scusa dell’invecchiamento della popolazione e dell’insostenibilità della spesa previdenziale (per quanto razionale nell’irrazionale sistema eurocratico).
Ebbene, i rumors sull’abolizione di quota 100, che ripristinava un minimo di giustizia sociale (quanto meno nel sistema misto ancora prevalente), fanno presagire un sostanziale ritorno alla vecchia legge previdenziale, con quota 102 (2022) e poi 104 (2023). Significa che la somma anzianità+contributi con il nuovo sistema dovrà dare 102 (es. 64 anni e 38 anni di contributi) e poi 104 (es. 66 anni e 38 anni di contributi).
Al di là del giudizio sulla tecnica, quello che qui mi preme sottolineare, fermo restando che, per andare in pensione anticipata, è necessario avere almeno 67 anni e 20 anni di contributi, è che il sistema previdenziale pubblico è in lento ma inesorabile peggioramento. Le riforme suddette, con la scusa del contenimento della spesa pubblica previdenziale, confermano sostanzialmente la natura impositiva e fiscale della previdenza pubblica, che non è più una forma di sostegno economico-reddittuale delle persone anziane, ma un vera e propria fonte di finanziamento statale. Il fatto stesso che non sia possibile riscattare i proprio contributi previdenziali a qualsiasi età o sotto una certa soglia contributiva, tradisce questa “natura” (es. una persona che ha 65 anni di età e 15 anni di contributi perde i propri contributi e non può ottenere alcuna pensione da lavoro, con un evidente vantaggio per le casse dello Stato). Se poi si aggiungono la riforma in senso contributivo e l’innalzamento esagerato delle soglie pensionistiche (v. 102 e 104), è chiaro che il sistema previdenziale pubblico stia snaturando le proprie finalità e lo Stato non stia rispettando il dettato costituzionale, e in particolare, gli artt. 3.2, 36 e 38 Cost.
Ma c’è comunque della razionalità. Un sistema così congegnato, volto a rendere ostica la previdenza pubblica, inevitabilmente spingerà sempre più persone verso i sistemi previdenziali privati, con i loro piani pensionistici all’americana. In altre parole, fermo restando l’obbligo della previdenza pubblica, che però avrà in concreto finalità di trattenuta fiscale, le attuali politiche previdenziali sono volte a incentivare i cittadini a riversarsi sulla previdenza privata, dove non esistono quote e dove la previdenza è in concreto un investimento finanziario che, dopo un certo periodo di tempo, assicura una certa rendita che può essere chiamata “pensione”.
Questo sistema però non è equo e non garantisce affatto la realizzazione dell’uguaglianza sostanziale, perché non sfugge che i piani pensionistici privati richiedono un investimento in denaro costante, che non tutti possono permettersi durante l’arco della propria vita lavorativa, soprattutto i precari. Per questi, la vecchiaia rischia di essere il periodo dell’abbandono e della povertà assoluta, o delle forme di assistenza statale che, però, sempre più assumono la sostanza di una vera e propria elemosina (tanto per essere chiari, oggi, l’assegno sociale ammonta a 460,28 euro per tredici mesi, mentre il limite relativo al reddito è stato fissato a 5.983,64; una somma irrisoria visto il costo della vita).
Commenti recenti