Non è mai stata una questione di democrazia contro autocrazia
di ARIANNA EDITRICE (Emanuel Pietrobon)
La linea bideniana del “democrazie vs autocrazie” aveva poche speranze di successo in partenza, numeri alla mano, ma è stata affossata definitivamente dalla guerra in Ucraina.
Un duro colpo per l’immagine di Biden, e del suo partito, di cui si potranno comprendere i danni alle mid-term.
Ma vediamo perché la battaglia di Biden aveva poco senso prima e men che mai ne ha adesso.
Secondo il Democracy Index del 2021, le democrazie compiute nel mondo sono soltanto 21. 21. E gli Stati Uniti neanche fanno parte di questa categoria, essendo stati piazzati dal DI21 tra le “democrazie imperfette”, che sono ben 53.
E il resto del mondo? Diviso tra regimi ibridi (34) e autoritari (59). Il cui numero è al ribasso, visto che il DI21 non ha potuto calcolare la democraticità di realtà come il Sahara occidentale, la Somalia, il Sud Sudan, ecc.
21 stati contro 93. O 74 contro 93. Ma possiamo considerare le democrazie imperfette (come Serbia, Ungheria, Filippine, ecc) delle alleate di quelle “pure”? Questione di prospettive.
Ma non è (soltanto) per una questione di numeri che Biden ha perduto questa battaglia, lanciata solo l’anno scorso con il Summit per la Democrazia e già nata vecchia. È per una questione di mancanza di senso del reale.
Le democrazie, da sole, non possono fare niente né possono combattere nessuno. Un po’ perché, piaccia o meno, la storia ha dimostrato che la democrazia non è un sistema esportabile. Un po’ perché le democrazie, per attutire il colpo della guerra in Ucraina, si sono viste costrette a spalancare le braccia a regimi ibridi e autoritari, che il caso ha voluto siano ricchi di risorse a noi utili per mantenere il nostro stile di vita elevato: gas, petrolio, terre rare, metalli, ecc.
Si pensi a Mario Draghi, che l’anno scorso definiva Erdogan un dittatore e oggi si è recato ad Ankara, per porgergli delle scuse informali, con il cappello in mano.
Si pensi a Svezia e Finlandia, modelli di riferimento di ogni liberal-democrazia, che hanno dovuto fare un compromesso etico con la Turchia in cambio dello scioglimento del veto al loro ingresso nella NATO.
Si pensi agli stessi Stati Uniti, dove Biden aveva promesso che avrebbe reso l’Arabia Saudita un parìa delle relazioni internazionali e ora si è recato lì, anche lui come un figliol prodigo alla ricerca di perdono e riscatto, per chiedere supporto nel contrasto al caroenergia. Per non parlare del Venezuela: il cambio di regime sacrificato sull’altare della realpolitik.
La battaglia tra democrazie e autocrazie è persa, non ha mai avuto possibilità di successo, ma questo non vuol dire che verrà abbandonata.
La “guerra economica” alla Russia, ad esempio, è mossa da ragioni etico-morali: si disinveste e si esce dal mercato russo a causa dell’aggressione all’Ucraina.
E anche l’altra guerra fredda, con la Cina, ha un lato etico-morale piuttosto pronunciato: si disinveste a causa delle condizioni di vita degli uiguri, ma anche di tibetani e hongkongesi.
Tutto questo è soltanto per fare arrivare un messaggio: mai cedere alla tentazione di quello che papa Francesco ha definito il “formato Cappuccetto rosso”. Perché, molto spesso, il lupo si traveste da agnello e poi grida al lupo. E molti abboccano.
Non è mai stata una questione di democrazia contro autocrazia, ma di momento unipolare contro transizione multipolare.
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