L’onanista
da L’INTELLETTUALE DISSIDENTE
Massimo Recalcati scopre che la rete brulica di porno. Segue articolo fumoso. Gli sfuggono un paio di cose: a) il corpo è stato sostituito dall’orientamento sessuale; b) i giovani, a volte, degni figli dell’era esangue, non lo fanno
Massimo Recalcati ha fatto una bella scoperta: la rete brulica di porno. In un articolo, come di consueto, piuttosto fumoso, lo psicanalista si è pacatamente indignato,
“Si tratta di una esposizione potenzialmente nociva in quanto può promuovere comportamenti imitativi che corromperebbero un accesso gioioso alla vita sessuale, enfatizzando l’aggressività, la violenza e il consumo dei corpi fine a se stesso”.
Da lacaniana madre badessa, Recalcati stigmatizza la “presenza massiccia della pornografia accessibile sulla rete senza alcun filtro”, poi si lancia in concetti di stratosferico qualunquismo. Un esempio:
“Il legame tra sesso e amore mostra quanto la presenza dell’amore sia decisiva a sottrarre la sessualità dal rischio di una sua mercificazione”.
Sul tema è più chiarificante Antonello Venditti: “E non c’è sesso senza amore/ Nessun inganno, nessun dolore”. La canzoncina s’intitola Ricordati di me ed è installata nell’album In questo mondo di ladri, era il 1988. Quanto al resto, Recalcati ciurla nel manico, manovra l’aria, è belloccio, piacerà alle donne, chissà. Ripetendo che “il consumo senza filtro” rende impossibile “l’esperienza erotica”, forse lo psicanalista inquisitore, anti-libertino, anti-libertario, propone di limitare l’accesso al porno in rete. Che idiozia. Anni di ‘liberazione sessuale’ hanno incatenato il sesso alla prestazione filmica, atletica, pronta all’uso masturbatorio. Dove sta il dolo? Masturbarsi fa bene; ne è consapevole pure Recalcati, per altro: i suoi articoli, in fondo, sono un eccezionale esercizio di masturbazione mentale, tra gli elzeviristi ha la palma di onanista maximo.
Bacchettando il mercato del porno – fiorente, pare – Recalcati compie un paio di errori. Intanto, ignora la variopinta galassia della pornografia via video: ci sono porno selvaggi, violentissimi, schifosi, ci sono porno laccati, neoclassici, soft, ci sono porno girati da gente comune, alla buona (se sia più inquietante godere guardando corpi casalinghi che si avvinghiano come caimani o la performance di una lustrata star, giudicate voi). Secondo: dimentica – ma che psicanalista è, allora? – che l’uomo (inteso come essere umano) questo è, bestia eretta che reagisce bava alla bocca di fronte a sesso, sangue, soldi. Se le tre dimensioni – il potere, mediato dal denaro, è primariamente potere sessuale, dunque il potere di dare la morte – si fondono, l’uomo, la creatura, si sente realizzato. Ci fa schifo? Benissimo. Ma è così. Non possiamo speculare sulla Sion celeste e sul porno degli angeli, bisogna partire dal fango che siamo, dal sottosuolo che abitiamo.
Per evitare ulteriori svarioni, per così dire, di metodo, Recalcati dovrebbe leggere Pornage, lo studio “nelle ossessioni del sesso contemporaneo”, firmato da Barbara Costa, un paio di anni fa, per il Saggiatore. Ciò non giustifica le oscurità del porno – andiamo a spalare, sempre, dov’è la tenebra – come racconta un reportage di Andrea Di Consoli, Apocalisse pornografica, ora raccolto in Tutte queste voci che mi premono dentro (Editoriale Scientifica, 2021). Di Consoli ricorda, intanto, che “l’industria pornografica” nasce negli anni Settanta, “benché la sua storia sia molto più antica, quasi coincidente con la storia del cinema” (insomma, non è storia di giovedì scorso), poi ne indaga il “lato oscuro”. Scheda, racconta, investiga intorno alle “decine di attrici e di attori hard che si sono tolti la vita”. A differenza di Recalcati, Di Consoli non giudica – si limita a porre il muso sul paradosso: “la pornografia è anche e soprattutto piacere e godimento” eppure coincide “non poche volte col massimo del dolore”.
C’è un altro punto, speculare, gemello, egualmente inquieto, che Recalcati dimentica di analizzare. I ragazzi, oggi, pare, da un lato, che agiscano il sesso con violenza, indistintamente, per gioco – “questa anarchia della pulsione”, la chiama Recalcati –, ma dall’altro che il sesso, proprio, non lo facciano. Vite oltre il limite della libido, quelle di diversi ventenni, che si frequentano come ne avessero ottanta, degni figli della vita esangue, ingrigiti da uno schema tanto ovvio da apparire, d’imperio, frustrante: aperitivo con gli amici, cena fuori, vacanze, hobby, distrazioni ‘sociali’. Una vita ordinaria, cieca, dalla culla alla tomba. Non c’è il desiderio di fare figli – ostacolano una vita per lo più onanistica, neanche più narcisistica – né la necessità di fare sesso. È l’energia in sé – sintetizzata nel liquido seminale – a scemare, a deperirsi, in un’esistenza, infine, esaurita, esausta, dove il desiderio pare imbragato nel lutto – la Rete, dunque, concede tutte le audacie perché nella vita, infine, si è vili. Il 1984 dei consumi, di un albino benessere.
Recalcati fa enigmistica con sofisticati sofismi, parla di “corpo erotico” e di “corpo porno” – “il corpo erotico, diversamente dal corpo porno, è un corpo che diviene soggetto di esperienza” –, ma la verità è che il corpo, in sé, ci è stato sottratto, sacrificato all’egida del tempo. Il corpo, oggi, è lordura da tenere ‘a distanza’, è lo ‘sporco’, l’esigenza brutale della materia, ciò che disinnesca il mondo pulito, lindo, sanitario, statuario, di una ideologia gnostico-farmaceutica. Il corpo esiste purché sia in salute, atto a essere fotografato, analizzato, eletto su un trono/trogolo. Il corpo non deve più essere donato, disintegrato, disfatto, mangiato – del corpo non si fa più pasto, deve essere ‘a posto’, sancito nella sua gestione primariamente ospedaliera, dacché noi, su questa terra, siamo pazienti non più capitani. Del corpo, insomma, adoriamo la superficie – innocua – perché ci è aliena, ormai, la carne, un tabù che violenta il nostro irenismo tecnologico.
Il corpo, così, scompare, a favore della preferenza sessuale. Vincenzo Spadafora, già Ministro per le politiche giovanili e lo sport, sente il dovere di dire, in tivù ovviamente, che fa politica, che è cattolico, e che è omosessuale. Quasi che fosse questa l’autentica identità: il corpo è stato soppiantato dall’orientamento sessuale, il corpo ha senso se è funzionante, se ha una funzione, se dunque è finzione.
Che fare, allora? Se la rete libera tutti, svela l’uomo nei suoi desideri primi – guardare porno, non certo sfogliare i manoscritti di Petrarca custoditi alla British Library – che il porno sia libero per tutti. Recalcati, il piacione, pensa che la risposta al baratro della carne sia quella di “imparare a trattare un corpo come se fosse un libro”. “Non si può leggere un libro senza darsi il tempo giusto”, dice Recalcati, senza supporre che un libro, se fa orrore, lo strappiamo, lo gettiamo nella spazzatura, lo vogliamo violentare. Ah, esercizio platonico, patologico del divo psicanalista… Il corpo, per fortuna, con il libro non ha nulla a che fare: il corpo è tutto, è verbo e dice, indubbiamente, chi siamo, è materia bruta e gloriosa che non si può addomesticare con i lacci dell’intelletto, nel consueto gergo culturale. Il corpo, per fortuna, è l’evidenza dell’insoluto, è un covo di misteri: cercati, studiati, entra dentro di te, “tenta” l’anima – se poi c’è – coltivala, “falla mostruosa”, insegna con impeto Arthur Rimbaud.
Piuttosto, se proprio si vuole un libro – abolendo quelli di Recalcati – si legga Corpo d’amore di Norman O. Brown: recalcitrante a ogni classificazione, restio alla psicanalisi da commento quotidiano, il grande pensatore spiazza, costruisce un percorso, da “Libertà” a “Nulla”, che partecipa, in forme schizofreniche, della ‘liberazione’ del corpo – ovvero, della sua resurrezione.
“Soltanto le esagerazioni sono vere. Credo quia absurdum; come nelle parabole e nella poesia… La verità deve morire. L’intelletto è sacrificio dell’intelletto, o fuoco; che brucia mentre illumina. Carne spezzata, spirito spezzato, parola spezzata. La verità, un corpo spezzato; frammenti, o aforismi; in quanto opposti alla forma sistematica o ai metodi”.
Recalcati, a contrario, incatena il corpo alla propria visione: il corpo serve a far bene l’amore. Ma il corpo è il solo spazio del vero, pur nella sua dissipazione. Recalcati vuole il corpo gentile, ben pettinato, ‘intelligente’, specchio della sua prosa, involuta, invalida, ma il corpo resta lo spazio barbarico, imbizzarrito, innominato. “Vi sono rapporti sessuali, anche tra i giovanissimi, che avvengono nel più totale anonimato”, scrive Recalcati – eppure, di ‘incontri al buio’ è piena la letteratura, la cinematografia, la nostra vita, vivaddio. Il corpo è il senza-nome, il minotauro, l’informe: è l’altro, ignoto che toccandomi mi assegna una identità diversa, a lui unica, condivisa. Ci si può sfracellare in un altro, in un divino macello. Stiamo divagando. Per Recalcati il corpo è anzitutto ‘corpo sociale’: bisogna che tutti stiano bene, che facciano sesso per bene, in modo ordinato, ordinario, paragrafo per paragrafo, con il vocabolario al fianco, proprio come si legge un libro. Il suo.
FONTE: https://www.lintellettualedissidente.it/controcultura/societa/recalcati-pornografia-sesso/
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