Putin, il comuni…catore
di PIANO CONTRO MERCATO ( Pasquale Cicalese)
Mojo
May 15, 2022
Andrea Brodi
Riportiamo uno degli ultimi post del Segretario Generale del Partito Comunista della Federazione Russia Gennady Zyuganov.
IL NOME DI ZYUGANOV È VIETATO
Di recente, su molti computer delle scuole è stato installato un programma speciale che blocca l’accesso a “informazioni indesiderate” e vieta la connessione a reti Internet di terze parti. Come puoi vedere da questo video, il nome del leader del Partito Comunista della Federazione Russa, Gennady Andreyevich Zyuganov, era nell’elenco delle “informazioni indesiderabili”. Allo stesso modo, non puoi visitare il sito del quotidiano “Pravda”. Ad esempio, le informazioni su Putin e sul compianto Zhirinovsky possono essere trovate abbastanza tranquillamente. Durante la lotta alle minacce esterne, le autorità continuano ostinatamente a non ascoltare i milioni di elettori che hanno sostenuto il Partito Comunista nelle elezioni e fanno guerra ai comunisti, vietando ora anche l’accesso a informazioni alternative e veritiere sulla situazione nel paese agli scolari e sul futuro della Russia. Il nostro paese continua a scivolare costantemente in una distopia!
Post originale
https://t.me/zyuganov_gennady/556
Il comunicato del segretario Gennady Zyuganov del Partito Comunista della Federazione Russa, può essere utile per ribadire alcune contraddizioni tutte interne al territorio russo e che spesso, anche per evidente isolamento linguistico, sfuggono a tanti compagni che in buona fede si muovono polarizzati su certe posizioni tenendo conto della sola politica estera perpetrata del governo di Putin; compiendo lo stesso errore di taluni compagni che provano il debole per la cosiddetta barricata. La notizia riportata dal segretario del Partito Comunista, seconda forza del parlamento russo, non oscura il ruolo della Russia in chiave antimperialista nello scacchiere mondiale. La Russia in questo momento mette in dubbio lecitamente la politica aggressiva del dollaro e l’imposizione delle politiche monetarie statunitensi sulle economie del mondo di quei paesi fino ad oggi subalterni, ricchi di materie prime, ma che non vogliono svendersi al sistema delle multinazionali né essere condannate alla servitù del dollaro, con le regole del dollaro. Si può dire che la Russia in questo momento è la capostipite, il rappresentante politico bellico, di quel folto gruppo di paesi (la maggioranza del mondo) che hanno deciso, grazie a rinnovati rapporti di forza, di alzare il capo e mettere in dubbio il giogo statunitense. Tra questi paesi troviamo anche la Cina, un paese complesso che negli ultimi anni si è ritagliato il ruolo di produttore modiale che ha garantito il benessere dell’occidente fino ad oggi. La Cina si è resa protagonista di uno sforzo collettivo che ha portato una trasformazione straordinaria nel paese, come testimoniano i milioni di persone uscite dalla soglia della povertà assoluta negli ultimi anni, questo processo verrà sostenuto soprattutto sulla soddifazione della domanda interna. Un risultato che promuove la Cina come candidato a futuro detentore della bussula mondiale, scalzando un occidente che sa ormai di rancido. La Cina, così come la Russia, è stata utile al capitale finanziario fin quando serviva sfruttarne il ruolo da gregario, ma i rapporti di forza ora sono cambiati. Sopratutto a confronto degli Stati Uniti e alla loro situazione economica che potremmo definire folle; sorretta solo da un enorme debito reso possibile dall’imposizione della propria moneta sul mondo, un paradosso di una economia che gli USA riescono a mantenere sostenibile solo perchè presidiata da un apparato militare senza scrupoli.
Ciò detto, questo non significa prendere ad esempio il sistema politico su cui si basa la leadership di Putin, non significa esserne portatori di lodi e non significa vedere in Putin una sorta di novello Lenin. Posto che, alla luce delle dichiarazioni pubbliche, il leader russo pare essere di gran lunga il più moderato di altri cosiddetti falchi russi, non servirebbe neanche puntualizzare che pensare alla Russia come un paese anche vagamente socialista sarebbe un esercizio assurdo oltre che pericoloso. A maggior ragione, alla luce di quanto denunciato dal segretario Gennady Zyuganov che si vede censurato pur rappresentando la seconda forza politica in parlamento, il monito è sempre lo stesso: non cadere nella trappola della polarizzazione. Così come non cedere all’immenso fascino esercitato dalla restaurazione dei nostri simboli durante i recenti scontri armati, ricordandosi di tirare una linea di demarcazione netta tra la lotta di classe e la nostalgia. Né cedere a quella che purtroppo, per certi tratti, appare una strumentalizzazione della grande guerra patriottica, che è la motivazione bellica ideologica (parallela a quella economica entrambe necessarie in ogni guerra) fornita indirettamente in un piatto d’argento dagli StatiUniti con la testa di ponte ucraina, condizionata dalle drammatiche politiche nazionaliste che segnano il passo e dimostrano quanto il capitale statunitense sia oggi un animale ferito e rabbioso. Quella del governo di Putin è un’operazione per serrare le fila del popolo russo, rivendicare le conquiste storiche e stringersi intorno alla propria classe dirigente in un momento critico, un’operazione che però sembra essere indirizzata anche oltre “cortina di ferro”. Non dimentichiamoci che proprio quei mass-media spinti da logiche capitaliste sono, prima ancora che dei divulgatori, i creatori su vasta scala di questo particolare sentimento, quasi del tutto sconosciuto fino alla modernità e che oggi è diventato pervasivo e ingombrante: la nostalgia, manipolata da un secolo di cinema e mezzo secolo di televisione per riempire quel vuoto immenso di valori che si è portato via il regime consumistico degli ultimi 20 anni.
Questa operazione capiamo bene sia anche funzionale per le sorti del conflitto e per la sua buona riuscita, così come non mettiamo in dubbio l’intelligenza del popolo russo nel riconoscere la sottile linea rossa che divide il significato storico patriottico della falce e martello dal significato politico, teorico e soprattutto pratico. Così come non mettiamo in dubbio che agitare il vessillo rosso provoca il terrore, non ironicamente, negli occhi dei padroni dell’ordine unipolare. Ciò detto però, è bene essere consapevoli che questa operazione di comunicazione da parte del governo di Putin, corroborata dalle contraddizioni della politica interna russa che non scopriamo certo ora, non è troppo dissimile dal cosiddetto “greenwashing“: la strategia di comunicazione finalizzata a costruire un’immagine di sé ingannevolmente positiva, in questo caso, sotto il profilo dell’impatto capitalista piuttosto che ambientale. La denuncia del segretario Zyuganov è lì a ricordarcelo.
Inoltre, i compagni del Partito Comunista della Federazione Russa ci hanno provato con la recente proposta di restaurare come bandiera nazionale di Russia quella che fu dell’Unione Sovietica. Questa, che ai più è sembrata solo una nota di colore, è stata una mozione presentata con il solo scopo di legittimare l’inclusione dei territori del Donbass perché la zona originariamente, prima della dissoluzione, era sotto il controllo politico dell’URSS; il Donbass ne è stato sottratto ingiustamente, tenendo conto dei confini amministrativi voluti da Lenin (per bilanciare il PIL dell’Ucraina grazie alle industrie di carbone) e non quelli politici che appunto comprendevano il Donbass nell’Unione Sovietica. La mozione ha un valore politico provocatorio perché in contrasto con l’idea che si sta facendo largo che vede la Russia approfittare degli attuali rapporti di forza bellici per voler espandersi sulla linea sud, che va dalla Crimea fino ad Odessa per ricongiungersi alla Transinistria, a ragione o a torto, molto ben oltre il Donbass. Questi territori erano di fatto originari della RSS Ucraina e non dell’URSS, l’azione del Partito Comunista nella proposta della bandiera è un tentativo di rimarcare l’approvazione dell’operazione speciale e l’annessione dei territori limitatamente al Donbass e le repubbliche popolari che hanno subito l’aggressione ucraina dal 2014. La Russia ha di recente lamentato atti terroristici di intimidazione in Transinistria contro la popolazione russofona e denunciato il tentativo di un probabile attacco ad un arsenale sovietico di enormi dimensioni (in realtà è molto più modesto di quanto fatto credere), la paternità di questi atti terroristici non è ancora stata chiarita a fondo, ma chiunque capisce che il pretesto, che in questo caso si regge su episodi deboli rispetto la crisi in Donbass, fornisce l’occasione alla Russia per prendersi tutto lo sbocco sul mare (stiamo imparando a conoscere quanto sia strategico per un paese considerato il granaio europeo) e isolando ciò che rimarrà dell’Ucraina. A ciò si aggiunge anche l’Isola dei Serpenti, conquistata fin da subito dalla marina russa e rivendicata di recente dalle forze Ucraine che poi si è rivelata una fake news. L’isola è un piccolissimo lembo di terra a 35km dalla costa Ucraina, di enorme importanza strategica per il controllo delle rotte navali (e fin qui si potrebbe giustificare una presa temporanea per motivi bellici), ma soprattutto perché ricca di giacimenti di petrolio e gas naturale scoperti negli anni ottanta, così importanti tanto da generare un contenzioso tra Ucraina e Romania risolto in favore dei primi solo nel 2009. Va detto che l’annessione de facto di questi territori è un po’ diverso dagli obbiettivi inizialmente posti limitatamente al riconoscimento del Donbass, la demilitarizzazione dell’Ucraina e la denazificazione. Aggiungiamo che senz’altro si è arrivati a questo scenario anche con la complicità di Stati Uniti e Nato e la loro ostinazione bellicista sulla pelle del popolo ucraino, prima influenzando la condotta riguardo agli accordi di Minsk palesemente violati e successivamente negando ogni accordo a operazione speciale russa inziata.
Non è imprudente immaginarsi che la tenuta di un paese come la Russia, in questo momento, passi anche da un patto tra l’oligarchia e la politica; due entità che non parrebbero l’una subordinata alla seconda come invece avviene palesemente in occidente (nella fattispecie nel nostro paese). Il governo di Putin in questo momento sta raccogliendo i frutti politici dell’operazione speciale, il largo consenso della popolazione ad una campagna bellica che pare procedere come sperato, in aggiuta portata avanti per lo più con un vecchio arsenale di epoca sovietica (solo qualche giorno fa si sono visti una decina di carriarmato di ultima generazione) e un conseguente e cospicuo riarmo dovuto al bottino in armi ottenuto sul campo di battaglia sottratto alle forze ucraine (comprese moderne armi NATO). E si può dire lo stesso per le cosiddette oligarchie: in primis l’Europa ha completamente perso la guerra del gas accettando lo schema per il pagamento in rubli proposto dalla Russia, che allo stesso tempo ha aumentato le esportazioni verso i paesi alleati del BRICS (Cina e India in testa); questo, dopo un momento di stallo dovuto alla speculazione delle sanzioni occidentali, ha dato linfa alla moneta nazionale russa che sta letteralmente galoppando, i dati sulla bilancia commerciale russa sono straordinarie ed inequivocabili, se pur probabilmente temporanei. Infine a conflitto concluso, molte società russe potranno essere coinvolte alla ricostruzione dei territori che verranno annessi, in un modo o nell’altro, sotto l’influenza russa o nella Russia stessa; questo vale anche per le risorse che vi si trovano. In soldoni: le società che mettono le mani su questo tesoretto ricavato dalla guerra non sono pubbliche e purtroppo non garantiranno una redistribuzione al popolo russo come ci piacerebbe che accadesse per il benessere dei cittadini. Pur non negando l’attacco subito dalla Russia messa spalle al muro dalla mano statunitense in un processo che si è voluto e preparato negando di proposito la diplomazia per quasi 10 anni, avere un paese strategico al centro dell’Europa come l’Ucraina, in uno stato di coma economico finanziario a causa del procrastinarsi della guerra, con la possibilità di provocare una metastasi di instabilità (con le conseguenze tragiche sulla catena di approvvigionamento alimentare che pagheranno i popoli più esposti), è uno scenario che torna utile senz’altro agli Stati Uniti (con la rottura del complesso industriale tedesco non più legato a Mosca), ma anche alla Russia che si troverà come cuscinetto non più l’Unione Europea, ma decine di schegge impazzite e la possibilità di allargare la propria sfera di influenza.
Se la Russia di Putin è sotto minaccia, noi siamo ormai supini al giogo statunitense di Unione Europea e NATO, con la complicità della borghesia europea e una classe politica intaccabile quanto inetta, abbiamo un problema molto più grande e non lo si risolve facendo l’occhiolino a Putin, ma formulando una politica che non si faccia trasportare dal vento dell’emotività o della morale, orientata ai nostri bisogni, primo tra tutti la descalation e la pace tra i popoli. Il nostro obbiettivo è una Italia neutrale autodeterminata, che non è subordinata ad uno o l’altro volere potenzialmente imperialista, ma tiene uguali rapporti sullo stesso piano. Una Italia che conduce il tavolo delle trattative diplomatiche, un ruolo che coincide perfettamente con la nostra tradizione.
Con tutti i presupposti pacifici possibili è evidente che davanti ad un tentativo del genere, il potere costituito riverserà tutta il suo potenziale violento per detonare il dissenso e il furor di popolo. Non abbiamo idea del nemico che abbiamo in casa, farsi intrigare da questo o quello subendo il fascino esterofilo certo non aiuta, è la nostra dignità di popolo che dobbiamo recupere. Il richiamo all’analisi e a non cedere alla polarizzazione è d’obbligo, ma è anche un’enorme prova di forza alla quale il popolo italiano si presenta con un grosso deficit da colmare ed un vuoto da riempire. Questa tendenza alla polarizzazione becera, che indirettamente soffia sul fuoco dell’escalation, è altresì stimolata dai cosiddetti social appartenenti agli Stati Uniti, dove l’opera di comunicazione politica rimane limitata ad un consumo di dati e lascia troppo spesso spazio al retaggio culturale imposto dal capitale, dove rischiano di trovare linfa vitale desideri di riscatto di una esistenza tradita che trova sfogo in modo reazionario. Appare evidente che i social sono le vere armi di distruzione delle masse, quelle che dovremmo temere, che oltre a soddisfare l’obbiettivo della divisione in individui sono una potentissima macchina di profitto alimentata dai cittadini e che da luogo ad un binomio micidiale. Di questi meccanismi se ne serve il capitale e non fa differenza la bandiera sotto la quale opera.
Fonte: https://www.pianocontromercato.it/2022/05/23/putin-il-comuni-catore/
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