Parliamo di più della ricchezza
di GLI ASINI (Mikhail Maslennikov)
Molto sappiamo sui bassifondi della società, ma ben poca luce è stata fino ad oggi gettata dalla letteratura economica, politologica e sociologica italiana sui ricchi, un gruppo sociale che ha un’ampia capacità di influenzare le dinamiche sociali e condizionare i processi decisionali. La ragione di un simile gap informativo, che ha visto i ricchi oggetto solo di riflessioni occasionali, va probabilmente ricondotta alla percezione erroneamente diffusa che la ricchezza non rappresenti un problema di rilievo, non quanto la povertà né le distanze economiche che separano gli individui, a prescindere da quanto siano giustificate.
Il recente saggio di Giulio Marcon, Se la classe inferiore sapesse (edizioni People), offre una rara occasione, scevra da qualsivoglia invidia nei confronti di chi occupa posizioni apicali nella società, per approfondire in modo sistematico la questione della ricchezza e dei ricchi nel nostro paese, esaminare i processi alla base di una divergenza marcata nelle traiettorie di benessere dei nostri concittadini e valutarne il grado di accettabilità in base a criteri condivisi di efficienza ed equità. Una prospettiva imprescindibile per chi, a buona ragione, non considera come equivalenti situazioni in cui elevate poste patrimoniali ed alte remunerazioni dipendono da “sforzi” e “bravura” personali (o più in generale da “titolarità di capacità fuori dal comune”) e quelle in cui le stesse sono frutto dell’esercizio di potere indebito o derivano da vantaggi ingiustificabili come quelli legati all’origine familiare.
Attraverso un mix avvincente di digressioni economiche e sociologiche ed esemplificazioni concrete, il saggio tocca diverse questioni rilevanti quando si affronta il tema della ricchezza. Su tutte, chi sono i ricchi, come si diventa ricchi e quali sono gli impatti per la società quando la concentrazione di ricchezza e reddito raggiungono livelli insostenibili.
Protagonisti del libro sono i ricchi di patrimonio nostrani e – coerentemente con lo spostamento dell’origine della ricchezza da patrimonio a lavoro osservabile negli ultimi decenni nel contesto italiano – i working-rich, ovvero gli individui ricchi grazie al flusso di risorse alimentato da un lavoro estremamente remunerativo. Se ne raccontano il vissuto e le frequentazioni, le rappresentazioni della realtà che producono, i gusti, il “consumo vistoso” e le strategie di distinzione sociale volte a rendere noto il prestigio del proprio rango e a consentire il più possibile la propria riconoscibilità agli altri. Rari i casi di austera sobrietà, più consolidato invece uno sfrenato esibizionismo – fatto di jet privati, alberghi di lusso, abiti e borse da decine di migliaia di euro, auto di grossa cilindrata, opere d’arte esposte in casa – che altro non è che la “riaffermazione simbolica di un rapporto di potere, di una gerarchia che stabilisce una forma di dominio che la ricchezza garantisce”.
Il libro esplora le modalità di accesso alle fasce più privilegiate della popolazione alla luce della peculiare natura del capitalismo italiano che con riferimento al controllo di non pochi gruppi industriali o all’accesso alle libere professioni preserva ancora oggi i tratti di un “affare di famiglia”, contribuendo alla bassa mobilità intergenerazionale di reddito, ricchezza, status occupazionale e sociale in Italia. Un ascensore sociale bloccato documentato da innumerevoli ricerche empiriche: nel nostro paese i discendenti delle persone collocate oggi nel 10% più povero, sotto il profilo reddituale, della popolazione avrebbero bisogno di 5 generazioni per arrivare a percepire il reddito medio nazionale. O ancora, i figli dei genitori che appartengono al 20% più povero, sotto il profilo patrimoniale, dei nostri connazionali sono destinati in quasi 1 caso su 3 a restare nello stesso quintile di ricchezza dei genitori e hanno appena il 12% di probabilità di raggiungere il 20% più ricco. Di contro, la probabilità per i figli dei genitori collocati nel 40% più ricco della popolazione di restare nello stesso gruppo di ricchezza sfiora il 60%.
La persistenza dei “soffitti appiccicosi” e la riproduzione delle élite nel passaggio da una generazione a quella successiva – cui il libro dedica ampio spazio – passa per la maggiore capacità di mobilitazione del capitale economico, relazionale e culturale da parte dei ricchi. Maggiori disponibilità finanziarie consentono di sviluppare nei figli dei ricchi attitudini e competenze collegate alla capacità di produrre redditi alti e accumulare fortune elevate senza timore per i costi di eventuali fallimenti. L’accesso a scuole private, prestigiose e costose, garantisce ai figli dei better off percorsi esclusivi di alta formazione, un più robusto sviluppo di competenze cognitive e non, e la contestuale mobilitazione del network di relazioni. Una risorsa fondamentale – quella dell’appartenenza a gruppi ristretti e selettivi, ma anche una barriera per gli outsider – per l’accesso a occupazioni meglio retribuite e migliori percorsi di carriera. Recenti ricerche sull’Italia rilevano come il nostro paese si collochi, nel confronto internazionale, tra le nazioni in cui la correlazione fra origini familiari e retribuzioni lorde dei figli sia forte, anche a parità di titolo di studio conseguito, e il peso delle origini familiari si manifesta in maniera tutt’altro che trascurabile dopo la conclusione del ciclo di studi. In media, il figlio di un dirigente italiano ha, a parità di istruzione, un reddito netto annuo superiore del 17% rispetto a quello percepito dal figlio di un impiegato. Un differenziale spiegabile dall’esistenza di premi di background sociale dal carattere fortemente discriminatorio.
Difficile, date tali “premesse” e il peso della lotteria sociale, assurgere il merito a principio ordinatore di una società giusta. Inconcepibile – senza per altro scomodare riflessioni critiche sulla visione competitiva delle relazioni tra individui – restare abbagliati dall’autoinganno meritocratico come giustificazione morale delle disuguaglianze, spesso adotta dai protagonisti ritratti da Marcon. “Ci vuole un po’ di tutto, ma la base di tutto è soprattutto il merito, la competenza. Ciascuno è fabbro della fortuna di se stesso” – ha argomentato spassionatamente, senza considerazione alcuna per la variabile contesto e le diseguali opportunità di partenza, un concittadino “blasonato”, intervistato dall’autore per un rapporto di ricerca che ha ispirato il libro.
Il saggio permette di seguire linearmente i cambiamenti sistemici che negli ultimi decenni hanno portato a una vistosa “secessione delle élite” e a crescenti sperequazioni economiche e sociali. L’ineluttabilità e la casualità delle disuguaglianze è respinta vigorosamente da Marcon e la responsabilità per l’acuirsi delle disparità è, in modo più che condivisibile, attribuita a scelte di natura politica ispirate dalla dottrina neoliberista.
Alle tre decadi dopo il secondo conflitto mondiale – caratterizzati da obiettivi di policy volti a garantire la piena occupazione, l’equilibrio nei flussi commerciali e il ruolo centrale dello Stato nel mantenimento della stabilità economica – sono succeduti decenni in cui la “direzione cosciente” dell’economia assicurata dall’operatore pubblico e dalle istituzioni economiche è stata osteggiata e sovvertita in nome di una maggiore libertà di mercato, prodromica di un più fervente dinamismo economico, e di incentivi ai ceti più ricchi i cui effetti avrebbero, secondo le rassicurazioni neoliberali, beneficiato congruamente anche i meno abbienti.
Liberalizzazioni, deregulation finanziaria e del mercato del lavoro hanno invece prodotto mutamenti profondi nella distribuzione del potere economico tra proprietà d’impresa e i lavoratori (oggi più individualizzati, meno rappresentati e tutelati), hanno contribuito alla nascita di nuovi monopoli con immenso potere di mercato (e rendite associate), veri e propri emblemi di un capitalismo oligarchico, hanno riorientato le imprese alla massimizzazione degli utili per i ricchi azionisti, a discapito di altri portatori d’interesse e hanno svilito i doveri fiduciari (di olivettiana memoria) del management d’impresa verso la collettività.
Contestualmente – come largamente approfondito nel saggio – i benefici fiscali per persone e imprese più ricche si sono tradotti in un minore “sacrificio” impositivo, in una forsennata e dannosa competizione fiscale internazionale, nell’emergere di una rete globale di paradisi fiscali che permette ai più ricchi di decidere letteralmente se, come, quanto e quando versare la propria quota di imposte. Su scala globale, circa 400 miliardi di dollari all’anno è l’ammontare conservativo delle perdite erariali riconducibili all’occultamento di ricchezza nei centri offshore da parte degli individui più facoltosi o al trasferimento da parte di potenti colossi societari di utili d’impresa da paesi a fiscalità d’impresa medio-alta verso giurisdizioni dal fisco amico. Risorse preziose sottratte caparbiamente – spesso in modo del tutto lecito – a misure di supporto al reddito, al finanziamento di servizi essenziali come istruzione e sanità e altre infrastrutture sociali.
Per chi occupa posizioni sociali apicali la ricchezza è inoltre proxy del potere e della possibilità – ricorda Marcon, esaminando le fattispecie di corruzione, discesa diretta in politica, commistioni istituzionali e condizionamento mediatico – di abusarne per preservare le proprie condizioni di privilegio e interessi, a detrimento della qualità della democrazia, con seri rischi di disaffezione per i suoi istituti da parte di chi viene lasciato indietro o di esasperato avallo a proposte politiche populiste o derive autoritarie.
Affrontando con schiettezza il tema della ricchezza, il saggio di Marcon, lungi dall’ispirarsi a un bieco livellamento sociale, promuove un modello di economia più inclusivo e giusto e di società più eque, mobili e dinamiche in cui “si affermi un benessere equo e sostenibile per tutti e non i privilegi di esigue minoranze”. Una visione di giustizia sociale cui ognuno di noi dovrebbe auspicabilmente aderire e di cui divenire fautore.
FONTE:https://gliasinirivista.org/parliamo-di-piu-della-ricchezza/
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