Altro che Transizione: il gas GNL che importeremo dagli Usa è una bomba ecologica
da L’INDIPENDENTE (Simone Valeri)
Per il Gas naturale liquefatto (GNL) e il suo principale esportatore – gli Stati Uniti – questi sono tempi d’oro. La fonte energetica fossile che abbonda negli Usa, poiché ritenuta una valida alternativa alle importazioni russe di gas, è infatti tornata in auge proprio a causa del conflitto in Ucraina. Per l’Unione europea la scelta è stata semplice e immediata, tuttavia, nonostante una retorica fuorviante, il GNL è tutt’altro che sostenibile: un vero e proprio nemico del clima. Eppure, gli ordini sono già partiti. Così, a regime, gli Stati Uniti potrebbero esportare 14,8 miliardi di metri cubi di gas al giorno. Esportazioni che, nel mese di marzo, hanno già raggiunto il picco più alto di sempre. Del totale, il 65% è arrivato in Europa e il 12% in Asia.
Il GNL, fondamentalmente, non differisce dal gas naturale esportato dalla Russia. Si tratta, infatti, dello stesso idrocarburo fossile (per il 90% è metano) sottoposto, però, ad un processo aggiuntivo: quello della liquefazione per l’appunto. Così, dall’estrazione al trasporto, non c’è fase produttiva in cui il GNL possa definirsi sostenibile. Anzi – secondo un rapporto del Natural Resources Defense Council americano – puntare sul GNL come da previsioni attuali allontanerebbe definitivamente dalla possibilità di limitare il riscaldamento globale entro gli 1,5°C. Nel primo decennio post-utilizzo, tale fonte energetica avrebbe difatti avuto un impatto climatico inferiore a quello del carbone appena del 27%. Certo, quindi, è che non si tratta di una fonte pulita. L’estrazione, negli Stati Uniti, avviene tipicamente tramite la controversa tecnica della fratturazione idraulica (in inglese fracking), alla quale segue la liquefazione, ovvero, la conversione dell’idrocarburo in forma liquida, indispensabile per trasportarlo via mare in modo economicamente conveniente. Giunto a destinazione, il gas allo stato liquido va riscaldato e rigassificato in appositi terminal che tutti i principali Paesi europei – Italia in primis – stanno costruendo in fretta e furia. Rigorosamente, con soldi pubblici. Non che di terminal non ce ne fossero già, ma il fatto che se ne realizzino di nuovi conferma quindi le intenzioni precedentemente citate.
In termini di emissioni, inoltre, il 21% di quelle del GNL derivano dalle fasi di liquefazione, trasporto e rigassificazione, tutti passaggi in più rispetto all’impiego diretto del gas naturale aeriforme. Non a caso – a detta di una valutazione del centro studi francese Carbone 4 – il GNL comporta emissioni equivalenti di CO2 due volte e mezzo maggiori rispetto a quelle emesse dal gas che arriva via gasdotto. Ed è il trasporto via mare, in particolare, a presentare più di una criticità. Basti pensare, intanto, che il 40% delle emissioni del traffico marittimo internazionale dipendono proprio dallo spostamento di fonti fossili. Il viaggio, nel complesso, aumenta poi le probabilità che si verifichino delle perdite di metano: un gas ad effetto serra, sebbene meno permanente in atmosfera, di gran lunga più potente dell’anidride carbonica. Nel caso specifico del GNL, inoltre, si è pensato addirittura di proporlo come carburante green alternativo per le navi. Le emissioni che ne derivano, tuttavia, sono climalteranti al pari di qualunque altra fonte fossile. L’unico vantaggio sarebbe un taglio alle emissioni di ossidi di zolfo che, sebbene dannose in termini di inquinamento atmosferico, al livello climatico non fanno la differenza. In sostanza, al livello ambientale, il GNL non è né una soluzione né una temporanea valida alternativa: per gli Stati Uniti rappresenta però una ghiotta occasione di profitto, tra l’altro, servita su un piatto d’argento dall’Ue. Niente di più.
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