I britannici in Ucraina e Germania, sottomarini per Taiwan e altre notizie interessanti
di LIMES (autori vari)
BRITANNICI IN GERMANIA E UCRAINA [di Dario Fabbri]
Il Regno Unito ha annunciato che trasferirà centinaia di mezzi e uomini in Germania, nei pressi della base Nato di Sennelager, nell’ambito di una ristrutturazione delle proprie Forze armate, con altri contingenti da stanziare in Oman e in Kenya.
Perché conta: L’annuncio arriva nove mesi dopo il definitivo ritiro dei militari britannici dalla base di Bielefeld e ha implicazioni di chiara matrice geopolitica. Londra vuole proporsi in funzione anti-tedesca alle cancellerie dell’Europa orientale, specie nei confronti di quella polacca, che si percepiscono schiacciate da Berlino. Come segnalato anche dall’intervento di dieci propri militari al confine tra Polonia e Bielorussia. Inoltre, Londra vuole riaffermare la propria utilità agli Stati Uniti, gravando almeno simbolicamente sulla tenuta della Repubblica Federale mentre questa deve stabilire cosa diventare da grande. Infine, il Regno Unito prova a influire su Berlino ora che la trattativa relativa al protocollo nordirlandese è entrata nuovamente nel vivo, specie considerata la durezza sul tema espressa da Parigi.
Per approfondire: Il probabile fallimento di Global Britain
SOTTOMARINI PER TAIWAN [di Federico Petroni]
Secondo un’inchiesta di Reuters, i governi di almeno sette paesi stanno concretamente aiutando Taiwan a dotarsi di propri sottomarini. Uno è senza sorprese quello degli Stati Uniti. Poi ci sono Regno Unito, Canada, Australia, Spagna, India e Corea del Sud, le cui cancellerie hanno autorizzato alcune aziende nazionali a fornire tecnologia, componenti chiave e personale ingegneristico. Quest’ultimo fornisce consulenza presso il cantiere navale di Kaoshiung alla compagnia Csbc Corporation Taiwan, incaricata di produrre il primo esemplare di sommergibile autoctono entro il 2025.
Perché conta: La notizia che altri paesi oltre agli Stati Uniti aiutano Taipei a dotarsi di uno strumento di deterrenza contro la Cina è semplicemente fondamentale.
Dimostra quanto alcuni Stati abbiano iniziato a superare il timore reverenziale verso Pechino, sia pur mantenendo la collaborazione in segreto per non attirare rappresaglie commerciali. Certifica l’inarrivabile vantaggio degli americani, che continuano a disporre di una rete di satelliti alla quale più o meno spontaneamente delegare parte dell’onere di difendere l’isola di Formosa. A differenza dei cinesi, privi di alleati. Ribadisce che gli avversari della Cina ritengono urgente corroborare i mezzi con cui Taiwan può rallentare o addirittura dissuadere un’offensiva di Pechino. Testimonia infine la capacità di Taipei di ottenere supporto internazionale, meno sola di quanto si possa pensare.
Nello specifico, che i primi a farsi avanti siano i paesi dell’Anglosfera non stupisce e nemmeno il coinvolgimento dell’India. Lo fa invece quello della Corea del Sud, assai reticente a farsi coinvolgere dagli Stati Uniti in iniziative anticinesi come il Quad.
Interessante la mancata partecipazione del Giappone, evidentemente geloso della propria tecnologia sottomarina, molto apprezzata già dalla guerra fredda negli Stati Uniti in funzione prima antisovietica e oggi anticinese. In ogni caso, non è da escludere che Tokyo si inserisca o fornisca in futuro un altro tipo di tecnologia, visto che pure una figura cauta su Pechino come l’attuale premier Kishida Fumio sta in questi giorni adottando una retorica più muscolare nei confronti della Repubblica Popolare.
Per approfondire: Come proteggere lo Stretto di Taiwan
SENEGAL CHIAMA CINA [di Giorgio Cuscito]
All’inizio del summit Cina-Africa, il ministro degli Esteri del Senegal Aissata Tall Sall ha detto che spera che la Repubblica Popolare Cinese rappresenti “una voce forte” nella lotta al terrorismo nel Sahel.
Perché conta: La presenza di militanti islamici è una minaccia per la stabilità della regione. Quindi indirettamente anche per la Cina, che da tempo coltiva i suoi interessi economici, tecnologici e militari in Africa. Su tale dinamica Dakar punta per coinvolgere maggiormente Pechino.
Nel continente gli scopi della Cina sono approfittare delle opportunità derivanti dalle enormi potenzialità africane (vedi demografia e risorse naturali) e soprattutto consolidare la propria presenza sulla sponda Sud del Mediterraneo. Cioè alle porte dell’Europa, tassello fondamentale della sfera d’influenza americana in Eurasia.
Non è escluso che Pechino approfitti delle fragilità del Sahel per accrescere le già cospicue attività militari condotte nell’ambito delle missioni di pace Onu e consolidare i rapporti di collaborazione securitaria con i paesi africani.
Tuttavia, al momento diversi fattori inducono a considerare improbabile l’invio in autonomia di soldati cinesi.
Primo, la Repubblica Popolare vuole formalmente attenersi al principio di non ingerenza negli affari di paesi terzi.
Secondo, deve ancora accrescere la propria confidenza militare con teatri remoti come quello africano.
Terzo, l’Esercito popolare di liberazione sta concentrando le proprie attenzioni sui Mari Cinesi e su Taiwan, dove si gioca una parte essenziale della competizione con gli Usa. Al punto che Pechino esita a inviare soldati in Afghanistan. Piuttosto si limita a presidiare il confine tra questo paese e il Xinjiang tramite anche degli avamposti in Tagikistan. Eppure il cambio di equilibri nella “tomba degli imperi” determinato dal ritiro americano rappresenta una minaccia per la stabilità della regione più occidentale della Cina e per la rotta delle nuove vie della seta diretta verso il Pakistan. Quindi costituisce un rischio più urgente rispetto al jihadismo in Sahel.
Insomma, difficilmente la Repubblica Popolare distoglierà l’attenzione dall’Indo-Pacifico.
Per approfondire: Vaccini e investimenti, la strategia di Pechino nei paesi in via di sviluppo
FONDI UE PER I CONFINI BALTICI [di Federico Petroni]
La Commissione Europea ha annunciato che verranno triplicati i fondi comunitari a Lituania, Lettonia ed Estonia destinati alla gestione dei loro confini, per arrivare a quota 200 milioni di euro.
Perché conta: Cruciale è il modo in cui la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha giustificato l’aumento dell’esborso: questi paesi hanno risposto all’attacco bielorusso (uso dei migranti come arma) in maniera ferma e umana.
Nelle scorse settimane, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel aveva aperto a un finanziamento con fondi Ue alla realizzazione di barriere ai confini di Polonia e paesi baltici. La richiesta era arrivata prima dell’innesco della crisi dei migranti con Minsk e le autorità brussellesi l’avevano rispedita al mittente. Ma proprio i drammatici eventi alla frontiera bielorussa hanno spinto i principali governi dell’Unione a prendere in considerazione l’opzione, ventilata dal loro portavoce di fatto, cioè Michel. Con questo stanziamento, la Commissione si mostra aperta all’idea, ma prova a piantare qualche paletto, elargendo denaro non alla Polonia, malvista da chi si occupa di immigrazione, ma ai suoi vicini.
La diminuita tensione con la Bielorussia potrebbe indurre i paesi dell’Ue a ritardare i piani per autorizzare la realizzazione di barriere. Ma il segnale di questa notizia (e la lezione di questa crisi) è che a una prossima impennata di ingressi di migranti il terreno è pronto per essere seminato. Non solo per sigillare il territorio degli Stati dell’Unione. Ma soprattutto per costruire la nuova cortina di ferro per conto dei russi.
Per approfondire: Che cosa è successo tra Polonia e Bielorussia (video)
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