TETTO AL DEBITO/ E il “sorpasso” della Cina: il problema degli Usa resta aperto
di IL SUSSIDIARIO (Paolo Annoni)
Il tetto al debito Usa verrà con ogni probabilità alzato, ma la sostenibilità della spesa sociale rimarrà un problema, che la Cina sta cercando di risolvere

Oggi la Camera dei rappresentanti americana sarà chiamata ad approvare l’innalzamento del debito pubblico dopo l’accordo raggiunto lo scorso weekend tra il Presidente Biden e lo speaker repubblicano della Camera McCarthy. L’accordo è necessario perché il partito del Presidente in carica controlla solo una delle due camere, il Senato, ma non quella dei rappresentanti. Nelle ultime ore alcuni parlamentari repubblicani hanno criticato l’accordo perché troppo timido nei tagli alla spesa pubblica; qualche perplessità è arrivata anche da alcune frange minoritarie del partito del Presidente che invece avrebbero voluto mantenere i livelli di spesa sociale introdotti negli ultimi anni.
Nel frattempo gli investitori si sono portati avanti; qualsiasi sorpresa dell’ultimo secondo, sotto forma di mancata approvazione o di allungamento dei tempi, troverebbe i mercati impreparati. Lo sforzo bellico in Ucraina, seppure indiretto, è ancora ai massimi e i conflitti geopolitici, con la Cina e non solo, si stanno intensificando. Aggiungere un ulteriore fronte, aprendo una fase di incertezza e instabilità finanziaria, probabilmente non è consigliabile in questa fase. Sullo sfondo c’è poi la campagna elettorale per le presidenziali americane di novembre 2024; qualche giorno fa il Governatore della Florida De Santis ha formalmente annunciato la propria candidatura mentre gli indici di gradimento di Biden sprofondano. È una fase delicata perché nessuno dei due partiti vuole rischiare di vedersi attribuire il default del debito americano.
I democratici faranno di tutto per evitare di presentarsi alle urne con una crisi economica in corso dopo quattro anni di presidenza; il partito repubblicano certamente non vuole passare per il responsabile di una crisi finanziaria dopo tre anni di boom economico alimentato da una politica monetaria e fiscale espansive. I debiti pubblici e la spesa sociale rimangono una questione chiave della discussione politica e finanziaria.
Qualche settimana fa Stan Druckenmiller ha tenuto una conferenza all’Università della California meridionale. Druckenmiller dal 1988 al 2000 è stato il principale gestore di “Quantum Fund”, la società di investimento di Soros, ed è tra gli investitori più quotati in circolazione. Il titolo della conferenza era “l’eccezionalismo americano è a rischio?”. Con toni accorati, Druckenmiller ha spiegato che per garantire l’attuale spesa pensionistica serve o un aumento delle entrate fiscali del 40% oppure un taglio della spesa pubblica del 35%. Un tale aumento delle tasse avrebbe conseguenze pessime per gli investimenti e la crescita. Il buco, secondo l’ex gestore di Soros, vale quasi 8 punti percentuali di Pil e continua a crescere. È interessante che Druckenmiller metta in relazione questo problema con quindici anni e passa di politiche monetarie ultra espansive con cui si è permesso ai Governi di continuare a spendere evitando di fare i conti con i tagli che sarebbero invece inevitabili. Druckenmiller ha spiegato agli studenti che questo tema è almeno importante quanto il cambiamento climatico e soprattutto che “ulteriori ritardi nell’affrontare il fiscal gap” minacciano di “far finire il sogno americano” e di incoraggiare le autocrazie cinesi e russe.
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