L’esito dell’elezione del Presidente della Repubblica, ma ancor più il tortuoso percorso che ha portato Sergio Mattarella a “raddoppiare” la sua permanenza al Quirinale, hanno dimostrato, se ce ne fosse ancora bisogno, di quanto ci sia bisogno e necessità di riformare la Costituzione, a partire dal meccanismo della elezione del Capo dello Stato, per salvare il principio fondante della Carta che consiste nell’attribuire la “Sovranità” al popolo italiano.
Al netto del fatto che segnerebbe un chiaro e benefico “segno di rottura”, rispetto all’odierno stantio e sclerotico metodo di elezione del Capo dello Stato, siamo sicuri che basterebbe la sola e semplice elezione diretta, a suffragio popolare, a risolvere l’impasse politico istituzionale in cui si di batte il Paese dal 1994 ad oggi?
Anche nella fragile e caduca Repubblica di Weimar il Presidente era eletto direttamente dal popolo, ma ciò non bastò ad evitare a quella Repubblica l’ingloriosa e tragica fine che fece. Forse, è bene dirlo, questa riforma di quello che è un sistema elettorale, dovrebbe essere accompagnata da altre riforme istituzionali che mirino, per certi versi, a rifondare la statualità e, per altri, a restituire “sovranità” al popolo italiano e alle istituzioni (lo Stato) che promanano dalla sua volontà.
Quanto è accaduto in questi giorni di elezioni presidenziali e l’esito finale che ne è sortito, richiamano ad un’attenta riflessione e riconsiderazione delle belle pagine che Rocco Montano scrisse sulla necessità di rifondare lo Stato e le istituzioni rappresentative.
Chi era Rocco Montano? Augusto Del Noce lo definì ‹‹il più grande degli italianisti››. Lucano, di Stigliano, in provincia di Matera, ha insegnato negli anni ’60 e ’70, in numerose e prestigiose università americane, ad iniziare da Harvard, passando per l’Università Cattolica di Washington, alla Illinois University. Al rientro in Italia, per il suo anticomunismo e la sua visione della letteratura tanto antimarxista, quanto anticrociana, gli fu data la cattedra di “Letteratura Comparata” all’Università di Salerno, qualcosa di sproporzionatamente inferiore rispetto ai suoi titoli prestigiosi. Nel 1987 una commissione, costituita da Renzo De Felice, Lapo Mazzei, Geno Pampaloni e Giano Accame, gli conferì il Premio “Prezzolini”. Il suo saggio “Dante, Filosofo e Poeta” è un classico degli studi danteschi e, nel 2021, il “Correre della Sera” ne ha pubblicato la terza edizione riparando in qualche misura al colpevole ostracismo con cui questo intellettuale era stato trattato dall’establishment culturale italiano.
Montano concepiva il ruolo dell’intellettuale in maniera alternativa tanto alla visione gramsciana dell’intellettuale “organico” al Principe/Partito e quindi funzionale alla sua lotta per conquistare e conservare il potere, quanto alla visione “liberale” dell’intellettuale distaccato, “vate” rinchiuso in un proprio limbo intimistico, estetico ed astratto dalla realtà storica. Per l’italianista lucano, l’intellettuale ha il dovere di ricercare, sondare ed indicare percorsi di Verità e di Bene alla realtà storica mentre essa si fa, pur nella consapevolezza dell’imperfezione della ragione umana. In tal senso egli pensava ad un “impegno” della letteratura contro ogni astratto disincanto ed ogni machiavellico engagement funzionale al Potere. In tal senso non disdegnò di entrare con propri studi e saggi nel vivo del dibattito politico – culturale. In un certo senso rimase segnatamente influenzato dal modello di intellettuale rappresentato dal suo amato Dante.
Sotto lo pseudonimo di Dedalus, Montano dedicò vari articoli e saggi sulle riviste da lui dirette (“Delta” e “Segni”) alla necessità di intervenire sulla Costituzione con il proposito di delinearvi un percorso di rifondazione dello Stato.
In La frana della Costituzione (1980) secondo il suo allievo Rocco Digilio, egli ‹‹rimarcò, con particolare sagacia, le non poche crepe della nostra Costituzione; quel che più lo inquietava era la distrazione, durata non pochi decenni, dei molti autorevoli intellettuali italiani, il loro devoto, quando non imbarazzante, silenzio per non aver mai fatto sentire la loro voce critica.››
Ciò consentì, ed ha consentito sinora, la sopravvivenza di una carta costituzionale che modellava un assetto statuale che non aveva minimamente tenuto in considerazione la “crisi dello Stato liberale”, che agli inizi del “secolo breve” aveva contribuito notevolmente all’ascesa e alla vittoria del Fascismo. Tutte le ragioni di quella crisi, secondo Montano, erano state ignorate dalla classe dirigente e dai padri costituenti:‹‹ La Costituzione, formata da uomini politici del prefascismo che in venti anni di storia, malgrado l’avvento di molti sistemi dittatoriali, in molti paesi d’Europa, non erano riusciti a rendersi conto delle deficienze dei sistemi parlamentari e liberali e riprodussero uno dei peggiori esempi di sgangherato parlamentarismo, è stata senza dubbio alcuno […] la causa prima del crollo.››
Rispetto a questa crisi, oramai divenuta endemica, non essendo stata superata nemmeno con il passaggio al sistema elettorale maggioritario e alla Seconda Repubblica, secondo Montano, pensare a piccole riforme elettorali o istituzionali sarebbe come usare i pannicelli freddi per una febbre da cavallo. ‹‹Solo oggi, con la Repubblica in sconquasso, qualcuno parla, come se facesse una scoperta, di correzione della legge elettorale o di qualche marginale modifica e ciò vale solo a rendere il caso più grave: come quello di un moribondo al quale nessuno pensi a dare un rimedio.››
Se questa, detta in breve, è la diagnosi, quale era la “cura” suggerita dall’intellettuale lucano? La sua era una proposta articolata e tesa a cercare di prevenire tutte le “patologie” di un partitismo esasperato quanto includente sul piano della decisione. Prima di tutto bisognava riformare il bicameralismo perfetto assegnando ad ognuna delle camere un ruolo ed una funzione diversa e di controllo sull’altra in una sorta di circolarità e reciprocità del “controllo e bilanciamento”. Se la Camera dei Deputati doveva continuare a rappresentare il potere legislativo strictu sensu, per il Senato si doveva invece disegnare il profilo di una Camera Alta, non elettiva, in cui erano rappresentati gli organi più alti della struttura statuale, cultura, magistratura, alta burocrazia, mondo del lavoro e delle professioni, mondo dell’arte. ‹‹Per questa via, il potere delle segreterie di partito vorrebbe sostituito dalla collaborazione di membri del Sentato scelti per la loro capacità e competenza e abituati a pensare in termini di interesse pubblico, non di fazioni.›› Il modello, probabilmente, era la britannica Camera dei Lords che, in quell’assetto istituzionale, rappresenta l’expertise (la competenza).
Per la Presidenza della Repubblica, immaginava sì l’elezione diretta a suffragio popolare ma voleva evitare che le segreterie di partito (ricordiamo che nei tardi anni ’80 era ripresa con vigore la polemica contro la “partitocrazia”) intervenissero pesantemente ad influenzare la scelta dei candidati. Di conseguenza proponeva che i candidati fossero individuati in una rosa di personalità, scelta un anno prima delle elezioni dal parlamento, in seduta comune. Questi candidati non dovevano ricoprire o aver ricoperto nella legislatura in corso incarichi di governo come Ministri o Sottosegretari. ‹‹Così, invece di affidarsi al molto incerto e pericoloso criterio della popolarità per l’elezione del presidente, si potrebbe o si dovrebbe fare in modo che le Camere designino, un anno prima della fine di una legislatura un numero di quattro o cinque candidati da sottoporre al voto popolare, in questo modo anche l’opposizione, facendo delle scelte oculate, potrebbe partecipare alla nomina del Presidente.›› Un Presidente che viene eletto al termine di un processo che vede coinvolto parlamento e popolo possiede la piena legittimità per esercitare una qualche forma di orientamento e di indirizzo anche sull’attività dell’esecutivo e del potere legislativo.
Secondo Montano anche l’amministrazione della giustizia palesava una crisi, che si andava aggiungere a quella politico-istituzionale aggravandola, per cui in questo disegno di riforma era necessario intervenire pure sull’assetto della magistratura:‹‹ L’autonomia della giustizia non si identifichi, come è assai volte avvenuto, con il diritto dei giudici di interpretare la legge a loro piacimento, creando a volte tante giustizia quanto sono le circoscrizioni.››
Inoltre, lo stesso regionalismo aveva prodotto un grave vulnus all’unità della Nazione che andava risanato con una ridelimitazione e ridefinizione delle loro funzioni e dei loro poteri, evitando che esse si sovrapponessero, come succede sempre più spesso, al potere legislativo dello Stato.
La questione istituzionale per Rocco Montano non è però solo una questione “tecnica”, di mera ingegneria istituzionale, essa non riguarda solo il funzionamento degli organi governativi e dei loro rapporti. Il problema fondamentale è quello di avere dei principi generali condivisi, il cui scopo consiste nel garantire la migliore tutela possibile del bonum commune: ‹‹La Costituzione dovrebbe essere prima di tutto la definizione di ciò che si considera essenziale non solo per la difesa dei diritti individuali ma per il progresso civile e morale di tutto il Paese […] ciò che compete in primo luogo allo Stato è avviare e sostenere le spinte verso migliori livelli di umanità.››
Nel saggio La crisi dello Stato e la funzione della cultura Montano definisce ed esplicita con espressioni più profonde e più chiare questo concetto scrivendo: ‹‹Uno studio dei valori da asserire dalla famiglia alla formazione dei giovani, all’attività legislatrice o a quella della giustizia, non è impossibile ed è certamente necessario. Ed è ovvio che non si tratta di dare al sistema del governo una funzione pedagogica. Il problema è quello di avere un punto di riferimento, una base di sviluppo, un impegno, invece della rinunzia […]. C’è una esigenza di unità di comunanza di ideali, una tensione di sacrificio in nome di quella che una volta si chiamava Patria. È un’azione culturale, che è assolutamente necessaria, un impegno intellettuale appoggiato ad un sistema liberamente scelto, ma ben distinto dalla inerzia di uno stato rinunziatario, dalla illusione che basti affidarsi all’azione assai spesso disgregatrice degli interessi economici e delle ideologie per assicurare il progresso. Occorre andare nel post-moderno, al dopo-fascismo, al dopo-comunismo.››
Rocco Montano non era un giurista, né tantomeno un costituzionalista. La sua analisi dei mali della Repubblica era ineccepibile e, per certi versi “profetica”. La sua proposta può essere ritenuta discutibile in alcuni snodi ma individua forti punti fermi tutt’ora attuali: la necessità di un quadro organico di riforme evitando di pensare che cambiare il solo sistema elettorale rappresenti una sorta di “panacea” per le patologie della Repubblica, la necessità di ancorare ogni progetto di riforma ad un quadro di valori e principi che sintetizzino una base condivisa della vita nazionale.
Che si tratti di una sfida resasi “necessaria”, come dice Montano, nulla quaestio; che sia, nel clima attuale, possibile vincere questa sfida, saremmo più prudenti, pur avvertendo il dovere morale di operare per vincerla secondo il vecchio adagio di Guglielmo il Maresciallo:‹‹ Non occorre sperare per intraprendere, né riuscire per perseverare.››
FONTE: https://www.qelsi.it/2022/la-rifondazione-dello-stato-nel-pensiero-di-rocco-montano/
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