ALGERIA E MAROCCO: “FRATELLI COLTELLI” SULL’ORLO DELLA GUERRA
da TERMOMETRO GEOPOLITICO
(Andrea Gaspardo)
Uno spettro di guerra si aggira per il Maghreb; tuttavia non si tratta di uno spettro evanescente e lontano dato che, da qualche tempo a questa parte, le relazioni tra Marocco ed Algeria hanno raggiunto il loro punto più basso e rischiano di tracimare in una guerra a tutto campo i cui effetti potrebbero essere potenzialmente catastrofici.
Con una decisione annunciata il 31 di ottobre del 2021 e diventata esecutiva il giorno successivo (1 novembre), il presidente della Repubblica Democratica Popolare di Algeria, Abdelmajid Tebboune, ha manifestato al mondo la ferma decisione da parte del suo paese di cessare qualsiasi esportazione di gas naturale diretta in Spagna attraverso il gasdotto MEG (Maghreb-Europe Gas Pipeline) che attraversa anche il Regno del Marocco, promettendo al contempo che i contratti delle forniture in essere da parte dello stato algerino con la Spagna ed il resto dell’Europa verranno comunque rispettati utilizzando la capacità di distribuzione dei gasdotti Medgaz, Galsi e Trans-Mediterranean. Appare dunque palese il duplice obiettivo da un lato di rassicurare i tradizionali partner europei, senza la cui valuta forte la fragile economia algerina sarebbe alla bancarotta da un pezzo, e di punire il Marocco, colpevole secondo le autorità di Algeri di aver commesso una serie di atti volti ad ottenere la destabilizzazione dell’Algeria.
Ma quali sono le ragioni sia immediate che remote di questa crisi? E qual è la posta in gioco di questo duello che rischia di vedere molte vittime e nessun vincitore? Lo scopriremo ora.
I territori facenti parte dei moderni stati di Marocco ed Algeria sono stati letteralmente forgiati in epoca moderna dal fuoco del colonialismo francese. Mentre il Marocco, allora sultanato governato sin dal 1666 dalla dinastia alawide, entrò stabilmente nell’orbita francese in qualità di protettorato solamente nel 1912 sullo sfondo di una serie di accordi internazionali, la storia dell’Algeria fu assai più sanguinosa. Nel 1830 le truppe coloniali francesi guidate dalle formazioni di quella che di lì a poco sarebbe diventata la “Legione Straniera”, sbarcarono attorno alle città di Algeri ed Orano e nel corso dei successivi 4 anni di lotta senza quartiere presero il controllo della fascia litoranea di quella che sarebbe diventata a tutti nota come “Algeria”. Nel corso di quegli eventi si stima che ben 1.000.000 dei circa 3.000.000 di abitanti arabo-berberi nativi del territorio vennero uccisi dalle truppe francesi.
Il dominio coloniale francese durò ben 132 anni, dal 1830 al 1962, e malgrado un certo lascito positivo sul piano culturale ed istituzionale (con un 70% della popolazione parlante fluentemente il francese, l’Algeria è oggi il secondo paese francofono al mondo), esso fu caratterizzato per la maggior parte dal sistematico saccheggio e sfruttamento sia del territorio che della popolazione nativa la quale venne per l’assoluta maggioranza tagliata fuori da qualsivoglia gestione economica ed amministrativa del territorio. Si stima che nel corso dell’intero arco temporale sopra citato, le politiche coloniali francesi abbiano nel complesso causato la morte di 10.000.000 di algerini, in quello che fu a tutti gli effetti uno dei peggiori genocidi della Storia.
Nel 1957 il Marocco ottenne l’indipendenza attraverso una serie di negoziazioni tra la leadership politica locale ed il governo francese. Tali negoziazioni permisero al paese di separarsi dal suo ingombrante “protettore coloniale” senza eccessivi traumi, ed anzi permisero allo stato francese ed alle élite marocchine di creare una vera e propria partnership strategica sia a livello economico che geopolitico che dura ancora oggi.
Totalmente diverso fu, anche in questa occasione, il caso algerino. Il gigante nordafricano infatti ottenne l’indipendenza solo dopo una selvaggia guerra per l’indipendenza (che fu anche una guerra civile, dato che circa metà della popolazione algerina parteggiò di fatto per la Francia) che ebbe un costo altissimo. Qui è necessario meditare su alcune cifre che torneranno utili più tardi:
– 1.500.000 furono gli algerini che vennero uccisi dalle forze armate francesi nel corso della guerra;
– 50.000 furono gli algerini (denominati “harki”) che vennero uccisi durante la guerra mentre combattevano tra le fila della forze armate francesi ed altri 150.000 vennero massacrati, spesse volte con furia medievale, nella resa dei conti finale che si consumò nell’immediato dopoguerra;
– 500.000 furono gli algerini che dovettero trovare rifugio in qualità di “profughi di guerra” nei vicini Marocco e Tunisia mentre 2.000.000 divennero “profughi interni” dopo che i loro villaggi erano stati sistematicamente rasi al suolo nel corso dei combattimenti che opposero le forze armate francesi e lo FLN algerino;
– nei mesi immediatamente seguenti al termine delle ostilità 1.400.000 “Pieds-Noirs” di origine europea, 200.000 ebrei algerini e 90.000 “harki” e membri delle loro famiglie furono costretti a lasciare il paese in uno dei più grandi esodi della Storia moderna.
Il risultato finale di tutti questi luttuosi eventi fu che, il 5 luglio del 1962, quando il neo costituito “Governo di Unità Nazionale” algerino proclamò finalmente l’indipendenza del paese, l’Algeria si ritrovò con una popolazione di 9.000.000 di abitanti contro gli 11.000.000 che aveva nel 1954, quando il conflitto era iniziato. Infatti, nonostante nel corso della guerra il tasso di fertilità totale delle donne musulmane locali fosse rimasto alto e nei mesi compresi tra la fine delle ostilità (marzo del 1962) e la proclamazione dell’indipendenza (luglio del 1962) tutti i 500.000 “profughi di guerra” fossero tornati nel paese, ciò non si era dimostrato sufficiente a colmare lo shock demografico totale causato dalla perdite di guerra e dalle successive epurazioni ed espulsioni. Non solo, i vincitori del FLN si trovarono a gestire un paese completamente a pezzi e nella miseria più nera. Le parole dell’allora primo ministro e presidente Ahmed Ben Bella: “In tutto il paese avevamo solamente 2 architetti, meno di 100 dottori e 500 studenti universitari tra Algeri e Parigi”. Non meno efficaci furono le parole di Sid Ahmed Ghozali che, fresco di laurea alla prestigiosa École del Ponts ParisTech, dovette sobbarcarsi il compito, all’età di 25 anni, di organizzare la creazione della Sonatrach, futuro gigante nazionale degli idrocarburi, che poi diresse per i successivi 15 anni: “Avevamo ereditato un paese di 9 milioni di mendicanti”.
Dulcis in fundo, benchè la Francia avesse infine accettato l’inevitabilità dell’indipendenza dell’Algeria, essa continuava a proiettare la sua ingombrante ombra sul paese nordafricano mediante il perpetuarsi della presenza della marina francese nella base di Mers El Kébir (che sarebbe stata evacuata solo nel 1967), il possesso dei poligoni nucleari di Reggane e In Ekker nel profondo Sahara algerino (dove la Francia continuò ad effettuare test nucleari fino al 1966) ed al quasi completo controllo del sistema bancario e delle risorse petrolifere (a titolo esemplificativo basterà ricordare che, nel 1963, la neo costituita Sonatrach, sopra menzionata, deteneva il possesso solamente del 4,5% dei perimetri di esplorazione contro il 67,5% detenuto dalle compagnie francesi!).
È chiaro che, analizzando tutti questi fatti sul terreno è facile comprendere come la leadership politica del neonato stato algerino non fosse minimamente propensa a scendere ad ulteriori compromessi al ribasso in materia di sovranità territoriale e sicurezza nazionale. Ed è proprio su questo scivolosissimo piano che i rapporti tra Marocco ed Algeria iniziarono a guastarsi da subito, tuttavia, per comprenderlo meglio è necessario prima fare un passo indietro.
A partire dal 1795, la Francia ed il Marocco combatterono non meno di 9 guerre le quali si conclusero tutte (con l’eccezione della prima) con la sconfitta delle forze marocchine. Particolarmente pesante fu la sconfitta nel corso della guerra del 1844 alla quale seguì la firma del cosiddetto “Trattato di Tangeri” mediante il quale il Marocco riconobbe i territori algerini come parte della Francia. Il successivo trattato di Lalla Maghnia obbligò inoltre il sultanato ad accettare una revisione dei confini a favore degli interessi francesi risultando nel trasferimento dal Marocco ai dipartimenti algerini della Francia di tutta una serie di provincie situate nella vasta area compresa tra Figuig e Tindouf.
Sia al livello delle élite che a quello popolare, i marocchini non hanno mai accettato il nuovo status quo ed hanno cercato attivamente di modificarlo, sia attraverso lo scoppio di nuovi conflitti che mediante l’azione diplomatica. Nel corso della Guerra d’Indipendenza d’Algeria, il governo marocchino appoggiò gli sforzi bellici del FLN algerino e rifiutò di entrare in trattativa con le autorità francesi per una ridefinizione dei confini a proprio vantaggio. La “ratio” del comportamento marocchino si spiega con le seguenti ragioni:
primo: l’obiettivo geopolitico di espellere la Francia dal Maghreb era considerato dalla leadership di Rabat come strategico e assai più importante di tutto il resto;
secondo: le autorità marocchine ritenevano che, aiutando attivamente lo FLN, avrebbero ottenuto delle importanti leve politiche da poter utilizzare successivamente a proprio vantaggio una volta che il conflitto fosse concluso.
Nel 1962, ad indipendenza algerina ormai avvenuta, il Marocco si fece avanti al fine di ottenere i crediti geopolitici che pensava di aver maturato nei confronti del suo vecchio/nuovo vicino non rendendosi conto che, dopo il carnaio della Guerra d’Indipendenza d’Algeria, per tutte le ragioni indicate nei paragrafi in alto, la leadership di Algeri non era minimamente intenzionata a scendere a patti.
Le relazione diplomatiche tra i due paesi si guastarono ben presto fino a sfociare nella cosiddetta “Guerra delle Sabbie”, durata tra il 25 settembre del 1963 ed il 20 di febbraio del 1964, e durante la quale gli algerini (grazie al determinante sostegno militare fornito da Cuba) riuscirono a bloccare l’attacco marocchino e a proteggere la propria integrità territoriale. Quella che avrebbe potuto essere una fruttuosa collaborazione si trasformò da quel momento in aperta ostilità che i sessant’anni successivi non sono minimamente riusciti a scalfire e che, anzi, ha visto una svolta persino peggiorativa mano a mano che ulteriori eventi si sono accumulati facendo crescere l’odio e la mancanza di fiducia reciproca.
Non hanno poi aiutato i diversi percorsi ideologici che i due paesi hanno imboccato. Mentre il Marocco dal punto di vista istituzionale è rimasto sostanzialmente una monarchia assoluta, conservatrice e reazionaria al pari delle altre monarchie del mondo arabo, l’Algeria è diventata un paese rivoluzionario e non-allineato dominato da un’ideologia improntata dalla convivenza tra un’antica anima islamista ed un confuso “socialismo arabo”. Malgrado quindi i due paesi condividano una comune cultura arabo-berbera di fondo, sono separati da un solco ideologico sostanzialmente incolmabile.
Una ulteriore nota dolente da aggiungere alla fotografia complessiva è costituita dalla mai del tutto sopita spinta espansionistica relativa al “Grande Marocco”. Per coloro che non ne hanno mai sentito parlare, l’ideologia del “Grande Marocco” venne formulata da un gruppo di intellettuali marocchini guidati da Muhammad Allal al-Fassi, illustre politico, scrittore, poeta e studioso islamico, co-fondatore del partito nazionalista, conservatore e monarchico “Istiqlal” (traducibile come Partito dell’Indipendenza) e propaganderebbe la necessità da parte del Marocco di rientrare in possesso in toto od in parte dei territori africani del medievale Impero degli Almoravidi. Nella sua versione aggiornata, tale idea espansionistica prevederebbe che il “Grande Marocco” comprenda non solo i territori degli attuali Marocco e Sahara Occidentale, ma anche i territori spagnoli di Ceuta, Melilla e delle Isole Canarie, l’isola portoghese di Madeira, l’intero territorio della Mauritania ed una porzione considerevole sia del Mali che dell’Algeria. Va ulteriormente specificato che la porzione di terra algerina rivendicata dall’ideologia del “Grande Marocco” è assai più grande delle provincie marocchine cedute a suo tempo dal sultanato in base ai trattati di Tangeri e di Lalla Maghnia.
Sebbene l’ideologia del “Grande Marocco” non sia mai diventata “politica di stato” del regno alawide, nondimeno né il partito Istiqlal, né le altre formazioni politiche che negli anni hanno affermato di volersene ispirare hanno mai fatto pubblico ripudio della stessa. In tempi diversi inoltre, intellettuali, giornalisti, leader religiosi islamici e vari altri soggetti di tutti i tipi vi hanno fatto più volte accenno per mobilitare le masse.
Nel 1975 poi, un ulteriore evento ha nuovamente portato i due paesi sull’orlo della guerra. A seguito del disimpegno della Spagna dai territori del Sahara Occidentale (vasta area costituita dai possedimenti coloniali di “Río de Oro” e “Seguia El Hamra”), il Marocco lo invase prendendone possesso prima congiuntamente alla Mauritania e poi (a partire dal 1979) conservandone il dominio esclusivo. L’occupazione marocchina del Sahara Occidentale ha provocato sia la violenta reazione della locale popolazione sahrawi che, guidata dal Fronte POLISARIO, si oppose militarmente all’azione marocchina, che un irrigidimento ulteriore dei rapporti con l’Algeria la quale rispose prima espellendo dal proprio territorio la vibrante comunità marocchina ivi residente (circa 350.000 persone) accusata di essere la “quinta colonna” del nemico in casa e poi passò a sostenere direttamente il Fronte POLISARIO, accogliendone il quartier generale nella cittadina di Tindouf, fornendo armamenti ed addestrandone i miliziani sia alla guerriglia che alle operazioni convenzionali.
Nonostante nel settembre del 1991 le autorità marocchine ed il Fronte POLISARIO avessero raggiunto un accordo per il cessate il fuoco, il conflitto non è approdato ad una pace duratura ma anzi si è tramutato in un cosiddetto “conflitto congelato” dato che il Marocco, per tutta una serie di ragioni, ha preso coscientemente la decisione di non ottemperare alle clausole dell’accordo di pace di sua propria pertinenza. Inutile a dirlo, il fatto che la questione del Sahara Occidentale sia rimasta una “ferita aperta” non ha certo aiutato a migliorare le relazioni tra i due vicini.
Nel corso della sanguinosissima “Guerra Civile Algerina”, Algeri accusò Rabat di appoggiare segretamente i gruppi dell’insorgenza islamica lasciando passare sia uomini che armi attraverso la frontiera. Il Marocco ha replicato accusando l’Algeria di fomentare le proteste che a più riprese, dal 2011 ad oggi, hanno segnato la scena politica domestica del paese e di continuare a sostenere il Fronte POLISARIO nelle sue “azioni provocatorie”. Successivamente, la mano delle autorità marocchine è stata tirata in ballo anche quando le autorità e le forze di sicurezza algerine hanno dovuto negli ultimi anni fare i conti sempre più spesso con il malcontento degli abitanti delle zone a maggior impronta culturale berbera, come la Cabilia. Proprio questa regione, da decenni al centro di imponenti manifestazioni antigovernative ed insofferente nei confronti dei diktat provenienti dal governo centrale, è stata particolarmente colpita a partire dall’agosto 2021 da una serie di violenti incendi che hanno causato la morte di almeno 90 persone, tra le quali ben 33 militari.
Sebbene la posizione ufficiale del governo sia che i soldati siano morti dopo essere rimasti intrappolati tra le ali di un incendio mentre portavano aiuto alla popolazione civile, voci persistenti ed inquietanti provenienti dal sempre florido sottobosco delle teorie cospirative affermano che essi siano stati in realtà uccisi nel corso di una serie di scontri armati con ribelli locali. In ogni caso, quale che sia la verità, Algeri ha accusato il Movimento per l’Autodeterminazione della Cabilia (Mouvement pour l’Autodétermination de la Kabylie – MAK) di aver deliberatamente appiccato il fuoco alla selva mediterranea al fine di creare una situazione ingovernabile. Neanche a dirlo, secondo Algeri, dietro al MAK ci sarebbe ancora una volta il Marocco. Questa è stata la ragione che ha spinto l’Algeria a rompere ogni relazione diplomatica con il suo vicino occidentale, cosa che è puntualmente avvenuta il 24 di agosto.
Ma gli eventi che probabilmente hanno costituito il vero “Rubicone” dal quale non si potrà tornare indietro sono avvenuti in campo diplomatico. Come citato sopra, al momento del pieno recupero della sovranità statuale, il Marocco riuscì a stabilire una durevole partnership strategica con la Francia. Ciò ha fatto sì che i due paesi abbiano potuto nel tempo collaborare su diversi scacchieri geopolitici ottenendone mutui benefici. Non è difficile capire come questa partnership privilegiata abbia più volte acuito le ansie geopolitiche dell’Algeria, riportandole alla mente le tristi memorie del periodo coloniale.
Non solo, a partire dagli anni ’70 del XX secolo, il Marocco è pure riuscito a costruire un solido rapporto con gli Stati Uniti d’America diventandone de facto il “gendarme” nell’area del Maghreb. L’affiatamento prima tattico e poi strategico tra Washington e Rabat è cresciuto progressivamente ed inesorabilmente fino a raggiungere l’apoteosi nel corso della presidenza Trump, quando con un colpo di spugna ed in spregio a tutte le leggi internazionali, il governo americano riconobbe i territori del Sahara Occidentale come parte integrante del Regno del Marocco, legittimandone in tal modo la politica dell’annessione unilaterale. Ben prima di tale riconoscimento, la politica estera americana e quella algerina erano improntate al mutuo sospetto (negli anni ’90 del XX gli USA arrivarono persino a minacciare l’Algeria di bombardare il reattore nucleare di El Salam, vicino a Birine, a 250 chilometri a sud di Algeri, se le autorità del paese non ne avessero chiarito lo scopo e le caratteristiche). Tuttavia dopo la firma degli accordi di partnership strategica tra Washington e Rabat ed il riconoscimento da parte della prima dell’annessione unilaterale del Sahara Occidentale da parte della seconda, per Algeri le sirene d’allarme hanno iniziato a squillare.
Le gocce che hanno infine fatto traboccare il vaso sono state la firma dell’Accordo di Normalizzazione tra Marocco ed Israele con conseguente annuncio che il Marocco è intenzionato a procedere al massiccio acquisto di armi di produzione israeliana come i sistemi antimissile Iron Dome e Barak 8, e la conferma che le Forze Armate Reali Marocchine abbiano recentemente rafforzato la loro linea di droni da combattimento grazie all’arrivo dei famigerati Bayraktar TB2 di fabbricazione turca. Se consideriamo il fatto che i rapporti tra Algeria e Turchia non sono certo idilliaci mentre con Israele si può parlare tranquillamente di “guerra non combattuta” (non solo Algeri e Gerusalemme non hanno rapporti diplomatici ma l’Algeria appartiene pure al cosiddetto “Fronte del Rifiuto” che mette assieme tutti gli stati arabi che si rifiutano di avere rapporti con lo stato ebraico), si capisce bene come al giorno d’oggi il Marocco sia sostanzialmente riuscito ad intessere rapporti proficui con tutti e quattro gli stati che sono visti da Algeri come potenziali fonti di minaccia e per questo fatto, e per tutto ciò che è stato detto sin dalla prima riga di questa analisi, Rabat è ormai diventata una minaccia esistenziale per Algeri, tanto da dover essere “spenta” a tutti i costi; se necessario “manu militari”.
È doveroso ora chiedersi: visto il deterioramento della situazione geopolitica, i due paesi hanno realmente le armi per farsi la guerra? La risposta in questo caso è: sì.
Non ci addentreremo ora in una dettagliata analisi delle capacità militari dei due contendenti, tuttavia a titolo esemplificativo basterà ricordare che, tra il 2005 ed il 2015, il Marocco ha speso la bellezza di 48 miliardi di dollari per il proprio bilancio alla difesa mentre l’Algeria ne ha spesi addirittura 58. Nel 2020 il Marocco ha annunciato l’approvazione di un piano quinquennale del valore di ulteriori 20 miliardi di dollari in armamenti nuovi di zecca, nonostante la pandemia del Covid-19 e la crisi economica. È inutile dire che l’Algeria non si è lasciata intimorire ed anzi ha preso di petto la sfida marocchina.
Alla luce di quanto detto sino ad ora è evidente che la situazione nell’area del Maghreb occidentale si sta surriscaldando ad un ritmo allarmante e le cancellerie europee dovrebbero dedicare assai più di una distratta attenzione agli avvenimenti di quell’area. Al di là dell’importanza dell’area geografica all’imboccatura del Mar Mediterraneo nella quale si trovano i contendenti e delle vitali infrastrutture energetiche dalle quali dipendono diversi paesi europei, in primis l’Italia, un ormai non più tanto ipotetico conflitto marocchino-algerino avrebbe conseguenze potenzialmente devastanti sull’Unione Europea anche per l’ondata di profughi che prevedibilmente si riverserebbero sulle nostre coste e per la possibilità niente affatto remota che le opposte diaspore marocchina ed algerina trasformino le periferie delle grandi metropoli europee in autentici campi di battaglia; naturali estensioni della linea del fronte in terra africana.
Prepariamoci dunque al peggio sperando che non accada.
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