Quello che (non) abbiamo fatto per Scalfari
di IL BLOG DI SABINO PACIOLLA, OLTRE IL GIARDINO (Miguel Cuartero Samperi)
È morto all’età di 97 anni Eugenio Scalfari storico fondatore del giornale Repubblica ed esponente di spicco della cultura progressista, nichilista e atea.
Una vita nel giornalismo ma sempre con mire e intenti politici. Fu infatti la politica a cui dedicò con passione corpo e anima fin dagli anni giovanili. Dopo un’esperienza nel fascismo (fu caporedattore di Roma Fascista!) Scalfari è diventato un top player del progressismo politico e culturale. Ha militato nel partito socialista sedendo in parlamento negli anni bui della rivoluzione antropologica e culturale (dal 1968 al 1972), fu tra i fondatori del Partito Radicale, della rivista L’Espresso e padre (nonché storico direttore) del quotidiano Repubblica. Col giornale ha continuato a fare politica, distribuendo sentenze, condanne, elogi ed endorsement, formando l’opinione pubblica alla guida di uno dei più sacri e influenti organi di informazione su cui ha potuto contare la sinistra politica come alleato sul campo, fuori dai palazzi del potere (l’altro è la Rai).
Elevato quasi al rango di sacerdote dell’ateismo, di vescovo del progressismo (i suoi editoriali domenicali venivano definiti “messe cantate” o “sermoni domenicali”), di pontefice del mainstream, di nunzio apostolico del pensiero radical-chic, Scalfari ha visto sempre la Chiesa come un nemico da combattere, un intralcio nel suo impegno culturale di scolarizzazione delle masse, di formazione della plebe per far muovere al popolo il passo dalle tenebre della religione alla luce della ragione (quella però sottoposta religiosamente ai diktat del partito), al fine di creare un mondo di compagni uniti.
Paolo VI, il papa dell’Humanae Vitae, Giovanni Paolo II, il papa della Veritatis Splendor, e Benedetto XVI che, al di là della sua fama, governò la Chiesa con estrema mitezza e senza stravolgimenti né accelerate in materia di dottrina e disciplina (se non la lotta ferrea agli abusi sessuali del clero) furono per Scalfari ossi duri, colonne di ferro poste contro il progetto nichilista e apostatico di sostituire la morale religiosa con la morale illuministica.
Poi arrivò papa Francesco e Scalfari si sciolse. Complice la sua età avanzata, complice la figura di un pontefice venuto dalla fine del mondo per essere amico del mondo. Francesco gli tese la mano e Scalfari si prese il braccio. Una amicizia segreta ma pubblicata sulle prime pagine dei giornali italiani, una serie di interviste e di scambi epistolari, di telefonate, sorrisi e abbracci con distanziamento.
Il resto della storia? Una folgorante conversione del maestro dell’ateismo al tramonto della sua esistenza terrena? La scoperta della vera fede da parte del compagno socialista? Il mea culpa e la penitenza per una vita passata combattendo la Chiesa e il suo messaggio? Il riconoscimento della Verità immutabile che i cattolici hanno sempre perseguito senza altri scopi se non quello della salvezza delle anime? Niente di tutto questo.
La verità, l’intima verità, i moti segreti dell’anima di questo uomo non ci sono noti. Ci sono note invece le sue dichiarazioni pubbliche e le libere sintesi delle conversazioni col pontefice elaborate (con quanta dose di licenza poetica non ci è dato di sapere) dall’anziano giornalista.
A quanto scritto, nessuna conversione, nessun mea culpa e nessun riconoscimento. “Papa Francesco mi ha chiesto di non convertirmi” disse Scalfari. I numerosi incontri privati si tramutarono rapidamente in interviste pubbliche con l’aria di ufficialità (La Libreria Editrice Vaticana pubblicò i colloqui). Interviste che lasciarono però perplessi i cattolici a causa di alcune frasi a effetto che il giornalista mise liberamente in bocca al pontefice. Metodo “creativo” poco professionale, ammesso dallo stesso Scalfari ma di cui il papa era probabilmente stato messo al corrente.
Non tanto le presunte dichiarazioni di Francesco ma le proteste di chi chiedeva chiarezza portarono la Sala Stampa Vaticana (sia Federico Lombardi che Matteo Bruni) a mettere più volte in guardia da alcuni virgolettati frutto di una rielaborazione fantasiosa delle parole del pontefice(1). Una reazione composta e discreta per un affaire che avrebbe meritato una sfuriata e una chiarificazione ufficiale su temi e argomenti puntuali. Ma in questi anni, si è capito, lo “scandalo dei piccoli” non vale più una “macina al collo” se non c’è di mezzo il sesso.
Divieto di conversione dunque, ma anche “Dio non è cattolico” (una frase tranello, giusta semanticamente ma messa in bocca. Pontefice per dire altro e spingere altrove), “Gesù era un uomo virtuoso ma non era Dio”, “ognuno ha la sua idea di bene e di male”, “l’inferno è vuoto”… e simili amenità che un tempo chiamavamo, senza paura e senza amor di polemica, eresie. Bell’e buone.
Nel giornalismo, si è capito, contano i titoli, le frasi ad effetto, gli slogan rilanciati dalle agenzie e dai social. Poco importa che Francesco abbia detto anche cose giuste e sacrosante. Ciò che rimane è la figura di un papa buono che finalmente mette in moto in processo di modernizzazione della Chiesa.
Come scrive Scalfari nel libro che raccoglie le sue conversazioni private-pubbliche col Pontefice: “Adesso vi è la necessità di modernizzare la Chiesa adeguandola alla società che compone il mondo ed ha anche le sue religioni, alcune monoteistiche ma con un Dio proprio, che non è quello della Bibbia e soprattutto quello dei Vangeli. Il Papa che abbiamo oggi, preceduto nel tempo dall’azione del cardinal Martini che fu suo amico all’epoca dei Conclavi, afferma costantemente che il Dio creatore è unico in tutto il mondo. Non può esistere un Dio di proprietà d’un popolo” (E. Scalfari, Il Dio unico e la società moderna, Einaudi 2019).
Così la mano tesa del papa amico diviene quindi occasione per festeggiare la presunta “conversione” della Chiesa allo spirito del mondo. Scalfari se n’è andato convinto di aver contribuito personalmente alla necessaria modernizzazione della Chiesa da lui predicata per anni sulle colonne di Repubblica (basta chiusure su omosessualità e divorzio, basta celibato e castità, donne prete e aborto come un diritto!); felice di aver trovato nel pontefice regnante un amico con cui condividere le proprie idee sulla fede e sulla Chiesa senza venir contraddetto, anzi trovando numerosi punti di contatto e una visione di fondo comune.
Possibile che, come ha scritto qualcuno, il pontefice del laicismo abbia influito sul pontefice regnante al punto di parlare di una “scalfarizzazione” del Papa? Sta di fatto che il contrario non è avvenuto. Se i precedenti papi (rigidi tradizionali e “indietro di duecento anni”) rappresentarono uno scandalo (nel senso greco di pietra di inciampo) per il pensiero illuminista, Francesco è stato per Scalfari un amico e confidente. Ma quella amicizia, a quanto ci è dato di sapere, non ha portato a un avvicinamento a Dio, a una riconciliazione con la Chiesa, che è rimasta, nel pensiero del Direttore, una vecchia istituzione impolverata che ha travisato Gesù e – ancora oggi – ingannato gli uomini e le donne con la forza della religione, con dei vangeli manomessi a piacimento, con codici morali e sessuali e con la minaccia pene eterne. Avremo di certo preferito che le intime conversazioni sulle domande ultime avessero portato a qualche risposta…
Ma se la prima preoccupazione della Chiesa dev’essere la salus animarum, ossia accompagnare anche il più incallito dei peccatori all’incontro con Gesù e, infine, in Paradiso, l’umana amicizia, la filantropia e la fraternità a nulla servono se il fratello e amico dovesse perdere l’anima e partire da questa terra senza avere ricevuto una parola di verità su Dio e sull’uomo da avrebbe potuto (e dovuto) farlo.
NOTE:
(1) Si segnalano due interventi della Sala Stampa: «…Bisogna far notare che ciò che Scalfari attribuisce al Papa, riferendo “fra virgolette” le sue parole, è frutto della sua memoria di esperto giornalista, ma non di trascrizione precisa di una registrazione e tantomeno di revisione da parte dell’interessato, a cui le affermazioni vengono attribuite. Non si può e non si deve quindi parlare in alcun modo di un’intervista nel senso abituale del termine, come se si riportasse una serie di domande e di risposte che rispecchiano con fedeltà e certezza il pensiero preciso dell’interlocutore» (p. Federico Lombardi, Luglio 2014). «Come già affermato in altre occasioni, le parole che il dottor Eugenio Scalfari attribuisce tra virgolette al Santo Padre durante i colloqui con lui avuti non possono essere considerate come un resoconto fedele di quanto effettivamente detto, ma rappresentano piuttosto una personale e libera interpretazione di ciò che ha ascoltato, come appare del tutto evidente da quanto scritto oggi in merito alla divinità di Gesù Cristo» (Matteo Bruni, ottobre 2019).
FONTE: https://www.sabinopaciolla.com/quello-che-non-abbiamo-fatto-per-scalfari/
Commenti recenti