Il dramma
di STEFANO D’ANDREA
L’azione individuale e quella, più rara, collettiva, sono campi sterminati di nozioni, di esperienze, di massime, di abilità, di capacità, di finezze, di stratagemmi, di strategie di equilibrio e di piani subordinati, di intuizioni, di fermezza, di tenacia, di pazienza, di spregiudicatezza, di freddezza, di ferocia, di patti di sangue e di patti di convenienza, di fratellanza, di cooperazione per stima, di cooperazione per interesse, di cooperazione per attrazione, di rischio, di violenza, di resistenza e di molte altre cose ancora.
Non tutti gli uomini sono vocati per l’azione. Nel ceto borghese un numero abbastanza grande. Nel ceto popolare pochissimi. Il ceto borghese si esercita nel commercio, nelle carriere accademiche, nelle carriere dirigenziali, nelle libere professioni, nei lavori autonomi, nelle collaborazioni, nei consorzi di diritto o di fatto, nei patti tra galantuomini, nei patti del circolo del tennis, nelle turbative d’asta, nelle truffe, nelle società di persone, nelle società di capitali, nelle corruzioni, nelle vendette.
La gente comune non è addestrata all’azione. Ciò che valeva un tempo, quando il popolo non era addestrato alle armi, sicché pochi nobili armati assoggettavano migliaia di popolani, vale ancora oggi, perché il popolo non è addestrato all’azione pratica. Non ne sa niente, la rimuove, giudica le virtù con moralismo e giustifica con moralismo la dabbenaggine.
I partiti politici servivano proprio ad educare la gente comune all’azione, al sangue e alla m…a. Ma il popolo oggi si tira indietro. Preferisce consumare, come i borghesi decadenti, che preferiscono (o non sanno far altro che) vivere di rendita. Questo è il dramma. Il popolo sa manifestare ma manifestare non è azione, è giocare divertirsi, ritrovare gli amici, urlare, inveire, offendere, cantare. La manifestazione è consumo.
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