Svezia e Finlandia nella NATO: il via libera turco lo pagano curdi e dissidenti
di ANALISI DIFESA (Gianandrea Gaiani)
La Turchia ha infine revocato Il veto posto all’ingresso nella NATO di Svezia e Finlandia, che domani saranno formalmente invitate ad aderire all’alleanza. L’annuncio, il 28 giugno a Madrid, è giunto al termine di un vertice a quattro durato quasi tre ore e condotto dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha visto riuniti i presidenti turco, Recep Tayyip Erdogan e il finlandese Sauli Niinisto con il premier svedese Magdalena Andersson.
L’intesa soddisfa le condizioni che Erdogan aveva posto per rinunciare al diritto di veto che ogni membro della NATO ha a disposizione per dare IL via libera a Helsinki e Stoccolma. “La Turchia ha ottenuto ciò che voleva, risultati significativi nella lotta contro le organizzazioni terroristiche” ha riferito la presidenza turca.
Il documento di tre pagine (che pubblichiamo qui sotto), firmato dai tre ministri degli Esteri, vede nei punti principali Svezia e Finlandia impegnarsi a:
- consegnare alla Turchia i militanti curdi ricercati,
- cessare il sostegno politico, finanziario e umanitario ai movimenti curdi YPG e PYD, braccio militare e braccio politico dei curdi siriani ma anche al Movimento Gulem definito in Turchia “Fethullahist Terrorist Organisation”, accusato di aver tentato il golpe del 2016 contro Erdogan
- conferma che i due paesi scandinavi condividono la definizione di “gruppo terroristico” per il PKK (Partito Kurdo dei Lavoratori attivo in Turchia e Nord Iraq)
- revocare l’embargo alle esportazioni di armi in Turchia che era stato imposto nel 2019 proprio in risposta all’occupazione da parte delle truppe turche di una fascia consistente di territorio siriano lungo il confine settentrionale del paese arabo.
Inoltre, Ankara è riuscita a strappare persino il supporto di Helsinki e Stoccolma a una eventuale cooperazione turca con la Difesa comune europea.
“L’ingresso di Finlandia e Svezia renderà l’alleanza più sicura e potente: dispongono di forze armate ben attrezzate, hanno tecnologia avanzata e istituzioni politiche stabili e ciò rafforzerà la Nato e ovviamente anche Svezia e Finlandia” ha dichiarato Stoltenberg pur senza sbilanciarsi sulle possibili tempistiche dell’adesione che, come recita un tweet del premier britannico Boris Johnson, “renderà la nostra brillante alleanza più forte e sicura”.
Di “potente boccata d’ossigeno” ha parlato un funzionario della Casa Bianca che si è affrettato a chiarire che Ankara non ha chiesto nulla agli Stati Uniti in cambio della rinuncia al veto nei confronti dei due nuovi membri.
Impossibile però non notare che il via libera ufficiale alla vendita ad Ankara di 40 nuovi velivoli da combattimento F-16 della versione più recente e avanzata Viper (e all’aggiornamento a tale standard di 80 dei circa 200 F-16 più vecchi in dotazione alle forze aeree turche) è avvenuto proprio nelle ultime ore con la conferma che la Casa Bianca sosterrà la richiesta di Ankara.
Il 29 giugno l’assistente del segretario alla Difesa, Celeste Wallander, ha espresso il sostegno di Washington per dotare Ankara di una forza aerea più moderna: “Le forti capacità di difesa turche contribuiscono a forti capacità di difesa della Nato. Il dipartimento della Difesa degli Stati Uniti sostiene pienamente i piani di modernizzazione della Turchia per la sua flotta di F-16”.
Gli F-16V rappresentano la richiesta turca “di ripiego” dopo che l’acquisto del sistema di difesa aerea a lungi raggio russo S-400 ha indotto Washingt8n a negare la venduta già contrattualizzata di 100 velivoli da combattimento di 5a generazione F-35A.
La Turchia di Erdogan esce quindi ancora una volta vincitrice su tutta la linea da una complessa crisi internazionale confermando il suo ruolo centrale in tanti scacchieri di estrema rilevanza strategica.
Soprattutto oggi nella crisi determinata dalla guerra in Ucraina in cui la Turchia appare come è l’unico interlocutore in grado di imbastire negoziati tra i belligeranti, trattative sul trasporto di grano dai porti ucraini nel Mar Nero e di condizionare l’ampliamento dell’Alleanza Atlantica nel Nord dell’Europa.
Erdogan sembrava aver dovuto rinunciare in queste settimane all’ennesima operazione militare contro i curdi in Siria, bloccata da veti incrociati giunti da Stati Uniti e Russia, già sufficientemente coinvolti nella guerra in Ucraina, ma ha incassato una vittoria senza precedenti.
In realtà poche ore dopo la firma dell’intesa a Madrid hanno preso il via intensi bombardamenti e raid turchi sulla Siria settentrionale che ieri sera avevano provocando almeno 11 morti , inclusi 2 civili e 9 miliziani fedeli al governo di Damasco mentre fonti turche riferiscono di 28 combattenti curdi uccisi.
Ieri il governo siriano, amico di Mosca, ha riconosciuto “l’indipendenza e la sovranità” delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk, come ha reso noto l’agenzia stampa nazionale Sana citando una fonte ufficiale del ministero degli Esteri.
Erdogan, che contesta da sempre gli aiuti forniti anche da europei e Stati Uniti ai curdi siriani che combattono l’ISIS all’interno delle Forze Democratiche Siriane, movimento armato, addestrato e sostenuto dagli USA, ottiene quindi un grande successo politico e diplomatico incassando pure i ringraziamenti di tutti gli alleati per aver consentito l’ampliamento del fronte che riunisce le democrazie contro la Russia.
Niente male per un presidente turco definito circa un anno or sono “un dittatore” da Mario Draghi, che con Mosca ha gestito diverse crisi, dalla Libia alla Siria al Nagorno-Karabakh e che con l’intesa raggiunta ridicolizza le posizioni filo-curde sostenute da molte nazioni europee.
Svezia e Finlandia si sono infatti impegnati a impedire qualsiasi forma di raccolta fondi a sostegno del PKK sul proprio suolo e “prenderanno in considerazione” la richiesta di estradizione presentata da Ankara nei confronti di 33 “terroristi”. Il ministro della giustizi turco Bekir Bozdag ha dichiarato che Ankara sta già preparando le richieste di estradizione per i 33 ricercati ma in realtà si tratta di 17 membri del PKK e di 16 sospetti affiliati alla rete FETO, ritenuta responsabile del tentato golpe in Turchia del 2016. Estradizioni che per venire autorizzate obbligheranno Svezia e Finlandia a cambiare le legislazioni in vigore.
Come spesso accade in queste circostanze, le ipocrisie si sprecano. “Nessun Paese alleato ha subito la brutalità del terrorismo come la Turchia” ha detto il Segretario generale Nato Jens Stoltenberg dimenticando l’ambiguità di Ankara nel consentire alle milizie dello Stato Islamico di assediare città curde come Kobane o di vendere sottocosto a commercianti turchi il petrolio estratto dai pozzi occupati dall’ISIS in Iraq e Siria.
Meglio lasciare da parte facili ma insostenibili moralismi. Diciamo che oggi la priorità per la NATO le dettano come sempre i due maggiori azionisti anglo-americani e l’ingresso di Svezia e Finlandia ha un valore strategico prioritario perché raddoppia la lunghezza della nuova Cortina di Ferro, il confine “caldo” degli stati membri europei e la Russia e consente di disporre di nuove basi NATO nel teatro operativo dell’Artico sempre più conteso.
Semmai il successo di Ankara dimostra ancora una volta la debolezza politica, strategica e morale delle nazioni europee, incapaci di elaborare una politica autonoma nei confronti della Russia, di sviluppare una linea diplomatica indipendente per cercare di fermare il conflitto ucraino e costretti a umiliarsi rinunciando a principi consolidati e fino a ieri ritenuti inviolabili e intoccabili, come il diritto di asilo e le libertà politiche dei popoli oppressi, particolarmente “sacri” proprio nei paesi scandinavi.
Un imbarazzo evidente nelle parole del ministro degli Esteri svedese, Ann Linde: “Non tutti amano il testo dell’accordo, ma è appropriato e possiamo accettarlo”. Vedremo se sarà davvero così quando i parlamenti di Stoccolma ed Helsinki dovranno ratificare gli impegni presi a Madrid con la Turchia.
Oltre tutto se sui membri di PKK o YPG il termine “terrorista” può venire sdoganato in quanto movimenti dediti alla lotta armata contro Ankara, nel caso dei membri del Movimento Gulem (o FETO per i turchi) si tratterà di estradare dei semplici dissidenti politici che in Turchia rischiano la condanna a morte.
Inoltre i due paesi scandinavi che dei diritti umani hanno fatti finora un bastione della propria società e cultura politica, dovranno oggi violare un bel po’ di articoli delle convenzioni internazionali di cui si sono sempre eretti a paladini, che garantiscono il diritto all’asilo dei perseguitati politici.
Nazioni che rimproveravano l’Italia o la Grecia per la non sempre puntuale accoglienza di immigrati clandestini che avrebbero potuto chiedere asilo potranno oggi mandare a morte dissidenti turchi estradandoli ad Ankara nel nome del contrasto a Vladimir Putin? E noi tutti in Europa staremo a guardare in silenzio?
L’accordo patrocinato dalla NATO tra Turchia, Finlandia e Svezia umilia tutto l’Occidente tenuto conto del supporto morale, economico e militare fornito da tutto l’Occidente ai combattenti curdi in Iraq e Siria (nella foto a lato) affinché combattessero anche per noi le milizie dello Stato Islamico.
Ci siamo stracciati le vesti per i curdi assediati a Kobane, più o meno come facciamo oggi per i morti ucraini, ma giova ricordare (soprattutto a Kiev) che dai sud vietamiti ai curdi (“traditi” più volte negli ultimi 30 anni) fino agli afghani appena un anno or sono, USA e Occidente confermano l’abitudine di abbandonare gli alleati quando non servono più o appena mutano le priorità strategiche.
Infine non può sfuggire che l’accordo con la Turchia per l’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO è stato celebrato da molti leader dell’alleanza come un successo delle democrazie contro il regime di Mosca. Giusto per aggiungere qualche ulteriore tema di riflessione, su questo tema i paradossi si sprecano: una NATO che vuole ergersi a bastione della democrazia non dovrebbe avere al suo interno la Turchia, oppure potrebbe accogliervi anche la Russia.
Al tempo stesso non risultano esserci molti leader in Europa e in Occidente i cui successi elettorali e di consenso popolare siano paragonabili per rappresentatività a quelli di Putin ed Erdogan.
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