Green is Finance
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
La Green Economy è il nuovo modello che serve alla Finanza per fare soldi: la globalizzazione dei mercati, le delocalizzazioni produttive, anche i paradisi fiscali hanno ormai ben poco da dire.
C’è un punto da cui bisogna partire, di una semplicità assoluta: il sistema finanziario mondiale ha bisogno di nuovi prodotti da gestire.
Non si va certo avanti con i dividendi delle imprese o con i rendimenti delle obbligazioni, andati a picco per via delle politiche monetarie adottate dalle Banche centrali. Insomma, sui debiti contratti dai cittadini, imprese e Stati, c’è ben poco da guadagnare. Anzi, con i tassi nominali negativi, ci si rimette. Una follia assoluta.
C’è bisogno di fare soldi.
Gli asset tradizionali, come le azioni quotate in Borsa, le obbligazioni private ed i titoli di debito emessi dagli Stati fanno parte dell’archeologia finanziaria. Roba vecchia e sempre attuale, ma che rende solo quando si riesce a mandare il mercato in fibrillazione. Ma ormai tutti gli operatori hanno esperienza e strumenti tali per cui è solo tran-tran. Difficile fare guadagni stratosferici, attirare somme immense su iniziative che portano il valore a livelli spettacolari: sono poche le società che ci riescono, sfruttando il trend del momento: Tesla per esempio, che capitalizza più di mille miliardi di dollari a fronte di un fatturato automobilistico assai limitato. Vende certificati “green”: questo è il suo segreto. Il suo business non è vendere automobili, ma vendere diritti di emissione di CO2.
Questa è la chiave di volta della Green Finance.
I future sono altrettanto diffusi: sono contratti sul valore a termine dei listini, sulla disponibilità di materie prime: roba vista e stravista. La lotteria quotidiana, in cui tutto si compra e si vende, dal gas al cacao, dal carbone al succo d’arancia congelato, dal caffè al cotone, ha bisogno di altri prodotti da mettere sul mercato.
Il Climate Change è una occasione meravigliosa per creare un nuovo mercato e nuovi prodotti finanziari su scala globale.
Il ragionamento è semplice: per “salvare il pianeta” dal cambiamento climatico, che dipende dall’aumento della temperatura atmosferica rispetto all'”era pre-industriale” e che è causato dalle attività umane, e limitarlo in questo secolo ad un +1,5° per evitare una catastrofe, bisogna ridurre le emissioni di CO2.
L’obiettivo è quello di arrivare alla parità tra le emissioni industriali e gli assorbimenti per via naturale intorno al 2050.
La questione potrebbe essere risolta in modo tradizionale se gli Stati emanassero leggi per raggiungere l’obiettivo vietando un po’ alla volta certi tipi di attività: divieto di produrre energia elettrica usando carbone oltre una certa data, divieto di usare il kerosene per il riscaldamento domestico entro una altra data. E così via. Finora si è fatto così, imponendo criteri di efficienza nelle emissioni di CO2 nel settore automobilistico.
Del tutto diverso è invece il sistema adottato con gli Accordi di Parigi, ed assai meglio strutturato ora con il Cop26, che ha sancito la introduzione di un Global Carbon Market: al fine di raggiungere l’obiettivo della neutralità tra emissioni ed assorbimenti, le grandi attività produttive che emettono CO2 (centrali di produzione di energia elettrica da fonti fossili, impianti siderurgici, fabbriche di cemento, etc.) devono acquistare “diritti di emissione” o “crediti di assorbimento” in funzione della tipologia di combustibili usati.
C’è quindi una “nuova scarsità artificiale”: non sono le risorse naturali che mancano, il carbone, il petrolio o il gas, ma i “diritti di emissione di CO2” ed i “crediti di assorbimento di CO2”.
Il carbone c’è, ma si può usare solo se si comprano i corrispondenti “diritti di emissione di CO2” o i corrispondenti “crediti di assorbimento di CO2”: i primi sono messi all’asta dai governi, in quantità limitate, per poter ridurre le emissioni di CO2; i secondi sono messi in vendita da soggetti privati che dispongono di foreste che “assorbono” naturalmente il CO2 o di impianti che “sequestrano” il CO2 con altri procedimenti, magari pompandola nel sottosuolo, nelle miniere abbandonate o nelle caverne naturali o nei giacimenti di gas ormai esauriti: geniale!
Essendo prodotti finanziari, chiunque potrà investire in diritti di emissione di CO2 ed in crediti di assorbimento di CO2: un mercato enorme.
Guadagni pazzeschi:
i CORSIA, eligible carbon credits, sono aumentati dell’840% in quest’anno, passando da 80 cents/mt equivalent a 8.40/m $;
i NEC, nature-based carbon credits, sono aumentati da 5 a 12,5 $;
i diritti di emissione di CO2 messi all’asta in Europa, sono passati dai 33,43 euro/ton di marzo 2021 ai 62,60 euro/ton di novembre.
Tutto si fa per salvare l’ambiente!
Guadagnandoci, “naturalmente”!
Fonte: https://www.teleborsa.it/Editoriali/2021/11/19/green-is-finance-1.html#.YZjC1LfSKDY
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