LEBENSRAUM (Spazio vitale)
di PAGINA FACEBOOK (Pierluigi Fagan)
Nella foto, un ponte su autostrada a Singapore che cerca di tenere un contatto ecologico tra due parti di spazio eco-naturale diviso dalla strada. Le specie che vivono lo spazio naturale sono un sistema complesso in equilibrio dinamico, se lo spazio si restringesse perché tagliato e porzionato dalle strade, l’intero sistema ecologico subirebbe modifiche esiziali. Così si mantengono collegamenti per dargli la possibilità di continuare ad usare tutto lo spazio a loro necessario. In Germania li fanno anche più semplici. In quel caso è l’autostrada ad interrarsi un po’ di modo che il “ponte” che deve esser largo ed invitante altrimenti rimane barriera, dia l’idea di continuum.
Tale accortezza proviene dagli studi di uno dei principali fondatori della geografia moderna, il tedesco Friedrich Ratzel che, nel 1897, usò il concetto di “spazio vitale” o Lebensraum in un abito di pensiero noto come biogeografia. Ratzel poi morì nel 1908 ma il concetto venne trasposto dai nazisti in teoria geopolitica. Ratzel quindi venne retroattivamente accusato di aver fornito armi ideologiche travestite da scienza ai nazisti, cosa del tutto impropria visto che Ratzel, nel suo lavoro, aveva ben chiara la differenza di complessità tra animali ed esseri umani e comunque morì anni prima si formasse l’immagine di mondo dei nazisti. In effetti, questo trasferimento di concetto, l’aveva fatto uno svedese, Rudolf Kjéllen, uno svedese conservatore che poi è colui che inventò il termine “geopolitica”. Da Kjellén, l’idea passò poi ai geopolitici tedeschi con tendenza molto deterministe come Haushofer e da lì entrò nell’immagine di mondo nazista a supporto dell’espansionismo tedesco.
Per la verità, questa liaison tra pensiero geopolitico tedesco e decisioni strategiche del Reich durò fino ad un certo punto. La geopolitica tedesca nasce e rimane a lungo, ancora in buona parte ancor oggi, euroasiatica. Del resto, fu la geopolitica anglosassone (Mackinder 1904, poi Spykman, poi Brzezensky) ad inquadrare il problema continentale come minaccia si venisse a formare un potere al centro dell’isola mondo che chiamò Heartland, coincidente con la Russia. La Germania diventava candidato problematico a creare un sistema di relazioni con la Russia realizzando così l’eterno incubo geopolitico anglosassone, la Gerussia. Quello che per gli anglosassoni era ed è un problema, ai tedeschi e russi sembrava una opportunità, geografie diverse, idee diverse.
La geopolitica tedesca, quindi, era sì a base, ad esempio, del patto Molotov- Ribbentrop ovvero la realistica decisione di superare opposizioni ideologiche per perseguire l’interesse appunto geopolitico, ma e per la stessa logica, del tutto inorridita dall’idea di Hitler in infrangere il patto e tentare l’invasione della Russia. Lì, la relazione tra geopolitici e nazisti si fratturò. Buona parte di questa storia, manipolata e resa narrativamente più semplice, fu alla base del bando completo della geopolitica dalle sfere di conoscenza, dal 1945 alla fine degli anni ’80, in quanto disciplina nazista.
Americani e sovietici furono almeno su un punto d’accordo: cancellare ogni riferimento alla variabile geografica nei sistemi di pensiero. La geografia e più la geografia politica ha ovviamente i suoi problemi in termini di interpretazione e teorizzazione, ma il fatto che di base si riferisca allo spazio fisico la tiene quasi sempre nell’ambito del realismo. Il conflitto tra americani e sovietici, capitalisti e comunisti era invece uno scontro tipicamente idealista o forse solo tale vestito. Così cominciò Harvard a chiudere nel dopoguerra il dipartimento di geografia, seguita poi dal resto della Ivy League. Gli americani perseguitarono addirittura in pieno maccartismo, un povero geografo americano, tale Lattimore, accusandolo di tramare in aiuto dei comunisti cinesi, cosa del tutto surreale. Per i sovietici la cosa era ancora più semplice, ogni fenomeno politico è lotta di classe, la variabile spaziale per i sistemi umani non serve a niente, non determina niente. Così, ad entrambi risultava utile impacchettare geopolitica con nazismo facendo sì che il peso del secondo trascinasse in fondo al mare del pensiero la prima.
È in parte da questa storia che nasce in America l’altra disciplina che studia questo genere di cose: le Relazioni Internazionali. Disciplina nata in America e lì da sempre sviluppata in alternativa a geopolitica che rimarrà più “continentale”. Nonostante la disciplina nacque realista (Morgenthau) poiché proveniente dal pensiero geopolitico (Spykman, Kennan), ebbe da sempre la tendenza a scivolare nell’idealismo, lì detto liberalismo. Oggi, in America, nonostante il prestigio di Mearsheimer o lo stesso Kissinger (che più che un teorico è un politico intellettuale), il dominio del paradigma idealistico detto liberale, è totale.
Le Relazioni Internazionali sono una disciplina dallo statuto assai problematico poiché partono sì dall’unità metodologica che poi è la stessa della geopolitica ovvero lo Stato, ma lo qualificano come Stato di potenza. Ma gli Stati-potenza, sono in verità solo una frazione del complesso degli Stati (più di 200), sono una proiezione della volontà di potenza, a partire da quella americana, una malattia che non tutti gli Stati hanno poiché non propria dello Stato tout court ma del sistema concreto ed ideologico di specifici popoli-Stato. Per questo, agli studiosi di international relations, risulta assai difficile comprendere fenomeni come il mondo multipolare. Hanno in effetti il concetto di “equilibrio di potenza” nel loro armamentario gnoseologico, ma hanno poi difficoltà a comprenderne ragioni e dinamiche visto che tagliano la conoscenza in modo molto riduttivo.
Se volessimo provare ad applicare il concetto di Lebensraum agli americani, cosa che abbiamo detto impropria nel rispetto del pensiero originario di Ratzel ma che ci permettiamo togliendo ogni determinismo al concetto stesso, cosa ne risulterebbe? Nulla. Gli americani sono sì tanti (circa 332 milioni) ma in uno spazio immenso e ricchissimo, tanto da risultare al 186° posto per densità abitativa e davvero con poco territorio del tutto inabitabile. Si dirà, be’ è il loro stile di vita a richiedere molto più spazio disponibile per alimentare il sistema interno. Gli americani fanno il 25% del Pil mondiale (IMF) sebbene siano solo il 4,5% della popolazione, diciamo che gli piace stare comodi in termini di benessere. Parzialmente vero perché gli stessi Stati Uniti hanno un indice di Gini che li colloca al 121° posto per distribuzione eguale media del reddito, tra Haiti ed il Congo. Ne consegue che dovremmo allora dire che una frazione degli americani, un 10% circa diciamo, monopolizza una porzione enorme di reddito tanto da dover avere un reddito nazionale complessivo ovvero Pil abnorme rispetto alla media popolazione, per comunque aver qualcosa da distribuire anche a questo altro 90%. È questo bizzarro assetto che ha spinto gli americani a promuovere o partecipare in giro per il mondo a ben 25 confitti dal dopoguerra ad oggi, più svariate operazioni militari minori ed altri conflitti non armati ma operati in via economica, finanziaria, culturale, politica e diplomatica.
Lo spazio vitale degli americani ovvero dell’assetto sbilenco della società americana piuttosto che della stragrande maggioranza degli americani, necessita di questo controllo e dominio su uno spazio-Mondo che esubera di molto il loro spazio naturale, ampio e ricco già di suo. Ovviamente non giustificano tutto ciò come necessità di spazio vitale ma come spazio di cui va difesa la libertà. Ovvero la loro unilaterale libertà o meglio la libertà di una trentina di milioni di americani bianchi di varia origine (a maggioranza anglo-tedesca, praticamente sempre i soliti Sassoni), di utilizzare più o meno a piacimento lo spazio-Mondo per alimentare il loro sbilenco ordine interno che regga la sproporzione di reddito e ricchezza che pone il solo suo 10% al vertice del paradiso del benessere terrestre. Data ovviamente la loro unilaterale definizione di Ben-Essere che spacciano per un “universale”.
Prendendo un attimo gli indiani come stile di vita, se tutto il mondo vivesse come gli indiani medi, il pianeta basterebbe ed avanzerebbe un po’. Se invece adottassimo come parametro gli americani, ci vorrebbe cinque Terra. Convincere gli americani a vivere come gli indiani sempre improbabile, ma lo sta diventando anche convincere il Resto del mondo, indiani, cinesi e tutti gli altri 150 Stati non occidentali, a non aspirare ad aver anche loro legittime porzioni di benessere derivato dallo sfruttamento dello spazio.
Da qui il conflitto epocale che segnerà il prossimo decennio, conflitto per lo spazio vitale e per la definizione stesso di “vitale” secondo la risposta alla domanda “cos’è la vita, la buona vita o la vita giusta, adatta?” per i diversi popoli o classi sociali di questi con relative ideologie ed immagini di mondo riflesse.
[Alcune informazioni sono tratte da Cerreti, Marconi, Sellari, Spazi e poteri. Geografia politica, economica, geopolitica. Laterza]
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