Dalla guerra del Kippur all’assedio di Kiev
di TELEBORSA (Guido Salerno Aletta)
Analogie, a mezzo secolo dalla Prima Grande Crisi Energetica
L’Europa sta ancora una volta in mezzo, tra gli interessi geopolitici che vedono schierati da una parte gli Usa e dall’altra la Russia.
Nel 1973 i prezzi salivano alle stelle, le file ai distributori di carburante si facevano estenuanti, gli inviti al risparmio di energia si moltiplicavano: lo abbiamo già visto, mezzo secolo fa.
Era scoppiata la Guerra del Kippur, con la riconquista da parte dell’Egitto della Penisola del Sinai, a sette anni dalla Guerra dei Sei Giorni che era stata vinta nel 1967 da Israele, occupandola con una azione fulminea. Tutti sapevano che, prima o poi, quel lembo di terra arida e desolata sarebbe dovuto ritornare a far parte dell’Egitto, ma nessuno se ne dava conto.
In quel contesto, l’URSS spalleggiava militarmente e politicamente l’Egitto nella riconquista del Sinai, mentre gli Usa spalleggiavano come sempre Israele: è una analogia di schieramenti davvero impressionante rispetto a quanto sta accadendo in questi giorni. Stavolta, la Russia vuole evitare che l’Ucraina aderisca alla Nato, mentre il governo di Kiev rivendica la tutela americana: ancora una terra di confine che viene contesa, come fu per il Sinai.
Quando, nel 1973, per sostenere l’iniziativa militare del Cairo e sventare le reazioni a favore di Israele, l’intero Mondo Arabo proclamò l’embargo all’Occidente, bloccando il transito delle petroliere nel Canale di Suez e facendo aumentare di ben otto volte il prezzo del barile di petrolio portandolo dai 5 a 40 dollari, il mondo cambiò per sempre: la “Tassa dello Sceicco” ribaltò per sempre il rapporto di forze tra i Paesi produttori di petrolio ed i Paesi trasformatori. I Primi cominciarono ad arricchirsi senza sosta, accumulando montagne di riserve in valuta pregiata, il dollaro con cui si pagava il petrolio da importare. I Secondi, soprattutto i Paesi Europei, persero di competitività: l’Italia ne uscì devastata, perché tutta una serie di produzioni energivore non erano più sostenibili.
L’industrializzazione del Mezzogiorno, che puntava ad innescare un ciclo economico che partiva dalle industrie di base, con nuovi centri siderurgici subì una stasi irreversibile: si immaginava di realizzarne addirittura un Quinto Centro a Gioia Tauro, dove non c’era né disponibilità di energia per mandare avanti gli impianti né tanto meno una industria meccanica che utilizzasse l’acciaio prodotto, così come già accadeva per il Quarto Centro dell’Italsider di Taranto, e mentre per il Terzo Centro di Bagnoli si prevedeva di realizzare un ulteriore treno di laminazione a caldo. Fu smantellato prima ancora di entrare in esercizio. Anche la petrolchimica entrò in crisi, e l’industria automobilistica dovette allestire modelli che consumavano sempre di meno.
La vita sociale ne fu stravolta.
Anche se è difficile ritrovare in giro i giornali dell’epoca, i ricordi sono netti nella memoria di coloro che vissero quei giorni: sui cartelloni stradali, stampati in bianco e nero, campeggiava un grande telefono con la didascalia: “Se i prezzi aumentano, chiama il Governo!”.
Ed ancora: la edizione del Telegiornale fu anticipata di mezz’ora, alle 20; furono soppressi gli ultimi spettacoli delle 23 al cinema; furono introdotte le “domeniche a piedi” con la circolazione ammessa a targhe alterne, pari e dispari. Da allora, il risparmio energetico si trasformò in un mantra.
L’economia europea, che era cresciuta senza soste nei due decenni precedenti, negli Anni Cinquanta e Sessanta, aumentando di competitività rispetto gli Stati Uniti, ne fu stroncata. Dopo aver subito la crisi del dollaro del 1971, con la sua svalutazione e l’introduzione di dazi all’importazione, quella del 1973 fu una batosta: si entrò in una fase di stagflazione. L’aggiustamento industriale e sociale ai nuovi costi energetici fu un processo lungo e penosissimo.
A mezzo secolo di distanza, 49 anni per l’esattezza, tutto sembra ripetersi: l’assedio di Kiev da parte delle truppe russe, entrate in Ucraina alla fine di febbraio scorso, ripetono lo schema del capovolgimento di fronte subito nel 2014, sette anni prima, quando il governo filorusso di Yanukovich fu spodestato dalla sommossa popolare di Euromaidan. Anche stavolta, tutti sapevano che per la Russia la situazione in Ucraina era diventata insostenibile come lo era stata per l’Egitto la perdita del Sinai nel 1967: era una terra che gli era sempre appartenuta, e che non poteva restare ancora nelle mani di Israele, da sempre spalleggiato dagli Usa.
Nel 1973 il problema dell’Europa era quello di sottrarsi al “ricatto energetico” dei Paesi del Golfo Arabo, dal petrolio importato da cui erano completamente dipendenti.
Gli Stati Uniti avevano molto da guadagnare per un’Europa messa alle corde dall’aumento del prezzo del petrolio: il comportamento dell’Arabia Saudita, con il quale gli Usa hanno una Special Relationship sin dal 1947, fu davvero ambiguo. Anni dopo, infatti, con il sistema dei petrodollari, a Wall Street arrivarono capitali a fiumi. Denari che in fondo erano usciti dalle economie europee che compravano petrolio in dollari.
Nel 2022 il problema dell’Europa è quello di sottrarsi al “ricatto energetico” della Russia, dal gas importato da cui sono completamente dipendenti.
Gli Stati Uniti hanno raggiunto negli scorsi anni la piena indipendenza energetica, sfruttando i giacimenti di scisto, e sono divenuti esportatori netti. Di certo, il peso delle sanzioni comminate alla Russia per il suo intervento militare in Ucraina li danneggia assai meno rispetto ai Paesi europei che invece dipendono dall’import sia per il petrolio che per il gas.
Commenti recenti