Le illusioni e le delusioni della democrazia
di MARCELLO VENEZIANI (Danilo Breschi)
Intervista a cura di Danilo Breschi per il Pensiero storico n.10
Cos’è per lei la democrazia? Cosa intendiamo con questa parola?
La democrazia non è il governo del popolo sovrano, non è l’autogestione e l’autodeterminazione delle masse ma è la forma politica che prevede in linea di principio che i governi siano legittimati e revocati dalla volontà popolare, espressa mediante libero suffragio universale periodico. E che i governi siano il meno possibile opachi e il più possibile controllati per conto e in nome dei cittadini. Ma la decisione resta alla fine di chi ha lo scettro della sovranità. Non esistono governi di molti: la differenza è tra governi di pochi nell’interesse di pochi e governi di pochi nell’interesse di molti. Chiamiamo queste ultime buone democrazie. Sappiamo che la democrazia non sconfigge e destituisce le oligarchie, ma coabita e lungo la strada trova punti di compromesso tra l’assenso delle classi dominanti e il consenso dei popoli. Inoltre si parla di democrazia senza riferimenti nazionali e territoriali, come se fosse una forma politica globale. In realtà non esiste democrazia se non all’interno di uno Stato nazionale, riferito a un popolo, delimitato dai confini e dalle leggi.
Viene generalmente fatta una distinzione tra una democrazia degli antichi e una democrazia dei moderni. Condivide anche lei questo approccio alla domanda?
È una schematizzazione suggestiva ma non del tutto corrispondente alla storia e soprattutto poco utile per comprendere le categorie e le differenze sul piano politico. Le prime erano democrazie che coincidevano con la città o comunque con contesti limitati nello spazio e nel popolo, oltre che nei mezzi a disposizione. La vera distinzione tra le democrazie si concentra su sono due elementi fondamentali: uno, tra democrazia circoscritta e democrazia di massa; e l’altro tra democrazia diretta, plebiscitaria e democrazia delegata, parlamentare. Più naturalmente i possibili incroci intermedi.
Esiste oggi un solo tipo di democrazia o è un sistema politico che necessita di aggettivi e chiarimenti aggiuntivi poiché può essere implementato in molti modi, tenendo conto anche delle coordinate spazio-temporali in cui si traduce efficacemente in regole e istituzioni?
Si può definire meglio la democrazia a partire dalla definizione di ciò che non lo è. Ovvero i regimi dispotici, in forma autoritaria o totalitaria, dittature temporanee o tirannidi protratte nel tempo. La democrazia è una forma politica che riconosce il ruolo delle minoranze e delle opposizioni, ha un luogo istituzionale in cui si esercita la libertà di critica, dissenso e controllo; ha periodiche consultazioni popolari, libere e universali, in cui confermare o sostituire i governi in carica, anche a partire dalla fiducia alle maggioranze parlamentari che li sostengono. Infine una democrazia consente la libertà d’opinione, di scelta e di orientamenti di vita, se non contraddicono le leggi vigenti e non sono espresse in modi violenti.
Strettamente legato alla domanda precedente, ci si può chiedere se la democrazia sia stata una creazione tipicamente occidentale, poi esportata, o se abbia conosciuto un’evoluzione parallela in contesti politici e culturali non europei, ma schiacciata dall’espansionismo europeo e dal colonialismo che ne seguì. Cosa ne pensa?
Si, la democrazia è stata una creazione tipicamente occidentale, nata nella civiltà greco-romana e cristiana, sorta da una cultura fondata sulla centralità degli individui, sui diritti civili, sulla libera iniziativa dei singoli (o libero arbitrio, sul piano teologico). Successivamente le democrazie si sono estese al mondo, e si sono ibridate a forme politiche, culturali, antropologiche di altre civiltà e di altri popoli, a partire da quelli in cui sussisteva un originario rispetto per tutti gli uomini, una tendenza alla condivisione delle scelte e al controllo del potere. Il sostrato universale su cui si fonda la democrazia è il senso comunitario, come appartenenza, partecipazione e condivisione di destino. E’ il senso della comunità a dare spessore, valore, profondità e tradizione alla democrazia: il sentirsi parte, prender parte, riconoscersi in una comunità che ha un comune passato, un comune destino, un legame sociale fondato su consolidate consonanze.
Democrazia è un termine adatto solo al contesto politico o può o dovrebbe essere esteso anche ad altri settori della vita umana?
Meglio usarla nell’ambito politico, e solo limitatamente in quello civile, più contiguo, evitando che diventi un termine universale, applicabile a ogni contesto, ogni cultura, ogni relazione umana. Veniamo da decenni di abuso dell’espressione democratico, con una curiosa tendenza in passato: ogni categoria accompagnata dalla definizione di democratica (genitori democratici, magistratura democratica, psichiatria democratica, cultura democratica) erano al contrario la spia di una tendenza antidemocratica, cioè eterodiretta, centralistica, ideologica, intollerante, che serviva a discriminare coloro che non vi si riconoscevano e a imporre un modello di egemonia.
Oggi si parla molto in Europa della crisi della democrazia. Se è corretto parlare di crisi, in che senso dovremmo comprenderla? Ed è una crisi grave o no? Cosa potrebbe curarlo?
La crisi della democrazia è coessenziale alla democrazia, nasce con lei, perché non riesce a mantenere le sue promesse; dunque nasce con il tradimento della sua stessa definizione etimologica e l’impossibilità di realizzarsi appieno. A questa crisi endemica, strutturale, si aggiunge poi una crisi storica ed epocale, che nei nostri anni sembra aggravarsi. Nei primi decenni del secolo scorso andò in crisi la democrazia liberale, sopraffatta dalla nazionalizzazione delle masse e dalla pretesa di cambiare il mondo e l’uomo tramite la politica; da decenni è andata in crisi la democrazia di massa, sopraffatta dalla globalizzazione e dall’interdipendenza planetaria, dalla disaffezione e dalla diserzione dei cittadini, dal ricorso sempre più frequente a poteri tecnocratici, finanziari, gestionali, giudiziari che non passano da alcuna legittimazione democratica, più una serie di problemi derivati. La crisi pare incurabile ma la terapia per resistere, convivere con la malattia e arginarla, passa dalla capacità di pensare che il futuro non debba essere la ripetizione automatica del presente ma possano nascere nuove/antiche forme politiche, con un miglior equilibrio tra partecipazione e decisione, autorità e consenso, motivazione ed efficacia.
Secondo lei, la globalizzazione e lo sviluppo tecnologico hanno lo scopo di promuovere o danneggiare la democrazia?
La globalizzazione e lo sviluppo tecnologico allargano in partenza le possibilità di esercitare la democrazia, ne moltiplicano i canali e le possibilità di esercizio. Ma poi approdano di fatto, a una sua marginalizzazione fino all’irrilevanza. Perché la politica ha bisogno di confini per esercitare le sue decisioni e il suo senso comunitario e i mezzi non devono sopraffare i fini: e invece da un verso l’essenza della globalizzazione è lo sconfinamento, l’interdipendenza e la nascita di poteri sovranazionali e insieme sovrademocratici e dall’altro verso la tecnica tende a sostituire gli scopi e ad avere come unico scopo la propria espansione infinita, anche a scapito dell’umano.
Gli antichi filosofi greci avevano stabilito una relazione tra il tipo umano e la forma di un reggimento politico. Secondo lei l’affermazione della democrazia è favorita da un certo tipo umano, oppure è essa stessa a favorire la nascita e la diffusione di una certa antropologia?
Quando il potere aveva una legittimazione eroica e sacrale, quando cioè era affidato ai militari e ai sacerdoti, e sancito dalla spada e dalla fede, l’orizzonte antropologico e politico era inevitabilmente diverso; e diversa era la fonte del potere. Ma in una società dello scambio, del mercato, della libertà e dell’uguaglianza universali – almeno sul piano dei principi – in cui i fattori militari e religiosi sono sostituiti dai fattori economici e tecnologici, e non ci sono principi superiori alla libertà e alla sopravvivenza biologica, è evidente che il tipo umano a cui si riferisce è diverso. E a quel tipo umano si addice la democrazia, ma a volte è forte il sospetto che ancora più indicato potrebbe essere un potere tecnocratico e finanziario assoluto, sorretto da un regime di sorveglianza e di controllo capillare.
Quali sono, se ce ne sono, i modelli politici esistenti nel mondo di oggi come alternative alla democrazia liberale in stile occidentale? È logico parlare di “democrazie antiliberali”? E se è così, cosa significa questa endiadi apparentemente contraddittoria?
Si, ci sono democrazie non propriamente liberali, così come ci sono stati regimi liberali non propriamente democratici. Difficile parlare di democrazia liberale riferendosi al modello indiano o russo, o addirittura cinese… Ma anche in occidente i termini democrazia e liberale cadono non poche volte in contraddizione, e talvolta si aprono conflitti formidabili tra libertà e uguaglianza oltre che tra libertà e identità, tra democrazia e tradizione e tanti altri. Per non dire della forte tendenza a prevaricare il potere legislativo ed esecutivo da parte del potere giudiziario, che tende a sostituirsi alla politica e a correggere persino i responsi elettorali. La democrazia liberale non è una formula messianica e perenne, da cui non si può uscire se non cadendo all’indietro nel baratro dei dispotismi; è una forma storica, che può essere superata e che può avere alternative. Solo per citarne una, la democrazia comunitaria.
Qual è il rapporto tra democrazia e populismo?
Il populismo sorge dalle attese tradite della democrazia; quando la democrazia viene di fatto surrogata da poteri oligarchici e da interessi oligarchici, inevitabilmente sorge la tendenza a riportare al centro il popolo sovrano. Ma come sempre accade, poiché il popolo non può essere veramente sovrano in ogni suo singolo componente, il populismo si associa solitamente a un aspetto tribunizio se non bonapartistico, cioè si affida in chiave plebiscitaria a un leader che rappresenta gli umori e i malumori, i sentimenti e i risentimenti popolari, capace soprattutto di attaccare i poteri in carica ma meno capace poi di governare. L’investitura popolare è forte anche se spesso non è affatto duratura. Il populismo semplifica i problemi, cerca soluzioni elementari, scorciatoie d’effetto, cede spesso alla demagogia emotiva; ma alla sua origine nasce dal tradimento delle élite nei confronti della democrazia. Ogni processo al populismo è in realtà un processo alla democrazia da cui ha preso piede.
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