SUI GILET GIALLI
di La Fionda (Giulio Gisondi)
On est là, on est là,
même si Macron ne veut pas nous on est là,
pour l’honneur des travailleurs et pour un monde meilleur,
même si Macron ne veut pas nous on est là
[Siamo qui, siamo qui,
anche se Macron non vuol noi siam qui,
per l’onore dei lavoratori e per un mondo migliore,
anche se Macron non vuole noi siamo qui]
(Canto dei Gilet Gialli)
Il 17 novembre del 2018 andava in scena in Francia l’Atto I dei Gilet Gialli. A distanza di tre anni, Sabato scorso 20 novembre si è celebrato a Parigi e nelle maggiori città del Paese il terzo anniversario dalla nascita del movimento che, nonostante la brutale violenza della repressione subita costantemente in questi anni da parte delle forze di polizia, dalla quasi totalità del mondo mediatico e dal governo, continua a scendere ogni sabato per le strade di Francia.
Sin dal loro primo atto nel 2018, i Gilet Gialli ricevettero il sostegno pubblico e l’appoggio del filosofo e scrittore Jean-Claude Michéa, tra i pochi a comprendere la necessità di quella lotta, le ragioni profonde del movimento e a schierarsi immediatamente, chiaramente e senza timori da quella parte. Lo fece con una lettera di sostegno, tra i suoi più recenti e ultimi scritti editi, pubblicata inizialmente sul sito “les amis de Bartleby” e poi rilanciata da vari siti. In questo testo, Michéa non si limita a sostenere le ragioni della protesta e del movimento, ma fornisce un supporto teorico e analitico a quella lotta, analizzando e descrivendo il contesto sociale e politico-economico in cui essa si andava inserendo, e prevedendo la violenta repressione che avrebbe incontrato.
A distanza di tre anni proponiamo qui una traduzione di quella lettera, per il suo carattere ancora profondamente attuale e per quanto preconizzava per gli anni a venire e che appare oggi palpabile anche nel contesto italiano. Con largo anticipo e in un’era pre-Covid, seppur già in una Francia in stato d’emergenza, Michéa intuiva e descriveva la deriva che il potere neoliberista e pinochetiano, incarnato dalla presidenza Macron, stava assumendo, passando dall’aggressione ai diritti sociali ed economici, alla progressiva riduzione delle libertà civili e politiche. Quanto è accaduto in questi anni in Francia tramite le restrizioni che hanno ulteriormente colpito il diritto di sciopero e di manifestazione, la limitazione al diritto di riunione e di assemblea, nonché lo stesso diritto al lavoro e le condizioni sempre più basse dei lavoratori, non è che l’esito quasi scontato di una politica prima paternalistica, poi autoritaria, che sta progressivamente gettando la maschera. E questo sembra oggi tanto più valere non soltanto per la Francia, ma anche per l’Italia, non a caso i due Paesi che in Europa vivono le più rigide limitazioni e le politiche economiche più restrittive.
di Jean-Claude Michéa | 21 novembre 2018
Il movimento dei “gilet gialli” (un buon esempio, tra l’altro, di questa inventiva popolare che ho annunciato in I misteri della sinistra) è, in un certo senso, l’esatto contrario di “Nuit Debout” [Movimento di protesta esploso a Parigi tra il 2016 e il 2017 contro il progetto di “loi travail” a firma dell’allora primo Ministro Manuel Valls e del Ministro dell’Economia Emmanuel Macron, n.d.r.]. Quest’ultimo movimento, pur semplificando, fu anzitutto un tentativo – peraltro incoraggiato da gran parte della stampa borghese – del “10%” (cioè di coloro che comandano – o si apprestano ad esserlo – il quadro tecnico, politico e “culturale” del capitalismo moderno), per disinnescare la critica radicale al Sistema, indirizzando tutta l’attenzione politica sull’unico potere (certamente decisivo) di Wall Street e sul famoso “1%”. Una rivolta, di conseguenza, di questi urbani ipermobili e ipereducati (anche se una frazione minoritaria di questi nuovi ceti medi comincia a conoscere, qua e là, una certa “precarizzazione”) e che costituiscono, fin dall’epoca di Mitterrand, il principale vivaio nel quale vengono reclutati i quadri dirigenziali della sinistra e dell’estrema sinistra liberale (soprattutto dei suoi settori più apertamente contro-rivoluzionari e antipopolari: Regards, Politis, NP“A”, Université Paris VIII …etc.). Qui, al contrario, sono proprio quelli del basso (come li ha analizzati Christophe Guilluy – peraltro curiosamente assenti, fino ad ora, da tutti i talk show televisivi, a vantaggio, tra gli altri comici, del riformista diseredato keynesiano Besancenot), che si rivoltano, con già abbastanza coscienza rivoluzionaria da rifiutare di dover ancora scegliere tra sfruttatori di sinistra e sfruttatori di destra (così anche Podemos iniziò nel 2011, prima che la Clémentine Autain e l’equivalente del locale Benoît Hamons non riuscissero a seppellire questo promettente movimento tagliandolo via via dalle sue basi popolari).
Quanto all’argomento degli “ecologisti” di corte – coloro che si preparano a questa “transizione energetica” che consiste soprattutto, come ha chiaramente mostrato Guillaume Pitron ne La guerra dei metalli rari, nel trasferire l’inquinamento dai paesi occidentali ai paesi del sud, secondo cui questo movimento spontaneo è portato avanti solo da “un’ideologia dell’auto” e da “ragazzi che fumano sigarette e guidano auto diesel”, è tanto assurdo quanto immondo: è chiaro, infatti, che la maggior parte dei gialli gilet non hanno alcun piacere nel dover prendere l’auto per andare al lavoro ogni giorno a 50 km da casa, per fare la spesa nell’unico centro commerciale esistente nella loro regione e generalmente situato in campagna a 20 km, o anche per visitare l’unico medico non ancora in pensione e il cui studio si trova a 10 km dal luogo di residenza (prendo in prestito tutti questi esempi dalla mia esperienza nelle Landes! Ho anche un vicino, che vive con 600 € al mese e che deve calcolare il giorno del mese in cui può ancora fare la spesa a Mont-de-Marsan, senza restare a piedi, a seconda della quantità di diesel – questa benzina dei poveri – che ha ancora i mezzi per acquistare!)
Non è quindi ovviamente l’auto in quanto tale – come “segno” della loro presunta integrazione nel mondo dei consumi (non sono lionesi o parigini!) – che i gilet gialli difendono oggi. Semplicemente, la loro auto diesel usata, comprata di seconda mano (e che la Commissione Europea sta già cercando di portargli via inventando continuamente nuovi standard di “controllo tecnico”) rappresenta la loro ultima possibilità di sopravvivenza, vale a dire di avere ancora una casa, un lavoro e abbastanza per sfamare se stessi e le loro famiglie nel sistema capitalista così com’è diventato e come sempre più avvantaggia i vincitori della globalizzazione. E pensare che è prima di tutto questo kerosene sinistro – quello che viaggia di aeroporto in aeroporto per portare nelle università di tutto il mondo (e in tutti i “Festival di Cannes”) la buona parola “ecologico” e “associativo” – che osa far loro la predica su questo punto! Decisamente, coloro che non conoscono altro che i loro poveri palazzi metropolitani non avranno mai un centesimo della decenza che si può ancora trovare nei cottage con il tetto di paglia (e anche qui è la mia esperienza di Landes che parla!).
L’unica domanda che mi pongo è quindi di sapere fino a che punto può spingersi un tale movimento rivoluzionario (movimento che non è estraneo, nella sua nascita, nel suo programma unificante e nel suo modo di sviluppo, con la grande rivolta del Mezzogiorno del 1907) nelle tristi condizioni politiche che sono le nostre. Perché non dimentichiamo che ha davanti a sé un governo thatcheriano di sinistra (il principale consigliere di Macron è Mathieu Laine – un uomo d’affari della City di Londra e che è, in Francia, il prefatore dei lavori della strega Maggie), vale a dire un governo cinico e senza paura, che è chiaramente pronto – questa è la sua grande differenza con tutti i suoi predecessori – ad andare ai peggiori estremi pinochetisti (come Maggie con i minatori gallesi o gli scioperi della fame irlandesi) per imporre la sua “società della crescita”, di cui questo potere antidemocratico dei giudici, ora trionfante, ne è l’inevitabile corollario. E, naturalmente, senza avere nulla da temere, a questo proposito, dal servile staff mediatico francese. Dovremmo ricordare, infatti, che stiamo già contando 3 morti, centinaia di feriti, alcuni in condizioni molto critiche. Tuttavia, se la memoria non mi inganna, è al maggio 68 che dobbiamo tornare indietro per trovare un tributo umano paragonabile con delle manifestazioni popolari, almeno sul suolo metropolitano. Eppure, l’eco mediatica data a questo fatto spaventoso, almeno per il momento, è all’altezza di un simile dramma? E cosa avrebbero detto i cani da guardia di France Info se questa valutazione (provvisoria) fosse stata opera, ad esempio, di un Vladimir Poutin o di un Donald Trump?
Infine, non da ultimo, non bisogna dimenticare che se il movimento dei gilet gialli prenderà ancora slancio (o se conserverà, come sempre, il sostegno della stragrande maggioranza della popolazione), lo Stato benallo-macroniano non esiterà un solo istante a inviare i suoi Black Bloc e i suoi “antifas ” ovunque (come la famosa “brigata rossa” della grande epoca) per screditarlo con ogni mezzo, o indirizzarlo verso vicoli ciechi politici suicidi (abbiamo già visto, ad esempio, come lo stato macroniano ha proceduto ad intromettersi poco dopo l’esperienza zadista di Notre-Dame-des-Landes con il suo originale sostegno popolare). Ma anche se questo coraggioso movimento è stato temporaneamente frantumato dal PMA – il partito dei media e del denaro (PMA pour tous, insomma, questo è il motto del nostro M. Thiers oggi!), allora vorrà dire, nel peggiore dei casi, che è solo una prova generale e l’inizio di una lunga lotta a venire. Perché la rabbia di chi sta in basso (sostenuto, devo ribadirlo ancora, dal 75% della popolazione – e quindi logicamente stigmatizzato, in quanto tale, dal 95% dei vigilanti mediatici) – non cadrà più, semplicemente perché chi sta sotto non ne può più e non ne vuole più. Le persone sono quindi decisamente in marcia! E a meno che non ne eleggiate un altro (secondo la volontà di Eric Fassin, quest’agente di influenza particolarmente attivo della troppo famosa Fondation Franco-Américaine), il popolo non è pronto a rientrare nei ranghi. Che i Versaillais di sinistra e di destra (per usare l’espressione dei fuorilegge della Comune che si sono rifugiati a Londra) lo diano per scontato!
Tratto da https://lesamisdebartleby.wordpress.com/2018/11/22/jean-claude-michea-une-lettre-a-propos-du-mouvement-des-gilets-jaunes%E2%80%89/, poi ripubblicato da https://revuelimite.fr/a-propos-des-gilets-jaunes-par-jean-claude-michea
Fonte: https://www.lafionda.org/2021/11/22/sui-gilet-gialli/
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