Un giudizio su Guido Carli
di STEFANO D’ANDREA
Se leggerete Cinquant’anni di vita italiana di Guido Carli, non troverete nemmeno una frase che testimoni il suo europeismo, sebbene egli sia stato l’unico italiano ad essere membro sia della delegazione che negoziò i Trattati di Roma sia di quella che negoziò il Trattato di Maastricht. Per Carli l’Europa non era altro che la possibilità di far essere l’Italia diversa da come era (diversa e, secondo lui, migliore), imponendo dall’esterno un vincolo che ci obbligasse a fare ciò che secondo Carli era per noi bene e che non avremmo mai fatto spontaneamente.
Non c’era da costruire nessuna Europa, federale o non federale. C’era da scegliere un modo di essere dell’Italia. Nel merito credo che Carli avesse torto a preferire il mercato unico all’economia mista. Ma riconosco che Carli è stato l’ultimo italiano che si è posto davanti al progetto europeo con l’atteggiamento concreto della persona intelligente: i trattati, per un negoziatore italiano, sono uno strumento per fare il bene dell’Italia e certi contenuti utili all’Italia vanno proposti e promossi anche nella certezza che siano dannosi per altri stati, i quali hanno l’onere di saper valutare bene il loro interesse.
Atteggiamento tedesco, inglese, austriaco o olandese, insomma, deideologizzato. Purtroppo, nel merito sbagliava; ed era lui che stava gettando le basi del tracollo italiano, sebbene una parte rilevante del male sia derivata dal patto di stabilità e quindi sia imputabile a Ciampi, Prodi e Draghi (allora direttore generale del Ministero del Tesoro).
Sono infatti dell’opinione: un mezzo per estirpare dal mondo la fede e le speranze socialiste non esiste.
Max Weber, Il socialismo