APPROPRIAZIONI INDEBITE: IL CASO PASOLINI. LA POLITICA E LA – MANCANZA DI – COMPETENZA CULTURALE
di LE PAROLE E LE COSE (Matteo Cazzato)
Ottobre 2022 ha visto l’insediamento di un governo molto particolare, proprio in occasione di un triste anniversario politico su cui ha speso importanti parole la senatrice Liliana Segre nel discorso d’apertura della legislatura. Ma in questi giorni si è ricordato anche un altro evento drammatico, questa volta della storia repubblicana, la morte di Pier Paolo Pasolini, oltretutto durante l’anno centenario della sua nascita.
Perché dedicare ora un ennesimo intervento allo scrittore, in un anno che ne è colmo? Perché questo è uno strano autunno, che vede un nuovo esecutivo a Palazzo Chigi, e anche perché questi giorni di fine ottobre sono in un certo senso l’anniversario delle ultime pagine scritte da Pasolini, gli interventi pubblici di amara e lucida critica sociale apparsi sulle pagine del Corriere della sera e Il Mondo nel corso del 1975, poi raccolti nel volume Lettere luterane.
In questa congiuntura cronologica, e davanti ai primi atti del nuovo governo, viene da riflettere sul discorso di fiducia rivolto dalla neo premier alle camere. In quella occasione è stato proposto un pantheon culturale femminista, affastellando diversi nomi di importanti figure. La condivisione di un tratto biologico però non può bastare come criterio di scelta per proporre dei modelli su cui costruire una visione di paese e di futuro, come quella che andrebbe proposta in sede di fiducia parlamentare. Tra l’altro si tratta di nomi rispetto ai quali si fa fatica a trovare veri legami di sensibilità socioculturale, e politica, con chi ha iniziato a governare il paese. E sta qui il problema: se si vogliono indicare dei riferimenti ideologici, serve una coerenza profonda fra le figure evocate e chi decide di chiamarle in causa.[1] E allora non possiamo non ricordare che pantheon culturali discutibili sono già stati presentati dalle stesse persone, e fra gli altri c’era anche il nome di Pasolini.
Nel corso degli ultimi anni lo scrittore corsaro è diventato bersaglio di varie appropriazioni indebite, senza che nessuno si rendesse conto che la sua figura e la sua opera vanno prese per quello che sono, e cioè un monito alla coscienza critica davanti alla realtà. Pasolini non merita di essere tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra. Oggi poi non contano le posizioni specifiche che l’intellettuale aveva, o avrebbe potuto avere, su determinati problemi (e di sicuro non contano in questa sede quelle di chi sta scrivendo): importa solo l’atteggiamento che la sua esperienza ci può trasmettere.
Mettiamo da parte le dichiarazioni del ministro della cultura che, pur provenendo da un movimento figlio di quel fascismo che incarcerò Gramsci per le sue opinioni contrarie alla rigida e sterile politica culturale del partito, oggi decide di citarlo a sproposito. E lasciamo stare la notizia del neo-ministro all’istruzione per la Lega, che dovrebbe occuparsi della formazione dei giovani – si spera meglio di quando contribuì alla riforma Gelmini – ma che sembra avere i paraocchi stando ad alcune sue pubblicazioni: decide di considerare solo ciò che torna comodo all’ideologia del partito, ignora il resto, e afferma in modo perentorio e singolare che l’impero romano fu distrutto dagli immigrati (parole esatte di un suo titolo),[2] senza andare oltre la superficie dei fatti, e senza esporre in modo chiaro i rapporti di causa e effetto all’interno della complessità di prospettive che le vicende storiche comportano.
Ma torniamo a Pasolini, perché chi si insedia nei banchi del governo con un ruolo da protagonista ha presentato nei mesi scorsi il pantheon culturale del suo partito, anche se ancora non mi è chiaro cosa dovrebbe essere il pantheon culturale di un partito, e che funzione dovrebbe avere. Comunque, in questo pantheon ci sono vari personaggi su cui ci sarebbe da discutere ma limitiamo il discorso a quanto di nostra competenza, e perciò a Pasolini.
Partiamo da un dato scontato e anche banale: certo con un rapporto difficile e controverso, ma Pasolini era legato al Pci. Per quale motivo un partito nato dalle – purtroppo – non spente ceneri del MSI, va a richiamarsi proprio ad un intellettuale di questo tipo? Le due culture di riferimento sono ben diverse. C’è una crisi identitaria, che potrebbe farci ben sperare per il futuro, in vista di nuove linee di pensiero? O c’è piuttosto una voluta ricezione distorta, un abuso senza alcun fondamento autentico e valido?[3] Non so, ma viste le posizioni politiche portate avanti da queste persone mi pongo qualche domanda preoccupata.
La costruzione di questi agglomerati indistinti di riferimenti mi sembra un’operazione sbagliata in sé, perché spesso sfrutta proprio figure complesse – e per questo sfuggenti – difficili da maneggiare bene e con onestà, sempre che lo si voglia fare. Perché se si vuole solo piegare Pasolini e altri al proprio tornaconto, diventa tutto molto più semplice. E lo si è visto anche durante la pandemia, quando le stesse persone facevano rimandi infondati a Orwell per attaccare misure di sanità pubblica, dure e su cui naturalmente continuare a interrogarsi per gestire meglio ogni evenienza futura, ma certo non spie di un regime totalitario, come quello fascista o sovietico. Però l’autore di 1984 è diventato, nelle mani di questi politici, uno strumento per alimentare senza nessun fondamento scientifico – ma a questo punto anche storico-filologico – le ondate no-vax e no-mask.
La stessa cosa capita con Pasolini, e non è nemmeno la prima volta. Un utile e interessante volume di qualche anno fa era dedicato al pensiero dello scrittore sul fascismo,[4] e si apriva ricordando che il leader leghista aveva fatto ricorso – in modo scorretto moralmente e filologicamente – allo scrittore corsaro durante la campagna elettorale del 2018, estrapolando dal contesto alcune affermazioni su fascisti e antifascisti in modo che giocassero a suo favore. Il problema è che le dichiarazioni degli Scritti corsari vanno calate nel loro momento storico specifico e nel complesso pensiero dell’autore, non sono certo testi da prendere così alla leggera, come tanti articoli di giornale odierni lineari e anche banali. Pensiamo a La droga: una vera tragedia italiana, uscito sul Corriere nel luglio 1975. L’ottica salviniana vi vedrebbe un pieno sostegno per la sua lotta senza quartiere contro l’uso della semplice cannabis, senza accorgersi che Pasolini parla d’altro: il suo è uno sguardo critico profondo che allarga decisamente la riflessione, vedendo in un fenomeno particolare il sintomo di una situazione ben più preoccupante a livello culturale e sociale, legata all’inesorabile mutamento antropologico della società italiana, al venir meno di una vita da vivere in modo intenso, fino in fondo e in modo autentico.
E veniamo ad un altro tema caldo, spesso al centro dei dibattiti politici negli ultimi mesi: l’aborto. I politici di FdI avranno esultato davanti a certe dichiarazioni contenute negli Scritti corsari, ed ecco lì Pasolini nel loro pantheon. Troppo facilmente le parole di Pasolini sull’aborto vengono fraintese. Ci si dimentica che tutta la questione dell’aborto secondo lo scrittore va inquadrata all’interno di altre riflessioni: la sessualità come fatto politico, la finta tolleranza imposta dalla nuova società non come accettazione e rapporto col diverso, ma come permissività in linea con le sue logiche di consumo. Pasolini ritiene che il mondo neocapitalista voglia favorire l’interruzione di gravidanza per rendere più diffuso e facile il coito eterosessuale, e per contrastare così le diversità sessuali che invece rappresenterebbero un elemento di disturbo e fastidio. In questo senso la sua contrarietà all’aborto va considerata dal punto di vista del suo voler affermare la diversità omosessuale come «coito politico», in grado di porre un’alternativa alla norma sociale.[5] Posizione ben diversa da quella conservatrice del nuovo governo, basata sull’ossessiva idea della famiglia tradizionale. Infatti il giudizio dello scrittore sulle presunte nuove libertà sessuali non è positivo, ma non per una visione regressiva: nell’articolo Troppa libertà sessuale e si arriva al terrorismo si dice che il sistema concede queste libertà alla coppia eterosessuale – anzi le impone – per favorire lo sviluppo consumistico, e non per vera convinzione ideologica. È un eccesso di libertà che non rappresenta più una conquista, un’affermazione del proprio essere, ma che diventa una nuova forma di conformismo obbligato, di cui non si è nemmeno consapevoli. La contrarietà di Pasolini a certe misure come aborto e divorzio, se vista nell’ottica più ampia del suo pensiero sociale, non è contrarietà al diritto in sé, lecito da rivendicare per i singoli, ma è critica al sistema omologante che produce tale cambiamento.
La strumentalizzazione politica passa poi per una selezione non ragionata, che decide di ignorare tutto il resto una volta che ha trovato ciò che può usare a suo comodo. Se invece si allargasse un po’ di più lo sguardo, ci si accorgerebbe di molto altro su cui ragionare. Infatti proprio in Lettere luterane la posizione di Pasolini sull’aborto si esprime in modo forse ancora più chiaro.[6] Nel paragrafo III di Gennariello, troviamo questo discorso: «… io mi sono pronunciato contro l’aborto, e a favore della sua legalizzazione. Naturalmente, essendo contro l’aborto, non posso essere per una legalizzazione indiscriminata, totale, fanatica, retorica. Quasi che legalizzare l’aborto fosse una vittoria allegra e rappacificante. Sono per una legalizzazione prudente e dolorosa… l’aborto è un problema dell’enorme maggioranza, che considera la sua causa, cioè il coito, in modo così ontologico, da renderlo meccanico, banale, irrilevante per eccesso di naturalezza. In ciò c’è qualcosa che oscuramente mi offende».[7] Nella prima parte del discorso Pasolini spiega che la sua è una contrarietà personale all’atto in sé, ma è a favore di una legalizzazione controllata, in modo che chi ne sente il bisogno possa esercitare questo diritto.[8] Per l’intellettuale il problema non era il diritto a interrompere una gravidanza – scelta che spetta al singolo nella specifica situazione – ma il sistema socio-politico che aveva portato a favorire quella scelta. Nella seconda parte del discorso lo scrittore dice infatti che la maggioranza eterosessuale è portata ormai a considerare il coito in modo ontologico, e ciò rende questo aspetto della vita meccanico, eccessivamente naturale: si fa riferimento alla scomparsa di una vitalità autentica davanti ad un modo d’essere imposto come normalità, e così esasperato, alla fine rigido e uniformante. E qui sta un altro problema: Pasolini si è sempre mostrato contrario al feticcio del “normale”, per tutta la vita ha fatto in modo di mostrare e affermare la sua diversità, e di scoprire quella degli altri. Come può un autore del genere essere preso come punto di riferimento da un partito politico che inneggia al normale e al naturale, in ogni ambito e soprattutto per quanto riguarda sessualità e famiglia?! Un partito che sembra rifiutare la diversità in nome di una tradizione e un’identità ritenute monolitiche, e che tali non sono perché ci sono più elementi che vanno oltre i soli mondi classico e giudico-cristiano ricordati durante il discorso alla camera… un partito che come primo atto europeo torna sulla posizione di chiudere i porti, erigere muri metaforici a difesa dei confini identitari, da una parte sventolando il rischio della tenuta economica e sociale (ma i media portano sempre più notizie di violenze proprio da quando è nata questa nuova maggioranza…), e dall’altra credendo nella assurda tesi della sostituzione etnica…
Facciamo un esperimento mentale, e diciamo che forse l’anno scorso l’omosessuale Pasolini si sarebbe potuto esprimere contro il ddl Zan, ma il suo sarebbe stato un atto provocatorio, proprio come nel caso di aborto e divorzio: Pasolini si oppose a queste proposte di legge non perché quei diritti non andassero riconosciuti, ma perché vedeva aspetti critici e preoccupanti nei meccanismi socio-politici che avevano portato a queste riforme. L’amore e l’atto sessuale venivano falsamente “liberati” solo per favorire le logiche del nuovo potere omologante del mondo dei consumi. Le sue parole dovevano rappresentare un monito per mantenere vigili le coscienze davanti alle storture del sistema, non per sostenere la negazione di alcuni diritti. Forse anche oggi avrebbe reagito così, ma non per negare tutele e dignità, bensì contro il “politicamente corretto” portato all’eccesso – e dunque ipocrita – e contro il rischio di una diversità sessuale non accolta nella sua autenticità, ma tollerata per poi essere inglobata nella norma, e così privata di vitalità. Ma stiamo sbagliando anche noi, non dovremmo chiederci cosa direbbe oggi un autore davanti a vicende che non vive, che sono rimaste al di fuori del suo orizzonte. Dobbiamo leggerlo e studiarlo per imparare dallo sguardo critico che ha esercitato nei confronti del suo contesto storico, per essere così allenati davanti ai problemi del nostro presente. Non dobbiamo seguire le sue posizioni ciecamente (cioè stupidamente), ma capire che rappresentano una provocazione per imparare a riconoscere gli elementi di criticità.
Per finire va detto naturalmente che anche parte dell’attuale opposizione non può dirsi innocente in tema di appropriazioni indebite. Il Pd non esprime certo una sinistra vera e convinta, non è un partito dalla voce né autentica né corsara, è più vicino semmai alla vecchia Dc, non cara a Pasolini. Per questo intitolare a lui la scuola politica del Partito Democratico non mi sembra un’operazione molto coerente.[9]
In ogni caso, tutte queste operazioni frutto dell’incompetenza e dell’ideologia di parte sono rischiose. Lo vediamo con il caso Pasolini, e lo vediamo nelle dichiarazioni d’apertura di vari membri del governo. Invece di costruire mirabolanti pantheon culturali, i politici pensassero ad acquisire, e soprattutto a dimostrare, le competenze necessarie per il lavoro che si candidano a fare: anche competenze storiche e letterarie (e speriamo vivamente di esser sorpresi, nonostante le premesse), ma in primo luogo competenze tecniche sui dossiers internazionali, economici e amministrativi, e forse, ancora più importanti, competenze morali, addirittura costituzionali, che spesso sembrano tristemente assenti.
Note
[1] Per fare solo un esempio, restando a quanto di nostra competenza: è difficile capire come chi da sempre considera un alleato politico Orban possa ascrivere al suo pantheon culturale Maria Montessori, che tanto lottò perché le donne potessero accedere ad ogni grado dell’istruzione, quando il governo Orban a settembre ha definito la situazione dell’istruzione pubblica ungherese preoccupante perché troppe donne sono iscritte all’università, presentando questo come un rischio per la figura maschile e per la stabilità della famiglia tradizionale
[2] La giustificazione secondo cui il titolo sarebbe stato scelto dall’editore lascia il tempo che trova, ogni autore ha voce in capitolo nel dettare, almeno parzialmente, il titolo delle sue opere, e se non condivide quanto proposto dall’editore si oppone, o chiede di trovare un compromesso. Se il titolo è passato, è perché lui era d’accordo. Così come sembra strano affermare che il titolo non rispecchia il contenuto del testo: allora perché lo si sarebbe scelto?
[3] Tra l’altro non è la prima volta, la neopremier, nella sua “produzione letteraria”, ha più volte fatto riferimento – senza ragioni ben chiare – a Pasolini, sottotitolando il suo primo libro – Noi crediamo (uscito nel 2011 per Sperling&Kupfer) – “Viaggio nella meglio gioventù d’Italia”, e dedicando spazio nel più recente bestseller autobiografico – Io sono Giorgia (uscito per Rizzoli l’anno scorso) – al ruolo da lei attribuito allo scrittore, come un’anticipazione di quanto poi fatto con l’annuncio pubblico del pantheon culturale di FdI durante la primavera di quest’anno.
[4] A. Viola, Il fascismo secondo Pasolini (1942-1975), Sesto San Giovanni, Mimesis, 2020. Pasolini non attacca mai direttamente il fascismo storico (sarebbe anche superfluo) ma, quando si premura di affermare che il nuovo fascismo neocapitalista è riuscito dove il precedente aveva fallito – omologare e uniformare la società –, riconosce che le intenzioni della politica del ventennio erano analoghe, e automaticamente le condanna. Quando in vari interventi rimpiange l’Italia rurale del tempo fascista non è nostalgia del regime ma del suo fallimento, e del persistere tenace dei dialetti e delle particolarità locali, nonostante le logiche accentratrici del potere. E di accentramento nazionale, identità al singolare, il programma di qualche partito al governo è ben esperto.
[5] Si veda al riguardo M. Belpoliti, Settanta, Torino, Einaudi, 2010, pp. 63-100.
[6] Anche se l’idea che la questione dell’aborto vada trattata in relazione a quella della sessualità, nei suoi più ampi risvolti sociali e culturali, trova una sua chiara spiegazione – se lo si legge fino in fondo – già nell’articolo Il coito, l’aborto, la falsa tolleranza del potere, il conformismo dei progressissi.
[7] P. P. Pasolini, Lettere luterane, Torino, Einaudi, 2003, pp. 24-25.
[8] Qui sta il punto: la contrarietà personale ad un certo tipo di scelta è legittima, ma bisogna avere la consapevolezza che la propria opinione non può in alcun modo impedire che ad altri sia concessa una possibilità. Ciascuno deve poter prendere la sua libera scelta, che non spetta alle opinioni altrui. E aggiungo, personalmente, che ciò vale anche nel caso di vari altri temi caldi per il futuro rapporto tra governo e opposizioni, come l’eutanasia.
[9] Ricorda la notizia sempre Alessandro Viola nell’introduzione del volume ricordato in precedenza.
FONTE:https://www.leparoleelecose.it/?p=45468
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