HO UN PROBLEMA
di GIANLUCA BALDINI
Prendo molto – anzi, troppo – sul serio tutto ciò che faccio. Da sempre.
Mi appassiono, mi butto, mi metto in gioco e anche in discussione ogni giorno. Mi dedico con anima e cuore a ciò che mi appassiona (che oggi, incidentalmente, è anche ciò che mi dà da mangiare).
Voi direte: è che problema c’è? C’è che quando dai tutto e profondi il massimo sforzo per dare il meglio (quindi per essere non solo quantitativamente, ma anche qualitativamente adeguato) c’è sempre qualcosa che non va giù a qualcuno.
Io rispetto il lavoro e rispetto ogni individualità, perché sono stato educato al rispetto e perché – non per caso, evidentemente – mi sono formato per educare al rispetto delle diversità.
Quindi sono convinto che il mio problema sorga non già per immaturità o incapacità di accogliere, ma per l’incapacità di adeguamento a un contesto in continua e rapida trasformazione che oggi si vive a scuola.
Eppure, anche se sono convinto di ciò, continuo sempre a rimettermi in discussione, a cercare di capire quando e cosa sbaglio e come correggermi.
Dall’altra parte, invece, trovo a confrontarmi con delle statue di marmo, che non possono essere oggetto di revisioni o aggiustamenti, perché sono i modelli dell’iperuranio, scolpiti dalle mani degli dei.
Allora mi domando: ma se in questo paese sono quarant’anni che le cose vanno a rotoli, se sperimentiamo da quarant’anni una decadenza culturale, una crisi di valori e un disfacimento dei modelli socioeconomici che erano punto di riferimento per il resto del mondo, possibile che nessuno degli attori di questo crollo dell’impero si metta in discussione?
Cioè, è possibile che se da quarant’anni la scuola va a rotoli, la sanità va a rotoli, l’economia va a rotoli, tutte le responsabilità si riversano su chi è appena riuscito a entrare nel mondo del lavoro o su chi è appena nato o magari deve ancora nascere?
Ma una cazzo di responsabilità gli attori del disfacimento se l’assumeranno mai un giorno? Io credo di no, perché non ne sono consapevoli.
E allora credo che il ruolo della mia generazione, la missione di vita di chi ha vissuto come me l’alba di questo secolo stupido, sia quella di alimentare questa consapevolezza. Non già per trovare colpevoli, non siamo alla ricerca di un capro espiatorio.
Vogliamo un cambiamento, vogliamo tornare ad essere uomini liberi, pensanti, dotati di senso critico.
Insomma, ci tocca una vita di sofferenze per gridare al mondo che quelle statue non devono essere abbattute, ma necessitano di una bella restaurata, perché si stanno disfacendo da sole.
Buona giornata a tutti.
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