“Rimane il fatto che capire la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando”
(P. Roth, Pastorale americana)
Tra le notizie che volteggiano nel mare magnum dell’informazione permanente 7×24, sette giorni per 24 ore, ve ne sono alcune tralasciate ma che sono di rilievo non immediato. Pesco dalla cornucopia di miriadi di notizie e leggo i dati dell’ultimo Censimento della popolazione cinese di un impero già seconda potenza mondiale dopo gli Stati Uniti, ma per taluni indicatori addirittura prima come l’espansione delle politiche innovative sull’intelligenza artificiale. Emerge che si registra una contrazione demografica i cui effetti interni ed esterni intrecciano crescita economica commercio globale politiche di crescita individuale e familiare, ridimensionamento del Pil rispetto agli anni d’oro, espansione o contrazione di un tenore di vita che appare minacciato.
Vediamo meglio facendo un piccolo passo indietro. Abbiamo letto alla fine dell’anno scorso che la popolazione mondiale ha superato gli 8 miliardi di persone. Se come affermano le Nazioni Unite questa è “una importante pietra miliare nello sviluppo umano” è anche un monito perché necessita uno sguardo ed azioni nuove che coinvolgono la “nostra responsabilità condivisa di prenderci cura del nostro pianeta”. Per l’Onu “questa crescita senza precedenti” – nel 1950 si contavano 2,5 miliardi di abitanti – è il risultato di “un graduale aumento della durata della vita grazie ai progressi della sanità pubblica, dell’alimentazione, dell’igiene e della medicina“. Ma la crescita della popolazione pone sfide ancora più urgenti per i Paesi più poveri. Se fino al 1800 la Terra aveva meno di un miliardo di abitanti, oggi sono bastati dodici anni per passare da 7 a 8 miliardi. Poi verrà un rallentamento demografico per cui si stima che ci vorranno circa 15 anni per raggiungere i 9 miliardi nel 2037. Le Nazioni Unite prevedono un ‘picco’ di 10,4 miliardi nel 2080 e una stagnazione fino alla fine del secolo. Dando per buone queste stime ed elaborazioni qui non discusse, tutte le risorse del pianeta dinanzi ad una crescita demografica impetuosa sono sempre più scarse e sono già oggi terreno di scontri battaglie guerre conflitti. Mettiamo da parte buona parte delle politiche portate avanti finora la questione centrale è che non riusciamo o ci rifiutiamo di comprendere seriamente che i temi del XXI secolo non sono più quelli delle società in espansione e del mondo ancora sconosciuto e lontano dei primi antropologi del Settecento-Ottocento ovvero agli albori della nascente società industriale.
Viviamo nell’epoca della saturazione dell’eccedenza del superfluo e del consumismo nel mentre parti consistenti di popolazione mondiale muoiono concretamente di fame perché le difficoltà alimentari, come dice in un’indagine Coldiretti, sono aumentate in modo molto differenziato nei paesi di sviluppo ed in quelli avanzati prima per la pandemia e poi la crisi energetica. Che hanno contribuito ad accrescere ed accelerare i problemi di un’autonomia alimentare che per molti significa vita o morte dinanzi ad uno scenario globale incui le distorsioni commerciali, le speculazioni e gli accaparramenti di chi già possiede molto mettono in crisi gli approvvigionamenti nei paesi ricchi e la sopravvivenza in quelli poveri. E così più di 1 abitante della Terra su 10 (828 milioni di simili) soffre la fame. Per non dire di oltre 1 miliardo di persone che non possiede acqua non per farsi le docce come molti di noi ma per bere. E così parlare della contrazione demografica in Cina, impero da oltre 1 miliardo di abitanti, vuol dire affrontare dei temi che si riverberano su altre questioni a cascata. In virtù di un’accresciuta interdipendenza economica e politica dalle forti ricadute sociali i cui esiti hanno ormai una deriva che si riverbera all’altro capo del mondo. Ciò che dovrebbe indurre a riequilibrare squilibri e disuguaglianze accentuatesi negli ultimi tre-quattro decenni ed alimentare politiche e percorsi di cooperazione sistemica tra nazioni e governi. Entriamo ancor più nel merito.
La recente pubblicazione dei risultati salienti del Censimento cinese della popolazione conferma che la popolazione cresce nell’ultimo decennio ma sto parlando solo dell’ultimo decennio perché se allarghiamo l’osservazione vedremo che le fonti demografiche hanno una dinamica di lungo periodo più accentuata atta a comprendere meglio le dinamiche profonde che muovono i diversi sistemi sociali. Dunque, dicevo che quella crescita si accompagna ad un problema che molte società nel mondo stanno affrontando con mezzi e strumenti di non facile presa che in taluni casi penalizzano categorie o ceti sociali specifici. Quindi, in Cina ci si trova dinanzi ad un invecchiamento demografico per il quale il governo cinese, non aduso a mutare celermente strategie e politiche di medio-lungo periodo, ha fatto sì che si cambiasse senso di marcia che in un impero gigantesco come quello significano anni di implementazione di politiche correttive. E così, dopo aver martoriato le generazioni precedenti con la politica di un solo figlio da far nascere, si è promossa una politica demografica favorevole ai tre figli.
La situazione censuaria attuale lascia emergere diversi tipi di problemi. Il primo dei quali è che, al lieve incremento totale, fa da contrappeso una contrazione della popolazione attiva a favore di quella anziana, i baby boomers nati tra i ’50 ed i ’60 del secolo scorso che poi ha sostenuto tra il 1982 ed il 2000 la crescita del Pil per il 27%. Oltre questo dato che evidenzia un invecchiamento della popolazione che pone temi di sostenibilità di spesa del sistema pensionistico, in Cina aumenta considerevolmente il fenomeno delle migrazioni interne, oltre il 70% nel decennio con 1/4 della popolazione e soprattutto il rapporto tra i sessi che pur calando dal 2010 appare ancora squilibrato fortemente a favore dei maschi, privilegiati nel lasciarli vivere durante l’epoca del figlio unico.
Ricapitolando, nel 2010 la popolazione cinese era 1 miliardo 399 milioni, dieci anni dopo è 1 mld 411 milioni. Tra 0-14 anni cresce dal 18% al 19,4%, mentre la fascia lavorativa fino a 59 anni si contrae fortemente dal 70,2% al 63,4% mentre dai 60 anni in su vi è una crescita accentuata dal 13,3% al 18,7%. Inoltre, il tasso di crescita naturale flette dal 0,57% allo 0,53% mentre si contrae la dimensione media familiare da 3,1 componenti a 2,6. Mentre la concentrazione urbana e l’attrazione dalle campagne lasciate incolte coinvolge nel 2010 il 50% del popolazione ad un salto odierno del 64%.
I dati indicano che il trentennio ‘90/’10, il decennio scorso, la popolazione attiva era composta da un’elevata percentuale rispetto alla quota non attiva. L’ultimo decennio contraddice queste tendenze con aumento di inattivi, pensionati con la forte preoccupazione per il fondo pensionistico statale che si esaurirà nel 2035, ovvero a breve quando la popolazione oltre i 60 anni raggiungerà i 300 milioni di persone. Con serie ripercussioni sulla possibilità di garantire il pagamento delle pensioni per tutti ad un’aumentata popolazione anziana. Ovvero i più vulnerabili residenti per la maggior parte in zone economicamente svantaggiate e spopolate da un’emigrazione urbana che di suo dispone di poche risorse e che, per la frantumazione dei nuclei familiari più giovani che vanno via, non accede più ad una rete di sostegno familiare sostitutiva di risorse governative.
In ragione di ciò, il governo ha dato seguito all’attivazione di programmi sociali di sostegno con piani pensionistici e assicurativi speciali. Anche su questo avvicinando sistemi politici e sociali diversi convergenti verso strategie di contenimento d’impronta comune come accade in Occidente. Questo avvicinamento nell’individuazione ed utilizzo di strumenti simili in contesti e regimi politici diversi è confermato anche da altre due soluzioni di natura universalistica già al centro in Europa di tensioni sociali. La prima è relativa all’innalzamento dell’età pensionabile (del pari agli scioperi e manifestazioni di piazza in Francia di cui ho parlato di recente con l’età portata, nell’idea di Macron a 64 anni) che in Cina oggi è a 60 anni in fase di confronto non pacifico. Il secondo atto riformistico si orienta sulla politica dei due figli partita nel 2015, per sostituire come detto quella del figlio unico. Che non ha dato una buona risposta di modo che è stata sostituita da quella dei tre figli. Oltre a ciò, si tenga presente che l’Ufficio nazionale di statistica ha pubblicato i dati del 2020 da cui si evince la nascita di 12 milioni di bambini/e, dato gigantesco per noi ma non in Cina, ovvero il dato più basso di quel Paese a parte il crollo delle nascite del periodo della Carestia degli anni ’60. Ma il problema è amplificato anche da un dato di natura: alla fine del decennio, il tasso di donne in età feconda si ridurrà di un enorme 40%. Questo decremento forte per le generazioni femminili è aggravato anche per la discriminazione avvenuta nei riguardi delle giovani e dal ricorso all’aborto selettivo, una sorta di obbrobriosa eugenetica negativa di genere, in favore di nascite di maschi. Un poco come nell’Italia di decenni fa quando i padri volevano solo maschi e ripudiavano le mogli che sfornavano, è il caso di dire, purtroppo femmine. Il risultato è che i giovani nati dopo il 1990 si ipotizza che per il 15% non troveranno spose.
In conclusione di queste rapide notazioni demografiche, sta che la rivoluzione di politica demografica passata da obblighi a limitare le nascite all’apertura nel procreare funzionale a ridurre effetti e costi di una rapido invecchiamento della popolazione necessita di tempo e consapevolezza. Così questa piccola rivoluzione culturale, è il caso di dire, dovrà superare ostacoli e freni individuali che le persone hanno elaborato quando i modelli uni-familiari hanno scavato nelle coscienze delle persone. Con un ulteriore scarto di non poco conto in quel contesto politico. Questa nuova sfida che fa leva su politiche economiche e sociali favorevoli alle nascite dovrà essere elaborata da generazioni di figli unici disabituate a fare ed essere famiglie allargate e che si trovano di colpo a decidere senza il vaglio di regole coattive contro la loro volontà. Non essendo abituati a far valere le proprie ragioni in un Paese fortemente coercitivo fondato più che su un individualismo, anche deteriore, occidentale quanto su modelli comunitari validi per tutti.
Come anticipato, mi resta da accennare a dati macro. Così per la prima volta dal 1961 la popolazione cinese è diminuita per cui alla fine del 2022 il calo stimato è stato di 850 mila persone rispetto al 2021. Pare poco, ma è un avvertimento di una controtendenza da analizzare. Con l’aggiunta che l’anno scorso i nati sono stati 9,56 milioni di persone ma i morti 10,41 milioni e nel 2021 se i nati erano stati 10,62 milioni i morti poco meno, 10,14 milioni. Dunque, un incremento ma a fronte di un accentuato calo della natalità. Restrizioni pandemiche e le misure di contrasto realizzate di cui ultimamente abbiamo avuto contezza del disastro hanno sconsigliato a fa figli. Tirando qualche somma di un tema molto più approfondito, l’invecchiamento della popolazione cinese ha diversi effetti tra cui quelli sull’economia come il calo delle entrate fiscali, l’aumento di pressione sul sistema pensionistico e sul sistema sanitario. Inoltre, invecchiare è un’ineludibilità che può procurare contraccolpi in un Paese gigantesco fortemente motivato al dinamismo ed all’orientamento con fiducia verso il futuro. Ciò che potrà avere ripercussioni interne. ma anche sull’immagine che la Cina offrirà all’esterno nel mondo globale di cui si candida ad essere la guida futura. Superando gli Stati Uniti, aprendo una politica di confronto tra le due superpotenze da seguire con molta attenzione che la Cina ha a più riprese dichiarato di voler perseguire senza prove di forza. Se non fosse costretta.
FONTE:https://lindro.it/cina-tra-calo-demografico-e-confronto-tra-superpotenze/
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