Putin minaccia gli europei di mettere «fine alle forniture di gas ai paesi che impongono un tetto al prezzo», tenta la carta dell’opinione pubblica scontenta e assicura che la Russia è «pronta a forniture energetiche aggiuntive, la palla è in mano alla Ue, ha solo da aprire il rubinetto». Gazprom sghignazza sull’assenza di «garanzie che l’Europa sopravviva all’inverno con le attuali riserve negli impianti di stoccaggio sotterraneo di gas».

I MINISTRI DELL’ENERGIA della Ue, riuniti a Praga, cercano ancora una risposta comune per trovare una soluzione «sul modo di assicurare sufficiente energia ai cittadini Ue a prezzi abbordabili», ha precisato il ministro dell’Energia della Repubblica ceca, Jozef Sikela.

A Praga l’obiettivo della riunione intermediaria dei ministri era di dare istruzioni alla Commissione, per mettere a punto una proposta da sottoporre al Consiglio europeo del 20-21 ottobre. Una maggioranza di paesi – 15 hanno firmato una lettera comune giorni fa (tra cui Francia, Italia, Polonia e Spagna, le più grosse economie dopo la Germania) – vuole un tetto ai prezzi, ma non c’è ancora un accordo sulle modalità di applicazione e sull’estensione di questo tetto: solo al gas russo che arriva via pipeline (questa posizione ha i favori della Commissione) oppure su tutte le importazioni o ancora limitatamente al gas che serve a produrre elettricità («meccanismo iberico», anch’esso approvato da Bruxelles)? Altri sono contrari. Tra questi c’è la Germania.

Ieri, la Germania con l’Olanda ha presentato una proposta ufficiosa, sostenuta dall’Austria: propongono acquisti comuni di gas per costituire gli stock, idea ampiamente condivisa, in seguito un’azione coordinata con i partner affidabili (prima di tutto Norvegia e Usa) per trovare un’intesa sul controllo dei prezzi. «Il primo passo logico sarebbe parlare con i paesi che possono sostenerci con offerte e prezzi» ha detto ieri la ministra dell’Energia austriaca, Leonore Gewessler.

LA NORVEGIA è diventato il primo fornitore della Ue e sta accumulando profitti enormi (abbiamo già speso intorno ai 100 miliardi a favore di Oslo dall’inizio della guerra), gli Usa guadagnano dai prezzi alle stelle del Gnl (come ha sottolineato giorni fa il ministro delle Finanze francese, Bruno Le Maire, in realtà ci guadagnano in molti, per esempio l’Azerbaijan, che ha ridotto la produzione, è sospettato di vendere agli europei gas russo camuffato, comprato a basso costo). Il ministro norvegese dell’Energia, Terje Aasland, ieri ha parlato di «soluzione da costruire in un quadro commerciale».

Oltre a raccomandare un calo dei consumi, come ha già indicato la Commissione, il documento di Germania e Olanda apre al price cap, ma solo sulle importazioni dalla Russia via pipeline, una posizione diversa da quella presentata dall’Italia assieme a tre altri paesi (Polonia, Belgio, Grecia), che proponeva un «cap dinamico», fluttuante, legato ai prezzi del petrolio (con prezzi più vicini a quelli praticati sui mercati asiatici e americani), ma esteso a tutto l’import di gas. La Germania teme che un tetto europeo spinga i fornitori a vendere altrove. Berlino e L’Aja fanno poi delle proposte per regolare un po’ il Ttf di Amsterdam, facendo riferimento a un indice di Borsa maggiormente rappresentativo e meno volatile. C’è «necessità di un set di misure e non di mettere in campo una sola misura» scrivono Germania e Olanda, «non esiste una sola semplice soluzione».

NEI FATTI, C’È una tentazione nella Ue dell’ognuno per sé. Molti puntano il dito contro la Germania e il piano di 200 miliardi (su tre anni) per aiuti a imprese e famiglie. Ma praticamente tutti i paesi hanno messo degli scudi di protezione a livello nazionale. La Germania, che ha maggiori possibilità di bilancio, non esclude la solidarietà: Olaf Sholz ha socchiuso la porta a un meccanismo tipo Sure (varato nel 2020 per far fronte agli effetti del Coronavirus), una proposta dei commissari Thierry Breton e Paolo Gentiloni, anche se la discussione «non è adesso». Per il ministro delle Finanze, Christian Lindner (liberale), che esclude categoricamente altre «sovvenzioni», non è il momento di discutere nemmeno di prestiti, perché dei 750 miliardi del Recovery ne sono stati sborsati solo un quinto. Ci sono poi i circa 200 miliardi del RePowerEu, per favorire il passaggio alle rinnovabili.

Sul petrolio russo le sanzioni interverranno dal 5 dicembre. Ma ci sono rallentamenti: sono state constatate perdite nell’oleodotto Drujba, che collega la Russia alla Germania via la Polonia.

FONTE:https://ilmanifesto.it/il-price-cap-nessuno-lo-vuole-ne-putin-ne-bruxelles