Guai se dovesse prevalere la rassegnazione o l’indifferenza, perché “tanto si sapeva che finiva così”, “era tutto già scritto”. Per quanto prevedibile, la pronuncia della Corte costituzionale arrivata ieri, in tempo per i tg serali, che ha respinto tutte le questioni di legittimità sull’obbligo vaccinale anti-Covid e la sospensione degli inadempienti dal lavoro, resta sconcertante.
Salvati anche Draghi e Mattarella
I giudici hanno salvato l’obbligo vaccinale introdotto dal governo Draghi nel 2021 per alcune categorie professionali e per gli over 50, ritenendo inammissibili e non fondate le questioni poste da cinque uffici giudiziari. E con esso, hanno salvato anche la faccia al presidente della Repubblica che su quelle norme ha apposto la sua firma e dal quale cinque di loro sono stati nominati.
Non può essere l’enormità delle conseguenze politiche di un eventuale accoglimento – sconfessare l’operato dell’ex presidente del Consiglio Draghi e del presidente della Repubblica Mattarella – ad aver reso impossibile dichiarare illegittima la norma, dato che il giudice di legittimità serve proprio ad assumersi tali responsabilità. Sarebbe come sdoganare una sorta di “too big to fail” costituzionale: più il potere politico la fa grossa, meno la Consulta può permettersi di bocciarlo.
Stato di eccezione
Con la loro decisione i giudici hanno di fatto sancito il pericoloso principio che in “emergenza” vale tutto, anche la dignità della persona può essere sospesa, legittimando surrettiziamente, anche per il futuro, uno stato di eccezione assolutamente non previsto dalla nostra Costituzione.
Il diritto al lavoro
Non si venga più a parlare di diritto al lavoro, un diritto essenziale riconosciuto già nel primo articolo della Costituzione che è stato del tutto calpestato in nome del diritto alla salute, in barba a qualsiasi principio di equilibrio e bilanciamento tra i diversi diritti sanciti nella nostra Carta.
Non solo, infatti, la Corte ha stabilito che l’obbligo vaccinale è legittimo – e questa di per sé non è una novità – ma che è legittima e proporzionata la sanzione della sospensione dal proprio lavoro, senza diritto alla retribuzione, nemmeno ad una parte di essa per procurarsi generi di prima necessità. Il tutto, beninteso, per procedimento amministrativo.
Una clamorosa violazione del diritto umano fondamentale all’autosostentamento, a guadagnarsi da vivere (per sé e per la propria famiglia), delle persone che non hanno voluto sottomettersi ad un trattamento sanitario che, tra l’altro, è ormai appurato – ma lo era già all’epoca dell’entrata in vigore dell’obbligo – non impedisce il contagio, dunque non potendo appellarsi ad un “dovere di solidarietà”.
E ricordiamo che l’obbligo valeva anche per il personale amministrativo delle strutture sanitarie, non a contatto con i pazienti.
Per un’analisi giuridica più approfondita aspetteremo la pubblicazione delle motivazioni, ma nel merito vogliamo riprendere già ora le due questioni che su Atlantico Quotidiano abbiamo trattato molte volte in questi due anni: l’obbligo e la sanzione.
L’obbligo vaccinale
Esistono già vaccini obbligatori. Un obbligo vaccinale non è di per sé contrario ai principi del nostro ordinamento, ma entro precisi paletti fissati dalla Costituzione e dalla giurisprudenza recente della Corte stessa.
Per poter essere reso obbligatorio, uno dei criteri che un vaccino deve soddisfare è la protezione degli altri dal contagio. Vaccinandomi, impedisco al virus di diffondersi e contagiare altre persone. Ma purtroppo, come ben sappiamo – e come era noto già all’epoca dell’introduzione degli obblighi – non è questo il caso dei vaccini anti-Covid, che non immunizzano, non impediscono cioè la trasmissione del virus.
Se la motivazione dell’obbligo non può essere quella di impedire il contagio, ma diventa “salvare la vita” di chi non vuole vaccinarsi, allora siamo di fronte ad un obbligo terapeutico al di fuori dei paletti fissati. A giustificare una compressione della autodeterminazione personale sul proprio corpo può essere solo la tutela della salute altrui, non basta la tutela della salute di chi è assoggettato al trattamento. E comunque sempre nel rispetto della dignità umana.
La sanzione
E qui veniamo alla sanzione: la sospensione dal lavoro senza stipendio. Innanzitutto, che non si trattasse di una misura sanitaria ma di una vera e propria sanzione è dimostrato dal fatto che la norma non si limitava a tenere lontani gli operatori sanitari non vaccinati dai reparti, o i lavoratori senza Green Pass dai loro colleghi, il che poteva avere una logica dal punto di vista epidemiologico. No, la sospensione era totale: non si prevedeva né la ricollocazione ad altre mansioni, né il lavoro da remoto ove possibile.
Nel caso dei vaccini già oggi obbligatori è prevista nei confronti dei non adempienti una multa, mentre sia l’obbligo vaccinale per i sanitari, sia l’obbligo surrettizio via Green Pass, prevedeva la sospensione anche dello stipendio, cioè di un mezzo di sostentamento per sé e per la propria famiglia. Nemmeno una minima parte della retribuzione per procurarsi i generi di prima necessità era concessa al lavoratore inadempiente.
Dignità violata
Una sanzione evidentemente sproporzionata, che equivale di fatto ad una costrizione fisica e ad una umiliazione, in aperta violazione dell’articolo 32 della Costituzione, secondo cui l’obbligo “non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Non v’è dubbio infatti che per la nostra Costituzione non solo le libertà personali, ma anche il lavoro è alla base della dignità della persona.
Questa pronuncia rappresenta, temiamo, un turning point, un piano inclinato, legittimando la sospensione di diritti fondamentali dell’individuo nel nome di una emergenza di salute pubblica.
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