The Big Green Game
da TERMOMETRO GEOPOLITICO
(Guido Salerno Aletta)
Il Vincolo Ambientale Globale riapre la competizione economica e geopolitica
Si cambia gioco.
Il Presidente americano Joe Biden, intervenendo al Cop26 di Glasgow, ha affermato che la sfida ambientale è una opportunità imperdibile, ed ha chiesto scusa per il ritiro dall’Accordo di Parigi che era stata deciso dal suo predecessore Donald Trump, appena insediatosi alla Casa Bianca.
Trump chiedeva un riequilibrio della bilancia commerciale statunitense, che presenta da anni un consistente deficit strutturale: riteneva che i dazi imposti alle importazioni di merci dalla Cina e dall’Europa potessero ristabilire la convenienza a produrle negli Usa. Così facendo, gli Usa sarebbero rimasti all’interno del paradigma di crescita continua della produzione e dei consumi che è stato intrapreso a partire dalla prima rivoluzione industriale, senza che a questo si opponesse alcun vincolo sistemico. Ma, soprattutto, i margini della convenienza economica sarebbero derivati solo dall’entità dei dazi alle importazioni.
C’è dunque un primo tema da affrontare: quello dei limiti allo sviluppo, in termini di risorse naturali disponibili per alimentarlo. Già Thomas Malthus, a fine ‘700, riteneva che la Terra potesse offrire nutrimento solo ad un numero limitato di abitanti.
Ma, ancora più importante, è la sfida posta dalla competizione globale. Di seguito, sono indicati in ordine logico e cronologico i passaggi cruciali avvenuti negli ultimi decenni:
– La competizione su base capitalistica ha portato alla erosione dei profitti: per recuperarli, si è deciso di abbattere il costo del lavoro interno o delocalizzando.
– Sono prevalse le logiche mercantilistiche: la crescita e la produzione sono guidate dalle esportazioni , e queste dai minori prezzi, cioè dai minori costi del lavoro e del denaro.
– La minore domanda interna ha ridotto i consumi, gli investimenti e dunque i ritmi di crescita.
– A questa dinamica riflessiva occorreva porre rimedio, per sostenere la produzione: i minori redditi delle famiglie e degli Stati, per mantenere così inalterati i consumi, sono stati integrati dai debiti privati e pubblici.
– Il costo degli interessi su questi costituiva il nuovo provento finanziario, che andava ad integrare i più limitati profitti industriali derivanti dalla competizione internazionale indotta dalla globalizzazione dei mercati.
– Ma la crescita continua dei debiti pubblici e privati volti a sostenere la domanda interna ed internazionale non era strutturalmente sostenibile e portava alla destabilizzazione, con default e crisi cicliche finanziarie ed economiche.
– Per contrastare le crisi finanziarie ricorrenti, le Banche centrali hanno fin qui proceduto ad immettere sul mercato finanziario immense quantità di denaro, innanzitutto per far ripartire le Borse.
– Ma la “repressione finanziaria” che ne è derivata, e che consiste nella riduzione fino all’annullamento degli interessi sui debiti pubblici e privati, ha fatto saltare il processo di accumulazione del capitale finanziario. Da anni, gli investitori pagano, e non incassano, per avere in mano dei safe asset.
Non si può più tornare indietro: non esistono le condizioni economiche e finanziarie per “riportare” le fabbriche dalla Cina agli Usa. Così, allo stesso modo, è impossibile reindustrializzare l’Italia dopo le delocalizzazioni effettuate nei Paesi dell’Est europeo o altrove.
Ecco perché all’Occidente occorre un nuovo sistema economico, basato sul vincolo della sostenibilità ambientale.
Servono investimenti colossali, la sostituzione delle filiere energetiche e produttive e dei modelli di consumo. Si recupera così, con nuovi immensi debiti “buoni”, contratti dagli Stati, dalle industrie e dai privati, un sistema di produzione e di consumo che assicurerebbe nuovi profitti, nuove rendite e nuove plusvalenze.
Aziende appena costituite nel settore dell’auto elettrica, come Tesla negli Usa, hanno raggiunto valori borsistici sbalorditivi, con utili ancora basati prevalentemente sul commercio delle quote risparmiate di CO2 e cedute ad altri produttori che non rispettano i limiti loro imposti.
C’è dunque bisogno di un nuovo paradigma anche in campo finanziario: fare trading solo sugli asset esistenti e sui futures delle materie prime o fare profitti con i contratti derivati non basta più.
La immensa liquidità immessa dalla Banche centrali in questi anni ha bisogno di essere investita nell’economia green che darà luogo ad un nuovo segmento del mercato finanziario, con le aste ed il trading delle quote di CO2, il commercio dei certificati verdi e via di seguito.
Serve un Vincolo Ambientale Globale che imponga a tutti una nuova competizione sul piano sia economico che finanziario.
E’ a questo punto che si apre il conflitto geopolitico che sottende differenze finanziarie rilevantissime: la Cina, protagonista di una industrializzazione recentissima, ha un apparato produttivo che ha appena iniziato il processo di ammortamento tecnico e finanziario degli impianti. Le sue centrali elettriche, alimentate prevalentemente a carbone, hanno appena qualche anno di esercizio mentre quelle americane ed europee sono state costruite decine di anni fa: hanno già remunerato ampiamente e rimborsato il capitale preso a prestito per costruirle. Quelle a carbone sono state generalmente dismesse, rimpiazzandole con quelle meno inquinanti a gas.
Un unico Vincolo Ambientale Globale, che abbia il medesimo orizzonte temporale, il 2050, per arrivare alla parità di CO2, conferirebbe all’Occidente un immenso vantaggio competitivo rispetto alla Cina per via dei minori costi finanziari sottesi dalla riconversione.
C’è un altro aspetto: poiché il mix produttivo occidentale è prevalentemente orientato ai servizi mentre quello cinese è baricentrato sulla produzione di merci, lo svantaggio per la Cina in fase di riconversione si aggrava ulteriormente.
Il G20 di Roma ha reso evidente il conflitto geopolitico sotteso dalla introduzione di un unico Vincolo Ambientale Globale. Non solo la Cina e la Russia hanno dichiarato di traguardare l’obiettivo della neutralità delle emissioni di CO2 all’orizzonte del 2050, ma l’India ha annunciato di fissarlo al 2060.
L’enorme numero di imprenditori privati accorsi al Cop26 in corso a Glasgow dimostra che la posta in gioco è immensa: si cambiano le regole della globalizzazione e tutti vogliono sedere dalla parte di chi vince.
Spese pubbliche finanziate in disavanzo e debiti immensi da parte delle imprese e delle famiglie saranno destinati alla riconversione ecologica della produzione e dei consumi.
Come dopo una vera e propria guerra, dovremo ricostruire e comprare tutto da capo: non è un caso che lo slogan del Presidente Biden sia proprio “Build Back Better”.
Come ai tempi della caduta del Muro di Berlino e poi della completa liberalizzazione dei mercati, tutti applaudono entusiasti: al G20 di Roma ed al Cop26 di Glasgow è un tripudio di strette di mano e di flash fotografici.
L’Occidente, ancora una volta, vende forse solo nuove illusioni.
FONTE: https://www.teleborsa.it/Editoriali/2021/11/02/the-big-green-game-1.html#.YYGB3hrMJPY
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