«Le cannonate sono riprese alla grande dal mattino presto. I soldati di Mosca in città non si sono visti, ma i blindati vanno verso la linea del fronte. Lunedì notte nella piazza con la statua di Lenin c’erano i fuochi d’artificio e sventolavano solo bandiere russe. Putin ha dato una scossa mondiale». La testimonianza via telefono al Giornale è di un italiano che vive da tempo nella roccaforte separatista di Donetsk. «Ne abbiamo patite tante in otto anni di conflitto, ma adesso voglio vedere chi attacca i russi – spiega – La gente comune è stanca, da una parte e dall’altra, e vuole solo che questa guerra finisca una volta per tutte».
Il leader separatista Denis Pushilin, alla guida dell’autoproclamata repubblica di Donetsk, riconosciuta assieme a quella di Luhansk dal Cremlino, la pensa diversamente. Ieri ha firmato un decreto che obbliga al servizio militare i cittadini nati tra il 1995 e il 2004. E ha spiegato che «non escludiamo a un certo punto di chiedere aiuto alla Federazione Russa» dal punto di vista militare. Il vicepresidente del parlamento dell’altra repubblichetta separatista di Luhansk, Dmitrij Khoroshilov, ha annunciato «la richiesta all’Ucraina di ritirare volontariamente le truppe» dalla prima linea. Il riconoscimento del Cremlino prevede anche la costruzioni di basi sul territorio ucraino in mano ai filo-russi, ma il vero nodo sono i «confini» delle enclave in armi. La Russia riconosce i territori «entro i quali la leadership delle due Repubbliche esercita autorità e giurisdizione» ha spiegato il ministero degli Esteri. In gioco c’è il riconoscimento di porzioni non indifferenti di territorio delle due regioni ora controllate dalle truppe di Kiev. Prima fra tutte la città portuale di Mariupol, sul mare di Azov, strategica per ambo le parti.
«Me l’aspettavo che Putin giocasse questa carta – spiega un italiano che resterà a Kiev – Se gli ucraini non si ritireranno verranno spazzati via. Ci sarà una battaglia cruenta, ma limitata territorialmente. L’obiettivo è prendersi Mariupol e gli altri centri abitati del Donbass con una guerra lampo». Il presidente, Volodymyr Zelensky, non ha alcuna intenzione di ripiegare e ritiene «che non ci sarà una guerra totale contro l’Ucraina e un’ampia escalation dalla Russia». Zelensky valuta lo stop delle relazioni con Mosca e il suo ministro della Difesa, Oleksii Reznikov, dichiara: «Siamo pronti e in grado di difenderci, ma il mondo non può restare in silenzio».
Mosca specifica che saranno inviate truppe nell’Est dell’Ucraina «solo se necessario», ma agirà in caso di «minaccia». In realtà i primi blindati russi sono stati filmati che entravano nel Donbass durante la notte di lunedì. A Kiev, nelle stesse ore del riconoscimento, capannelli di giovani ballavano al ritmo della musica pop russa in piazza Maidan dove tutto ha avuto inizio con la rivolta del 2014. Un paio di ubriachi inneggiava al Donbass per provocare i giornalisti e un militare in borghese, scuro in volto, dichiarava a denti stretti: «Non si rendono conto che siamo sull’orlo del baratro». Dall’Ucraina occidentale, caposaldo nazionalista, unità di artiglieria hanno ricevuto l’ordine di movimento immediato verso la zona di Chernobyl, sopra Kiev, per contrastare un’eventuale direttrice d’invasione dalla vicina Bielorussia.
L’ambasciata italiana ha diramato ai connazionali le coordinate «dei centri di raccolta prestabiliti» in caso di evacuazione. E «di valutare l’opportunità di predisporre alcune scorte di acqua, cibo e vestiti caldi e di carburante per le auto». Olga Romanova, che vive nel centro di Kiev, è russa scappata da Luhanks, dove ha lasciato la famiglia spaccata a metà. «Mia sorella non risponde al telefono e su Facebook inneggia all’indipendenza sostenendo che non ci saranno più bombardamenti, ma l’artiglieria ha ripreso a tuonare alle 7 del mattino». Produttrice di documentari che saranno presentati a Cannes è convinta che «il riconoscimento è solo l’inizio di qualcosa di peggio, ma non ho paura che i russi arrivino fino alla capitale. Gli ucraini sono combattivi e difenderanno la loro indipendenza». I poligoni sono presi d’assalto dai civili, comprese arzille signore di 70 anni, che si addestrano anche a salire su un blindato con giubbotto antiproiettile ed elmetto.
Sul treno da Kiev verso Kharkiv, la grande città dell’Est a 39 chilometri dal confine russo, una coppia di trentenni sta tornando di corsa a casa dove hanno quattro figli piccoli. «Dopo otto anni di guerra e tensioni non avremmo mai immaginato che la Russia potesse arrivare a questo punto. Abbiamo paura soprattutto per i bambini» spiega Alex Miroshnychenko. «Forse la generazione più anziana che ha nostalgia dell’Urss non lascerà la città – spiega – ma noi e i nostri amici nei prossimi giorni ce ne andiamo in Polonia».
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