Club di Roma-MIT: “I limiti della crescita” compie 50 anni
da SCIENZA IN RETE (Stefano Nespor)
Nel 1972, contemporaneamente alla prima Conferenza mondiale dell’ambiente, viene dato alle stampe “The limits of growth”, commissionato dal Club di Roma, guidato fra gli altri da Aurelio Peccei, a cinque giovani studiosi del MIT: da sinistra, Jorgen Randers, Jay Forrester, Donella Hager-Meadows, Dennis L. Meadows and William W. Behrens III. L’opera applica un modello per dare sostanza scientifica a un messaggio storico: le risorse non sono infinite e con questo modello di crescita – economica e demografica – il sistema Terra andrà ben presto incontro alla più grave crisi della sua storia. Nasce così l’ambientalismo scientifico, anche se gli scenari del MIT si riveleranno poi eccessivamente pessimisti e in molti casi sbagliati. Con alcune modifiche pubblichiamo un estratto dal libro di Stefano Nespor (La scoperta dell’ambiente. Una rivoluzione culturale, edito da Laterza nel 2020) che ricostruisce quella stagione.
Nel marzo del 1972, dieci anni dopo Silent Spring di Rachel Carson, che segna secondo molti la nascita dell’ambientalismo moderno, appare un altro libro di fondamentale importanza nello sviluppo del pensiero ambientale e dei movimenti ambientalisti: The Limits to Growth. Per evitare confusioni mantengo il titolo sciattamente tradotto in italiano I limiti dello sviluppo, mentre la traduzione corretta sarebbe stata I limiti della crescita: sviluppo e crescita sono infatti due concetti economicamente e socialmente diversi.
Il volume vende in poco tempo due milioni di copie ed è tradotto in decine di lingue.
Possiedo una copia della prima edizione del libro, pubblicato a Londra e contemporaneamente a New York. Fu acquistato da Claudia Winkler, la mia compagna all’epoca. Claudia non si occupava di ambiente e l’acquisto dimostra l’interesse che il libro aveva suscitato nell’opinione pubblica. Il libro è rimasto con me fino a ora; sono poco più di 200 pagine, a stento ancora trattenute insieme dalla colla rinsecchita della rilegatura. È pieno di annotazioni e di sottolineature apposte prima da Claudia e poi da me: nel 1973 avevo cominciato a occuparmi di diritto dell’ambiente, forse sospinto proprio da quel libro, una materia ancora inesistente in Italia e, salvo qualche eccezione, in Europa. L’ambiente era a quel tempo già oggetto di tutela nell’Unione europea, ma in modo contorto e indiretto: non perché la meritasse in quanto tale, ma perché gli Stati che permettevano alle imprese nazionali di deteriorarlo senza adottare precauzioni producevano beni e merci con costi inferiori a quelli di altri paesi in cui l’ambiente cominciava a essere oggetto di tutela (Germania e Olanda soprattutto) e così violavano il principio della concorrenza del mercato comune. Paradossalmente, la protezione dell’ambiente dipendeva solo dalle norme che tutelavano il mercato.
Mettendo a raffronto The Limits to Growth con Silent Spring è facile comprendere che in dieci anni molto era cambiato. Non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa e, con taglio e preoccupazioni assai diverse, nei paesi poveri, la stampa e i grandi mezzi di comunicazione (Internet e la posta elettronica non c’erano ancora) avevano cominciato a occuparsi di problemi ambientali, facendo sorgere una diffusa voglia di conoscenze e di cultura scientifica: molti studiosi e specialisti cominciano a divulgare la conoscenza dei pericoli associati agli inquinamenti industriali, alla radioattività e ai rapporti fra la produzione e il consumo delle merci e il deterioramento della natura.
Questo spiega le differenze dei due libri. Mentre Silent Spring è un’opera di letteratura naturalistica, seppur rigorosamente documentata dal punto di vista scientifico, The Limits to Growth si propone come un rapporto scientifico, presentato in modo leggibile per il vasto pubblico. (…)
Nei dieci anni che separano i due libri ha fatto irruzione sulla scena mondiale, trascinato dall’emergere dei problemi ambientali, ma già anticipato, come si è visto, da Rachel Carson, il tema dei limiti, visti nella loro globalità e in tutte le possibili varianti: limiti nello sfruttamento delle risorse naturali, limiti nell’aumento della popolazione, e, appunto, limiti della crescita economica. È un tema che da questo momento in poi costituirà una delle componenti fondamentali del pensiero ambientalista. (…)
Ma vediamo come è nata quest’opera. Nel 1968, mentre Paul Ehrlich formula le sue apocalittiche previsioni sulla “bomba demografica”, Aurelio Peccei, insieme con Alexander King, un chimico e imprenditore scozzese (sarà anche direttore scientifico dell’OCSE, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che fin dall’inizio ha condiviso l’iniziativa di Peccei, invita un gruppo di trenta persone provenienti da dieci diversi paesi a Roma, all’Accademia dei Lincei. Ci sono tra loro scienziati, economisti, filosofi, industriali e uomini d’affari: tra di essi lo studioso dei futuribili de Juvenel, Hugo Thiemann, direttore del Battelle Institute di Ginevra, Saburo Okita, direttore del Centro di ricerche economiche giapponese, Carroll Wilson del MIT, il biologo Conrad H. Waddington, il fisico premio Nobel Dennis Gabor e il banchiere Guido Carli. È il primo passo verso la costituzione del Club di Roma, un’organizzazione non finanziata con fondi pubblici che in breve tempo conta quasi 80 membri di venticinque diversi paesi. Si aggiungeranno Pierre Trudeau, il primo ministro del Canada, Dzhermen Gvishiani, vice presidente del Comitato per la scienza e la tecnologia dell’Unione sovietica e poi anche la regina Beatrice d’Olanda e il principe El Hassan bin Talal di Giordania.
Peccei e King fanno parte del Comitato esecutivo. L’obiettivo è di promuovere la comprensione delle sfide globali che si prospettano per il futuro dell’umanità e di proporre soluzioni attraverso l’analisi scientifica dei problemi. Il presupposto è che le sfide siano così interconnesse che le istituzioni pubbliche tradizionali non sono più in grado di comprenderne appieno i contenuti e gli effetti e sia necessario quindi individuare idonee modalità per affrontarle. Sulla base di queste premesse è avviato un progetto che si propone di studiare il futuro del pianeta e soprattutto i limiti invalicabili di cui bisogna tenere conto.
In poco tempo è predisposto un documento preparatorio, chiamato Project 1969, che intende porre i lineamenti di una nuova scienza per programmare il futuro, basata sul presupposto che l’uomo e la natura costituiscono un macrosistema integrato. Nella successiva riunione del giugno 1970 a Berna Jay Forrester, un ricercatore del MIT, propone di costruire una simulazione delle interazioni tra i principali fattori che contribuiscono a determinare i problemi dell’umanità. La simulazione avrebbe dovuto essere realizzata utilizzando i computer dei quali in quegli anni si stavano scoprendo le immense potenzialità (risale a pochi anni prima l’immissione sul mercato dei primi esemplari del PDP-8, un computer piccolo e per l’epoca leggero che ben presto si diffonde nei laboratori, nei centri di ricerca e nelle università).
Un primo modello, World 1, sviluppato da un gruppo di giovani ricercatori del MIT diretto da Dennis Meadows, prende in considerazione i più importanti temi allora oggetto di discussione e di contrasti tra paesi poveri e paesi ricchi. Dalla simulazione emerge che la continua crescita di inquinamento e popolazione con il ritmo attuale avrebbe condotto prima o poi al collasso. I successivi modelli World 2 e World 3, elaborati sulla base di simulazioni più precise, forniscono la base dei dati inseriti in The Limits to Growth. (…)
Nello stesso anno 1968 in cui Peccei e King avviano la costituzione del Club di Roma, l’Assemblea delle Nazioni Unite approva la proposta della Svezia di indire per il 1972 una Conferenza sull’ambiente umano. La sede è a Stoccolma, nel paese promotore dell’iniziativa.
Nel 1971, quando cominciano i preparativi per la Conferenza, il conflitto tra Nord e Sud del mondo esplode. La maggior parte degli stati ricchi sostiene che i problemi ambientali sono fondamentalmente gli stessi ovunque e che i paesi poveri possono procedere sulla strada dello sviluppo solo se adottano rigorose misure per limitare le nascite: la sovrappopolazione resta infatti la causa principale di distruzione dell’ambiente.
Diametralmente opposta la posizione assunta dai paesi poveri: il degrado ambientale è causato dall’industrializzazione e dallo sfruttamento delle risorse naturali per soddisfare le incolmabili esigenze di consumo dei paesi ricchi, sicché grava su questi ultimi il compito di risolverlo e di sopportarne i costi. (…)
La Conferenza sull’ambiente umano (United Nations Conference on the Human Environment, nota anche con l’acronimo UNCHE) si svolge così a Stoccolma tra il 5 e il 16 giugno del 1972. Vi partecipano 112 Stati, la gran parte dei membri a quel tempo delle Nazioni Unite, oltre a molte organizzazioni internazionali e, per la prima volta, le organizzazioni non governative del settore ambientale. Nel corso della Conferenza i paesi poveri riescono a porre al centro della discussione la mancanza di sviluppo come causa primaria dei loro problemi ambientali. L’obiettivo è quindi promuovere lo sviluppo, tenendo presente la necessità di migliorare le condizioni ambientali e di ridurre il divario esistente con i paesi ricchi. Questi ultimi, d’altro canto, ottengono di porre in evidenza il pericolo per l’ambiente provocato dalla crescita demografica e la necessità di adottare politiche adeguate per contenerla. La Conferenza si conclude con l’approvazione di una dichiarazione contenente 26 principi in materia di ambiente e sviluppo. Il primo principio stabilisce che «L’uomo ha il diritto fondamentale alla libertà, all’uguaglianza e a adeguate condizioni di vita in un ambiente che permetta di condurre una vita con dignità e con benessere»: compare per la prima volta in un testo internazionale il diritto di vivere in un ambiente sano.
Pochi mesi prima dell’avvio della Conferenza l’obiettivo del Club di Roma si materializza: The limits to Growth, un rapporto curato dal gruppo di ricercatori del MIT che avevano predisposto i due modelli di riferimento, è ufficialmente presentato il 12 marzo 1972 con una conferenza organizzata presso lo Smithsonian Institute a Washington.
Il momento è accuratamente programmato in modo da offrire ai partecipanti alla ormai prossima Conferenza di Stoccolma e a tutti coloro che ne seguivano lo svolgimento materiale e spunti per assumere decisioni in merito a temi che, in vario modo, sono tra gli oggetti del libro. Sono, del resto, i temi che già contrapponevano paesi ricchi e paesi poveri, oggetto di studio e di dibattiti negli ultimi anni.
Ma mentre l’aumento della popolazione mondiale con il conseguente pericolo di insufficienza della produzione alimentare è un tema già oggetto di dibattito, di ben maggiore effetto, soprattutto per l’opinione pubblica dei paesi ricchi, è il tema del prossimo esaurimento delle risorse naturali a seguito del progredire e dell’estendersi dell’industrializzazione.
La pubblicazione del rapporto e l’annuncio della possibilità di un collasso economico e ambientale in un futuro non lontano, sorretto da calcoli, grafici e simulazioni operate con i computer del MIT, fanno l’effetto di un fulmine a ciel sereno anche perché il rapporto non è dedicato solo agli addetti ai lavori: esso, pur trattando aspetti scientifici per lo più ignoti al pubblico, è di agevole comprensione per chiunque sia dotato di una normale istruzione.
La comprensibilità del testo è una delle ragioni del suo successo: nei due anni seguenti fu tradotto in quindici lingue e vendette in poco tempo più di due milioni di copie. Oggi, prendendo in considerazione anche le revisioni e gli aggiornamenti pubblicati negli anni successivi, sono state vendute oltre 30 milioni di copie: è il libro più venduto nella storia della letteratura ambientalista. E anche quello più criticato.
Il rapporto dei ricercatori del MIT offre una previsione sullo stato del mondo in un futuro prossimo avvalendosi di un modello matematico che simula al computer l’andamento e la reciproca interazione di cinque fattori a livello globale: la crescita dell’industrializzazione, l’aumento della popolazione, l’insufficienza del cibo e dell’acqua necessari per far fronte all’aumento, il progressivo consumo di risorse naturali non rinnovabili e il deterioramento dell’ambiente per l’inquinamento. Sono soltanto alcune delle possibili variabili, quelle che sono considerate importanti per descrivere l’evoluzione del sistema economico globale o, come molti critici hanno rilevato, quelle che confermano le ipotesi di partenza degli autori. È una simulazione come molte se ne faranno negli anni seguenti soprattutto per prevedere gli effetti del cambiamento climatico o del declino della biodiversità; ma molti non se ne rendono conto e trattano le previsioni come certezze.
Le cinque variabili prescelte hanno, secondo gli autori, un ritmo di crescita esponenziale: i grafici inseriti nel libro, ponendo sull’asse orizzontale i tempi e su quello verticale le quantità, mostrano così una curva che si innalza quasi verticalmente con il passare del tempo. Per converso, gli strumenti a disposizione per attenuare gli effetti della crescita hanno un ritmo di crescita lineare e quindi inferiore: nello stesso grafico, sono rappresentati da una linea equidistante tra i due assi. Pertanto, se il ritmo di crescita rimane invariato, l’aumento dell’industrializzazione e della popolazione determineranno un esaurimento delle risorse entro pochi anni: la terra raggiungerà, entro i prossimi cento anni, il limite delle possibilità di crescita e si avvierà a quel punto un irreversibile declino della produzione industriale e della popolazione.
Il libro offre molti esempi assumendo come punto di partenza il ritmo del consumo di talune risorse nel 1972. Con riferimento alle risorse naturali non rinnovabili, per esempio, la curva della crescita del consumo dell’alluminio mostra che esso è destinato a esaurirsi entro 31 anni, il cromo entro 95 anni, il rame entro 21, l’oro entro 9 anni.
Il rapporto esclude che il progresso scientifico e le innovazioni tecnologiche possano contenere il ritmo di crescita di questi cinque fattori in modo da garantire condizioni di stabilità economica e ecologica sostenibili nel futuro, anche se ammette che possono ritardare il raggiungimento del limite. L’unica soluzione possibile, purché si agisca subito, è fermare l’attuale modello di sviluppo: la crescita deve finire entro breve tempo oppure essa, insieme all’aumento della popolazione, esaurirà le risorse naturali: «se la crescita si mantiene con i presenti livelli i limiti saranno raggiunti entro i prossimi cento anni».
Dei dodici scenari ipotizzati nel rapporto sette conducono a esiti più o meno disastrosi.
In sostanza, il rapporto può essere sintetizzato in quattro punti:
- Ci sono limiti fisici alla crescita economica che, al ritmo del 1972, saranno probabilmente raggiunti nel corso della prossima generazione o comunque entro i seguenti cento anni;
- Questi limiti saranno superati con disastrose conseguenze se si continueranno a operare scelte a breve termine e in un’ottica localistica, senza adottare una visione globale delle sorti del pianeta;
- L’unica alternativa è un riequilibrio dell’incremento demografico e della produzione materiale che tenga conto dei vincoli posti dall’ambiente e dal progressivo esaurimento delle risorse non rinnovabili;
- Ogni ritardo nel perseguimento di questi obiettivi rende una transizione ordinata verso una situazione di equilibrio sempre più difficile.
In un commento posto a chiusura del volume sono esposte anche le conclusioni di Peccei, di King e degli altri componenti del Comitato esecutivo del Club di Roma. Il commento spiega che con il rapporto due erano gli obiettivi perseguiti: l’individuazione dei limiti del nostro pianeta e dei vincoli che gravano sull’attività dell’uomo e, in secondo luogo, lo studio dei fattori che, interagendo tra di loro, influiscono nel lungo periodo sul futuro dell’umanità, necessariamente da condursi a livello globale. La situazione che è emersa dallo studio non consente ottimismo: «siamo convinti che una rapida e radicale modifica della situazione mondiale così sbilanciata e in fase di pericoloso peggioramento è il compito primario che attende l’umanità» ma «sono necessari interventi del tutto nuovi per dirigere la società verso obiettivi di equilibrio invece che di crescita». Il commento precisa che «questo sforzo è una sfida che non può essere lasciata alla prossima generazione».
Nessuno degli scenari prospettati si è verificato o è prossimo a verificarsi.
Non vi è stata crescita esponenziale né del processo di industrializzazione né della popolazione. Quest’ultima anzi, secondo le stime delle Nazioni Unite sulla situazione demografica mondiale, sta rallentando: entro la fine di questo secolo il tasso di riproduzione dovrebbe scendere sotto i 2,1 figli per ciascuna donna che rappresenta la soglia di stabilità demografica e la crescita sarà pari a zero (con un calo accentuato in Europa e in via di progressiva riduzione nei Paesi in via di sviluppo, man mano che aumenta il benessere e migliora la condizione delle donne).
Per ciò che riguarda l’insufficienza di cibo, già si è detto che, contrariamente alle previsioni del libro e ai catastrofici scenari di Ehrlich, la disponibilità di cibo è aumentata ovunque nel corso degli anni: il problema non è la mancanza di risorse alimentari, ma i vincoli nella distribuzione e l’enorme quantità di risorse sprecate o inutilizzate.
Inoltre, minerali che oggi, secondo il rapporto, avrebbero dovuto essere da tempo esauriti – l’oro, l’argento, il mercurio, lo zinco e il piombo – sono ampiamente presenti e ne sono, anzi, aumentate le riserve, da intendersi come la quantità di minerale che può essere estratta a costi compatibili con il corrente prezzo di mercato. Diverso è il concetto di risorse, sulle quali il rapporto si limita a fare generiche ipotesi, che riguarda scorte e giacimenti di minerale che, seppur noti, non vengono estratti perché i costi sono eccessivi rispetto ai correnti prezzi di mercato. (…)
In definitiva, le risorse non rinnovabili sono ben lontane dall’esaurirsi. A fronte di ciò, gli autori del rapporto hanno ripetutamente chiarito che le previsioni avevano un carattere dichiaratamente ipotetico, rivolto quindi a indicare non eventi che si sarebbero certamente realizzati, ma solo le tendenze di fondo del modo di sviluppo allora esistente: i dati erano usati solo al fine di dimostrare come una crescita esponenziale finisce inevitabilmente per esaurire le risorse non rinnovabili.
Una delle previsioni del rapporto si è però rivelata corretta a distanza di tempo: l’esistenza di limiti del pianeta nell’assorbire le varie forme di inquinamento prodotte dallo sviluppo. La dimostrazione della correttezza di questa previsione è offerta oggi, oltreché dall’inquinamento diffuso, dal cambiamento climatico prodotto dall’incontrollata immissione nell’atmosfera di gas serra provocati dalle attività umane. Sono state scoperte nuove riserve di minerali, i tempi di esaurimento delle risorse si sono allungati spostando il limite ben al di là di quanto era stato previsto, ma non è stato possibile trovare un ampliamento dell’atmosfera per assorbire le crescenti quantità di gas serra che vi sono immessi.
Paradossalmente, inoltre, le sorti del pianeta sono in pericolo per un altro fattore, le risorse rinnovabili che il rapporto non ha preso in considerazione. Molte specie vegetali e animali si sono estinte nel corso di questi decenni e un numero ancora maggiore è in pericolo di estinzione. La biodiversità è ovunque in declino. Il rapporto pubblicato nel maggio del 2019 dall’IPBES, Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, l’Istituto scientifico internazionale costituito nel 2012 per lo studio delle cause e degli effetti della biodiversità, ha documentato che la sua riduzione procede con una rapidità crescente dovuta all’inquinamento, all’industrializzazione e al cambiamento climatico con gravi e forse irreversibili danni all’agricoltura e all’infrastruttura naturale che sostiene la vita dell’uomo.
In pochi mesi, gli autori del libro e il Club di Roma si ritrovano al centro di un dibattito mondiale di enormi proporzioni. Insieme alle molte lodi non mancano critiche anche feroci (…) come quelle degli economisti che vedono sotto attacco il principio della crescita economica su cui è costruita la loro disciplina nel dopoguerra (…) Tutte queste critiche trascurano che Peccei e King e gli autori del rapporto hanno ripetutamente chiarito che I limiti dello sviluppo non formulava previsioni di disastri: non riguardava un futuro inevitabile, riguardava la possibilità di sceglierne uno. Le previsioni quindi non indicavano eventi che si sarebbero certamente realizzati, ma solo le tendenze di fondo del modo di sviluppo esistente; i dati e i grafici erano stati usati solo al fine di dimostrare come una crescita esponenziale avrebbe finito inevitabilmente per esaurire le risorse non rinnovabili.
In altri termini, lo scopo del rapporto era di lanciare un forte messaggio a non trascurare le conseguenze a cui inevitabilmente conducono ritmi di crescita di tipo esponenziale, in presenza di risorse che prima o poi finiscono e a non sottovalutare le interconnessioni tra le diverse parti che compongono il sistema terra. Per ottenere che questo messaggio fosse raccolto il rapporto ha utilizzato previsioni di grande effetto anche se poco accurate (ma l’utilizzo di grafici e schemi induceva il lettore a pensare che lo fossero) e poi idee e suggerimenti su come affrontare i problemi che si sarebbe trovato di fronte il nostro pianeta nel giro di pochi anni.
Questa impostazione è stata mantenuta e ribadita nei due volumi che sono seguiti, concepiti da tre degli autori del rapporto originario, Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows e Jørgen Randers, come aggiornamenti realizzati con modelli elaborati utilizzando computer moderni e più potenti di quelli disponibili nel 1972. Del 1992, in concomitanza con la Conferenza di Rio de Janeiro, è il primo dei due aggiornamenti: Beyond the Limits: Confronting Global Collapse, Envisioning a Sustainable Future. Riesaminando la situazione, gli autori confermano che, nonostante i miglioramenti tecnologici, la maggiore coscienza ambientale e politiche più accurate in materia, il consumo delle risorse e l’inquinamento sono cresciuti oltre limiti fisicamente sostenibili, con la conseguenza che, senza consistenti mutamenti di rotta, nei prossimi decenni si verificherà un declino nella produzione di risorse alimentari e di energia. Il declino è tuttavia evitabile e una società sostenibile è ancora possibile purché siano adottate politiche che limitino la crescita della popolazione e dei consumi e introducano tecnologie che aumentano l’efficienza delle materie prime e dell’energia necessaria.
Molto più pessimistico è il secondo aggiornamento che esce a trent’anni di distanza: Limits to Growth: The 30-Year Update. Secondo gli autori negli anni precedenti è stata sprecata l’opportunità di correggere il modo di sviluppo e molti limiti sono stati ormai pericolosamente superati. I mercati e l’innovazione tecnologica non sono in grado di evitare questo superamento, perché sono utilizzati non per prevenire il collasso finale, ma per affrettarlo, sfruttando le risorse, arricchendo le élites dominanti e ignorando le prospettive di lungo periodo.
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