Le backrooms all’assalto della nostalgia
di I DIAVOLI (Redazione)
Infiniti corridoi con stanze vuote tappezzate di vecchie moquette e illuminate da fioche luci al neon in grado di evocare antiche paure e incubi contemporanei fondendo insieme esoterismo, horror, fisica quantistica, filosofia e gaming. Sono le backrooms, non luoghi inquietanti e stranianti. Ma forse, dietro il loro immaginario orrorifico e apocalittico, si cela una nuova forma di resistenza.
Su Google Maps e Google Earth le coordinate 34°42’03”N 135°49’16”E rimandano a due misteriosi edifici di forma semisferica. Arcane cupole che sembrano fuoriuscire dal nulla, fendendo il terreno nel mezzo di un parco incolto e trascurato nei pressi di Narazakacho, prefettura di Nara, Giappone. Più che zoomare dalle mappe virtuali non si può fare, non si può accedere agli edifici a livello terra. Google non ci arriva. Eppure, secondo uno dei tanti video che in poco più di due mesi ha superato le 3 milioni di visualizzazioni su YouTube, questi misteriosi e arcani edifici sono la porta di accesso per entrare nelle backrooms.
Tutto nasce nella primavera del 2019. Un utente anonimo mette sulla pagina /x/ board di 4chan (l’imageboard della rete per eccellenza, diventato famoso in epoca trumpiana per le sue posizioni sempre più deliranti, complottiste e razziste) un post in cui si chiede agli utenti di condividere immagini di luoghi che suscitino sensazioni inquietanti e stranianti. Qualcuno posta la foto di una stanza vuota: moquette e tappezzeria tra il giallo e il verdino, luci al neon. Di per sé l’immagine è fastidiosa, ma non è finita qui. La stanza vuota sembra infatti essere solo la piccola parte di un enorme ufficio, o negozio, prigione, ospedale, vuoto e abbandonato. La stanza vuota diventa quindi immediatamente un punto di transito. Da e verso cosa, non è dato saperlo.
Lo stesso utente anonimo poi, o forse un altro, offre questa didascalia all’immagine. «Se non fai attenzione e ti allontani dalla realtà nelle aree sbagliate, finirai nelle backrooms, dove non c’è altro se non la puzza di un vecchio tappeto umido, la follia di un giallo monotono, l’infinito rumore di fondo di luci fluorescenti al massimo ronzio, e circa seicento milioni di miglia quadrate di stanze vuote suddivise a caso per intrappolarti. Dio ti salvi se senti qualcosa che vaga nelle vicinanze, perché sicuramente ti ha sentito.»
È la scoperta o la rivelazione, dipende dai punti di vista e dalle preferenze religiose, delle backrooms. Nulla sarà più come prima. Lasciate ogni speranza voi ch’entrate, diceva il sommo poeta.
L’immagine è perturbante, l’immagine è il perturbante. Das Unheimliche, l’avrebbe definita Sigmund Freud. Non è la prima in rete, dove da anni spopola il creepypasta, crasi tra creepy (disgustoso, inquietante) e copy and paste (immagini replicabili all’infinito). Sempre uguali, nel loro essere vuote, nella moquette e nella tappezzeria, nel loro ripetersi infinito di stanze, corridoi, colonne, entrate che non portano a nulla e uscite che diventano ingressi. Sempre diverse, nel loro essere vuote ma allo stesso tempo piene di minime discordanze quali sedie, telefoni, scrivanie, mostri, fantasmi, robot, occhi estranei che osservano.
In breve le backrooms diventano i non luoghi per eccellenza, spazi infiniti che trascendono la linearità dello spazio e del tempo. A volte appaiono da finestre che aprono su mondi che sembrano reali. A questo punto, però, il concetto di realtà è saltato del tutto.
La loro estetica proviene dai videogiochi. I nomi più comuni sono The Stanley Parable, Portal o Superliminal. Il richiamo è a quell’epoca a cavallo tra la fine degli anni ‘70 e gli ‘80 che sta dominando l’immaginario contemporaneo attraverso il più lungo revival nostalgico di una decade mai sperimentato nella cultura di massa. Basti pensare ai sequel, remake e reboot di film come Star Wars, Blade Runner o Top Gun, a film come Super 8 o Us o a serie tv come Dark, Stranger Things, Black Mirror o Severance (ambientata in un ufficio… o in una backroom?). Tutte queste opere, a loro modo, si richiamano alla medesima estetica.
Su YouTube nascono nuovi fenomeni. Video delle backrooms che in breve fanno milioni di visualizzazioni.
Questo perché le backrooms sono dappertutto, dentro e fuori di noi. Tutti noi abbiamo già visto una backrooms prima ancora di rivederla in foto o in video. Chris Frewerd, che quando vede l’immagine su 4chan nel 2019 ha solo 16 anni, è tra i primi a commentarla. Spiega a Vice che quella stanza vuota dentro altre stanze vuote gli ricorda la biblioteca della città in Kansas in cui è cresciuto, la sua vecchia scuola e quelle strane aree giochi nel mezzo dei centri commerciali.
«Tanti del luoghi pubblici nella mia vita erano simili a questi edifici vecchi, un po’ decadenti, con interni datati e strane auree a circondarli» dice Frewerd. «The Backrooms è la somma perfetta di questo concetto.»
Ma le backrooms non rincuorano nella nostalgia di bei tempi mai esistiti, non avvolgono nel tepore di un passato vissuto come porto sicuro. Sono luoghi spaventosi, perturbanti. Nel post originale di 4chan in cui si decreta la loro nascita, o si fa la loro scoperta, è infatti usato il termine noclip: quella possibilità nei videogiochi di utilizzare un glitch – un problema tecnico, una rottura del flusso dello spazio tempo – per passare attraverso i muri, le scenografie o i livelli di gioco.
In questo caso però, il noclip non è solo virtuale. Quando si attraversano le backrooms si giunge a un livello di alienazione assoluta, di abbandono e di depersonalizzazione totale. Non c’è più nessuno, restano solo stanze vuote.
Un’abdicazione del soggetto che porta le backrooms nell’alveo dei liminal spaces: «luoghi di transizione tra due altri luoghi, o tra due stati dell’essere. Di solito sono abbandonati, e spesso vuoti – un centro commerciale alle quattro del mattino, oppure l’atrio di una scuola durante il periodo estivo, ad esempio. Per questo appaiono come congelati e lievemente inquietanti, ma anche familiari per la nostra mente” secondo Aesthetics Wiki.
Se infatti Chris Frewerd racconta a Vice che queste stanze rimandano a «una di quelle strane esperienze condivise da tutti», in realtà si tratta di esperienze mai vissute da nessuno. L’esperimento ricorda quello di Ever Dream This Man? inventato nel 2008 dal sociologo e artista Andrea Natella, che inondò la rete con l’immagine del viso di un uomo comune chiedendo se qualcuno lo avesse mai sognato. In breve arrivarono decine di migliaia di risposte positive da tutte le parti del mondo e l’immagine di This Man divenne quasi oggetto di culto, oltre che archetipo junghiano, prima di essere svelato come semplice beffa.
Come scrive su Not la storica dell’arte e curatrice Valentina Tanni, è «un’immagine simbolica dal potere ammaliante, in grado di evocare antiche paure e incubi contemporanei, mettendo insieme esoterismo, horror, fisica quantistica, filosofia e gaming».
In questo quadro desolante e devastante, in queste stanze vuote dove ci si può e ci si vuole perdere per un tempo e uno spazio che sembrano infiniti, c’è però forse un tenue brandello di speranza. La funzione delle backrooms, indipendentemente dalla sua volontà, può essere letta come fenomeno politico di resistenza. Un immaginario che sembra infatti voler rigettare il facile afflato consolatorio di quelle che le hanno precedute. La backroom non si limita alla rievocazione nostalgica: la chiama a sé per ribaltarla e distruggerla.
Il panico, la paura, le allucinazioni, il senso di inquietudine che pervade mentre si attraversano questi spazi liminali non sono un ripiegamento ombelicale su se stessi, ma un ribaltamento del concetto stesso di nostalgia. Lo stesso immaginario di fine anni ‘70 inizio anni ‘80, spiegava Fredric Jameson a partire dal film American Graffiti, non era altro che il tentativo reazionario e conservatore di riprodurre la felicità fittizia del boom degli anni Cinquanta in un contesto in cui i conflitti di classe, razza e genere stavano raggiungendo il loro apice.
Dopo l’esplosione dei movimenti femministi e anticoloniali, che invitavano il primo mondo maschio bianco privilegiato a guardare il mostro in sé e non nell’altro da sé, quella retromania era l’ultimo disperato tentativo di credere nella superiorità morale di un Occidente che si andava sgretolando davanti all’emergere delle nefandezze e dei soprusi su cui si era edificato.
Per questo se oggi, in tempi altrettanto critici, le generazioni che negli anni ‘70 e ‘80 sono cresciute cercando di replicare nei film, nelle serie tv e nella musica la stessa operazione reazionaria di quei film visti da bambini, sforzandosi di riproporre la nostalgia come il ritorno a una presunta età dell’oro priva di contraddizioni e conflitti, le nuove generazioni inseriscono in questi sequel, remake e reboot privi di nerbo e di significato le armi che hanno a disposizione.
E le loro armi sono appunto il Das Unheimliche, il perturbante di Sigmund Freud. O l’eerie, l’inquietante di Mark Fisher.
Improvvisamente, il tranquillizzante e consolatorio ricordo di spazi che chiunque sembra aver visto e attraversato si trasforma nel delirio violento e mostruoso della Twin Peaks raccontata da David Lynch. L’artista che più si è adoperato per inserire glitch nel passato idilliaco per poi farli esplodere come dinamite. La Loggia Nera, non solo controcanto ma cuore pulsante e perturbante dell’intero paese di Twin Peaks diventa la prima backroom: il panico e la paura come armi per dare l’assalto a una realtà devastata e vile.
Come raccontava Mark Fisher, infatti, questi non luoghi, queste infinite sale d’attesa fuori dallo spazio e dal tempo dove il soggetto è costretto ad abdicare, impongono la formulazione di una serie di domande. Quesiti alienanti, quasi brechtiani: dove sono gli altri? dove sono andati tutti? perché qui non è rimasto più nessuno? perché questo sistema, così ben rappresentato da questi suoi luoghi tipici eppure inusuali, ricordati e mai vissuti, ha portato alla scomparsa del genere umano? siamo giunti all’estinzione?
Ecco che allora i glitch diventano non più quegli errori di sistema attraverso cui un eletto potrà salvare l’intera umanità, come in Matrix, ma strumenti attraverso cui diventa possibile sabotare il sistema stesso, come nell’opera di David Lynch. Se la prossima rivoluzione sarà un pranzo di gala, avrà luogo nella Loggia Nera, ovvero in una backroom.
Fonte: https://www.idiavoli.com/it/article/le-backrooms-allassalto-della-nostalgia
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