Il secolo dei popoli turchi
di INSIDEOVER (Emanuel Pietrobon)
Il risveglio identitario dei popoli turco-turanici sarà per il Duemila ciò che il nazionalismo arabo è stato il Novecento: un incontenibile moto di distruzione creatrice destinato a riscrivere profondamente la geografia del potere in Eurasia.
Non si intravedono Lawrence d’Arabia all’orizzonte, anche perché i tempi attuali non abbisognano più di eroi, ma impossibile è trascurare la fermentazione di sentimenti e l’esistenza di piccoli giochi che potrebbero dar vita ad una galassia di nuovi accordi Sykes-Picot. Azerbaigian persiano. Cipro settentrionale. Gagauzia. Karabakh. Suburbi russi. Xinjiang. Le periferie turco-turaniche del supercontinente mackinderiano sono in subbuglio e reclamano un posto nel mondo.
A Samarcanda, fermata dell’antica Via della seta e sepolcro di Tamerlano, nella simbolica giornata dell’11.11.22 si è discusso precisamente di questo: delle aspirazioni globali del rinascente Mondo turco (Türk dünyasi).
I popoli turchi non possono essere più ignorati
Samarcanda, arteria del cuore del Terra, il 2022 è stato indubbiamente il suo anno: prima ha ospitato il ventiduesimo vertice dell’Organizzazione della Cooperazione di Shanghai e dopo il primo incontro dell’Organizzazione degli Stati Turchi, ex Consiglio Turco. Simili gli esiti: le luci dei riflettori sull’Uzbekistan, al perenne inseguimento del fratello maggiore kazako, l’ottenimento di risultati tangibili e lo spianamento di nuovi percorsi.
I membri dell’Unione Europea in salsa turanica hanno profittato dell’opportunità di Samarcanda per confutare le opinioni di chi riteneva il loro un progetto in stato comatoso. Non lo è. È vero, anzi, il contrario: il principale e più importante organismo di rappresentanza dei popoli turchici è vivo e vegeto.
All’insegna di un motto eloquente – “La nuova era della civiltà turca” –, reso virale sui social network globali dai partecipanti al vertice, i capi di stato di sette paesi hanno concordato un piano di azione quinquennale e messo la firma su accordi, memoranda e protocolli di intesa. Numerosi i settori che, implementazione permettendo, potrebbero trarre beneficio dalla più stretta cooperazione: burocrazia, commercio, dogane, infrastrutture, trasformazione digitale, trasporti.
Ma non sono stati degli accordi gli eventi-chiave di Samarcanda22. Sono stati, in ordine sparso, lo stabilimento del Fondo di investimento turco – primo mattoncino, in potenza, di un’architettura creditizia panturca –, la premiazione di Recep Tayyip Erdoğan e Gurbanguly Berimuhamedow – insigniti dell’Ordine supremo del Mondo turco – e l’estensione dello status di membro osservatore a Cipro Nord. Eventi parlanti all’unisono: l’Asia centrale, come il Caucaso meridionale prima di lei, ha ormai pienamente superato la fase di transizione postsovietica e si accinge ad entrare in una nuova era.
La Turchia tra i giganti
Il vertice di Samarcanda dell’Organizzazione degli Stati Turchi ha consacrato definitivamente l’ascesa della Turchia quale potenza determinante nello spazio postsovietico in frammenti. Titolo che le permette di fare ingresso nella riedizione del Torneo di ombre nelle vesti sui generis di un antieroe altalenante fra l’autocentratura e l’acquiescenza agli Stati Uniti.
Il Cremlino non potrà più fingere che l’Organizzazione degli Stati Turchi non esista, o che sia ininfluente, perché Samarcanda22 ha provato il contrario. Ha provato di essere l’antitesi della stagnante Unione Economica Eurasiatica – con la quale la rivalità, si notava sulle nostre colonne, è esplosa in concomitanza con la pandemia di COVID19 –, ha messo in evidenza il nuovo status dell’Asia centrale – non più il cortile di casa della Russia, ma una prateria aperta alle potenze di ognidove – e ha palesato le voglie di emancipazione geopolitica dei popoli postsovietici di lingua turca.
Sulle velleità di emancipazione geopolitica delle ex repubbliche sovietiche. Il momento apicale di Samarcanda22 è stato un sonoro schiaffo in mondovisione alla Russia: il semaforo verde dei paesi membri alla concessione dello stato di membro osservatore a Cipro Nord, uno stato fantoccio nato da un’invasione militare.
Il riconoscimento de facto della statualità di Lefkoşa, possibile innesco di quell’effetto valanga a lungo ricercato da Ankara, è carico di un doppiopesismo che Mosca non può ignorare. Ipocrita manifestazione di un rispetto a fasi alterne del principio dell’integrità territoriale da parte di Azerbaigian e –stan: inviolabile nei casi di Crimea, Donetsk, Lugansk e Transnistria, aggirabile per Cipro Nord.
Il futuro turco dell’Asia è un’opportunità per l’Italia
All’indomani della chiusura dei lavori del primo vertice dell’Organizzazione degli Stati Turchi, prendendo atto della sua crescente influenza nelle relazioni internazionali in Eurasia, a Washington si è iniziato a dibattere su come efficientare la cooperazione globale con essa. Luke Coffey dell’Hudson Institute, ad esempio, ha proposto di istituire un consiglio ministeriale Stati Uniti-Consiglio Turco.
L’Italia, unico membro dell’Unione Europea (e dell’Occidente) legato al Mondo turco da un passato di intensi rapporti plurisecolari e da un presente di sodalizi multisettoriali – in particolare con Azerbaigian, Kazakistan e Turchia –, potrebbe inseguire e concretare delle ambizioni persino maggiori: presentare domanda di adesione in qualità di membro osservatore. Storia e cultura, anziché il fattore etno-linguistico, per barattare un ingresso alla magiara.
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Diverse e valide le ragioni in grado di dare legittimità a un’eventuale richiesta dell’Italia, che potrebbe peraltro contare sul certo supporto di Azerbaigian e Kazakistan e, forse, della Turchia. Ragioni che, ad un nostro primo test, hanno incontrato il positivo interesse di personalità diplomatiche nostrane e straniere.
Secondo l’ex ambasciatore italiano in Turchia, Carlo Marsili, è una “proposta molto originale e certamente interessante”, sulla quale “sarebbe opportuno riflettere con spirito aperto” giacché “in politica estera occorre far lavorare anche l’immaginazione e non rimanere legati ai soliti stereotipi”.
Sulla stessa lunghezza d’onda dell’ex ambasciatore Carlo Marsili era stato il veterano della diplomazia kazaka Tuleutai Suleimenov, da InsideOver incontrato nell’agosto 2021, per il quale “ci sono le basi per un’amicizia molto forte tra l’Italia e i popoli turchi”, in quanto “geograficamente lontani, ma culturalmente vicini”. Laconica la sua posizione: “l’Italia nel Consiglio Turco? Sì! Perché no? Perché non dovrebbe?”.
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Alla ricerca di nuovi spazi nei quali prosperare, causa i sommovimenti nell’estero vicino, l’Italia potrebbe, a mezzo dell’ingresso nel Consiglio Turco, trovare il modo di aggirare le logiche ingabbianti e costrittive della geografia e fare dell’area compresa fra Transcaucasia e Turkestan un nuovo Mediterraneo allargato.
Le fondamenta di un nuovo futuro possono e debbono essere gettate al di là del continente – l’Italia ne ha i mezzi, ma è priva dell’elemento più importante: la volontà. Diplomazia e imprenditoria hanno già messo radici nel Mondo turco, alla classe dirigente l’onere-onore della loro potatura. Nei Balcani è competizione tra grandi potenze, in Libia è anarchia, il Mediterraneo non sarà mai più nostrum, eppure l’orizzonte geopolitico nostrano non è mai stato così sconfinato. Il mondo non è mai stato così a portata di mano.
FONTE:https://insideover.ilgiornale.it/politica/il-secolo-dei-popoli-turchi.html
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