Siamo l’acqua che si difende. La battaglia di Sainte-Soline
di GLI ASINI (Borne (la creatura non la prima ministra)
Le immagini della battaglia di Sainte Soline andata in scena il 25 marzo scorso hanno fatto il giro del mondo: 30.000 persone contro l’accaparramento dell’acqua, un enorme bacino artificiale vuoto presidiato da migliaia di gendarmi, una violenza disinibita riversata sui manifestanti, 5.000 granate esplosive lanciate in due ore, due persone tra la vita e la morte, centinaia di feriti.
Il percorso che ha portato a quella giornata mantiene una ricchezza e una vivacità che non sono state cancellate da questa cascata di munizioni poliziesche, e che hanno le loro radici piantate nella storia e nei territori della regione umida del Poitou-Charentes, nell’ovest francese.
L’idea di fondo del progetto in questione è la seguente: si costruiranno dei mega-bacini (o invasi) artificiali dove pompare l’acqua delle falde acquifere nei momenti di abbondanza (cioè durante le stagioni fredde e piovose), in modo da avere una grossa disponibilità in caso di siccità nei mesi successivi. Nei momenti di scarsità d’acqua, infatti, il livello delle falde è troppo basso, incapace di mantenere il flusso necessario all’agricoltura intensiva. Ognuna di queste enormi piscine – ne sono previste 16 di cui due già costruite, nel Deux-Sevres, la regione di Sainte-Soline, ma si parla di centinaia di progetti sul territorio nazionale – porta in superficie 650mila metri cubi d’acqua (260 piscine olimpiche) che possono essere utilizzati dai pochi agricoltori che avranno accesso a questo sistema idrico artificiale, stimati in meno del 5% del totale di tutti gli agricoltori. Insomma, si va a prendere l’acqua nei “serbatoi di scorta” di cui il territorio è naturalmente dotato, si porta più in profondità (letteralmente) la strategia estrattiva, e quindi si scarica l’effetto della siccità su quelle naturali riserve d’acqua che permettono ai terreni delle zone umide di ricostituirsi e non inaridirsi anche se le piogge scarseggiano. In più si espone l’acqua estratta all’evaporazione e alla contaminazione con alghe o batteri, aggravando in questo senso anche l’effetto complessivo delle siccità sulla massa totale di acqua dolce.
Se ci si ferma a questo punto, si è ancora confusi dalla ratio dell’opera, come mai per spostare l’acqua dalle falde in superficie il governo si impegna in un investimento del genere? Parliamo di già quasi 5 milioni di euro per ogni bacino, con i costi destinati a crescere e un investimento pubblico del 70%. La risposta è che solo questi enormi siti di accumulo permettono di mantenere l’irrigazione abbondante necessaria per le coltivazioni intensive cerealicole (in particolare di mais), coltivazioni che costituiscono una fetta fondamentale della produzione francese. Il punto centrale è quindi proteggere, nonostante l’aggravamento dei periodi di siccità, un modello produttivo centrato su agricoltura e allevamento intensivi (gran parte del mais fornisce mangime per gli allevamenti industriali), di mantenere in vita una filiera che è messa in forte dubbio dal cambiamento climatico, oltre che dalle critiche di chi ne conosce l’impatto sui territori nel lungo periodo. Il modello dei mega-bacini è l’espressione piena della logica economica, cioè di un sistema di governo dei territori e delle condotte tramite l’accumulazione e il controllo di risorse.
Insomma, è la stessa crisi climatica che mette in dubbio il modello di gestione sociale della nostra nutrizione e produzione cibaria – le quantità di mais e carne che consumiamo, la fetta di prodotti agricoli destinati all’export, ecc. – ma di fronte a questo crinale storico, il governo francese costruisce violentemente la negazione di ogni possibilità di ripensamento: si va a sottrarre l’acqua da quelle zone di naturale elasticità di cui gli ecosistemi sono dotati, quella ridondanza sotterranea che permette la vita, e la si re-inserisce in un sistema di flussi calcolati.
La logica di accaparramento privato e la logica di amministrazione del territorio nel groviglio di flussi economici globali vanno insieme. La distinzione tra pubblico e privato sfuma perché l’accentramento delle risorse in poche mani è funzionale proprio a una standardizzazione, e quindi un controllo, dei modi di produzione e consumo.
Sollevamenti diffusi
A questo progetto si oppone ormai da anni una coalizione composita: al comitato territoriale Bassines Non Merci si sono uniti la rete Les Soulèvements de la Terre e il sindacato di agricoltori Conféderation Paysanne. Sono i Soulèvements de la Terre (I sollevamenti della terra, nel senso di rivolte) ad aver attirato le ire del ministro dell’interno Darmanin, che ne ha minacciato la scioglimento coatto dopo la manifestazione del 25 marzo. Si tratta di una rete di persone, militanti e collettivi che ha organizzato azioni su più territori in tutta la Francia, con l’obiettivo di creare un effetto di risonanza tra diverse mobilitazioni e di disarmare – cioè sabotare – alcune industrie particolarmente dannose come i cementifici.
https://soulevements.cdn.prismic.io/soulevements/4be77a6a-12aa-4c96-b0ff-0864513bd39b_IMG_0025.MOV: in questo video l’azione recente presso un sito della multinazionale del cemento Lafarge, vicino a Marsiglia: Per i Soulèvements queste industrie sono armi contro il pianeta e quindi parlano di “disarmamento” per le azioni come questa.
Lo spirito che muove questa esperienza è in linea con l’ondata di nuovi movimenti ecologisti che si attivano contro la distruzione del pianeta, ma rispetto a esperienze come Extinction Rebellion ribalta i termini del discorso e cerca di “riportare l’ecologismo sulla terra”: invece che fare del cambiamento climatico il terreno di una contrattazione coi governi – che dovrebbero riconoscerne l’urgenza e agire per mitigarlo – i Soulèvements prendono atto della condizione di devastazione e dei suoi responsabili e costruiscono capillarmente legami tra le lotte locali dentro questo scenario, per creare un rapporto di forze. L’esempio più recente è estremamente chiaro: se alla scarsità d’acqua il governo risponde con un meccanismo di appropriazione privatistico, la battaglia contro i mega-bacini tiene insieme la lotta alla privatizzazione, la salvaguardia degli ecosistemi locali e una via di fuga dai modelli produttivi insostenibili.
Il movimento nasce da alleanze e amicizie che risalgono alla ZAD di Notre Dame des Landes, una zona enorme di terreni occupati da attivistx, militantx e contadinx, che tra il 2007 e il 2017 resistette alla costruzione di un secondo aeroporto per la città di Nantes, vincendo. Dopo l’esperienza della ZAD, l’innesco dei Soulèvements è stato un modo per rilanciare questo percorso politico ibrido, in cui l’ecologismo diventa un linguaggio risonante tra diverse forme di vita, e tra diversi sistemi di abitare la terra. La questione fondiaria infatti è l’altro grande terreno politico che i Soulèvements hanno scelto di affrontare, senza il quale è difficile capire la forza che la mobilitazione contro i bacini ha assunto anche tra i contadini. Si stima che nei prossimi dieci anni il numero di agricoltori attivi in Francia si dimezzerà; questo processo è accompagnato da un continuo tentativo di accaparramento di terreni da parte di pochi forti gruppi di capitale, il modello è ancora una volta già visto: agricoltura intensiva o artificializzazione dei suoli (termine utilizzato in Francia per indicare la cementificazione o destinazione degli appezzamenti di terreno ad attività non agricole). La lotta contro l’accaparramento delle terre e dell’acqua diventa anche lotta per la sopravvivenza di altre forme di agricoltura, di modi di abitare le terre che non sono i più redditizi o economicamente efficienti, e che liberano nuove possibilità proprio perché rinunciano all’ingiunzione alla redditività.
L’organizzazione dei Soulèvements de la Terre funziona per “stagioni”, come quelle del ciclo planetario ma anche come quelle di una serie TV. In ogni stagione alcune mobilitazioni, lotte locali, danno appuntamento a tutto il movimento in un luogo in una data. La coalizione tra lotte diverse permette a tutte di guadagnare in visibilità e di costruire progressivamente un rapporto di forza in proprio favore. Dall’inizio dell’esperienza nel 2021, abbiamo assistito: alla vendemmia selvaggia delle viti del magnate francese Bernard Arnault, contro l’accaparramento delle terre dei grandi gruppi fondiari; alla mobilitazione a Rennes contro l’estensione dello stadio cittadino a discapito delle zone verdi; a varie mobilitazioni contro nuove strade e autostrade previste in territorio francese; al disarmamento di vari siti di produzione del cemento e di un’industria di estrazione della sabbia; ad azioni contro i mega-bacini nella regione del Poitou-Charentes e contro i bacini montani per la creazione di neve artificiale nella zona di La Clusaz; a molte altre, talmente tante che ne abbiamo persino perso il filo.
La quarta stagione si è conclusa con la prima grande manifestazione a Sainte-Soline il 29 ottobre 2022, mentre nella quinta, attualmente in corso, sono previste, nel weekend del 22 e 23 aprile azioni contro il progetto di autostrada A69 tra Castres e Tolosa; il 6-7-8 maggio azioni nella zona di Rouen contro il “serpente di cemento” dei progetti autostradali A133-A134; il 17-18 giugno, nella Val Maurienne, manifestazione montanara contro il progetto del TAV Torino-Lione, sul versante francese.
Non si può dissolvere un’onda di marea
La prima manifestazione di Sainte-Soline dell’ottobre 2022 è l’evento che ha fatto detonare il potenziale di questa coalizione e l’ha fatta conoscere su larga scala. Un successo di partecipazione e un successo di intelligenza tattica che hanno permesso di aggredire il cantiere del mega-bacino di Sainte-Soline, e conquistare una vittoria anche simbolica che si accompagna a mesi di azioni di sabotaggio (fatte anche a piccoli gruppi, fuori dai grandi cortei) contro i cantieri di bacini in tutta la regione. Con una strategia “mordi e fuggi” nei campi attorno ai cantieri, moltiplicando i fronti, gli 8.000 manifestanti hanno eluso l’argine della gendarmeria e invaso la mega-piscina. In quel momento la parola “ecoterrorismo” è stata pronunciata per la prima volta dal ministro dell’interno Darmanin, e la minaccia di scioglimento coatto dei Soulèvements ha cominciato a circolare.
Il 25 marzo a Sainte-Soline la dinamica politica iniziata dai Soulèvements de la Terre ha subìto invece una battuta d’arresto in termini di obiettivi, ma certo non nei numeri delle persone coinvolte. Il proposito di una battaglia simmetrica tra polizia e manifestanti ha consentito alla polizia e al governo francesi – messi alle strette anche da mesi di mobilitazioni contro la riforma delle pensioni e più in generale contro la loro logica di governo – di alzare il livello dello scontro, fino al punto di minacciare la vita di chi li contesta (due persone si sono trovate in pericolo di morte dopo la manifestazione, ed una, Serge, è ancora in coma). Con lo scioglimento formale che potrebbe essere decretato nei prossimi giorni, si apre una fase ulteriore dove i punti di forza di chi è sceso nei campi contro i mega-bacini (e contro gli altri progetti ecocidi) saranno ancora una volta la diffusione e la risonanza.
Diffusione perché si dà una sintonia e un’alleanza tra chiunque contesti la messa a valore della natura, la distruzione del proprio habitat. Risonanza perché il gesto di contestazione, la negazione del governo dell’esistente, diventa una dichiarazione di complicità che è tanto più potente perché si fa progetto senza bisogno di rappresentarsi: le lotte locali tornano al centro, ma non in un senso debole, di costruzione graduale dell’alternativa; bensì legate da un NO condiviso, da un’indicazione destituente che è anche la constatazione di un’alternativa presente. Esiste già un altro modo (una miriade di altri modi) di intendere il rapporto ai mondi, alle terre, che non ha bisogno di spiegarsi ma solo di approfondirsi, di darsi gli strumenti per crescere. La proposta dei Soulèvements in risposta alle minacce di scioglimento del gruppo è stata che chiunque condivide queste sensibilità costituisca dei comitati locali con lo stesso nome, scommettendo sull’inoperosità della dissoluzione dall’alto. Al momento in cui scriviamo non abbiamo certezze sull’evoluzione di questa situazione: mentre la rete di solidarietà e amicizia che circonda i Soulèvements si è mobilitata per creare oltre 200 comitati locali, il governo ha rinviato per due volte la decisione definitiva forse spaventato da questa capacità di attivazione pervasiva (https://gliasinirivista.org/appoggio-a-soulevements-de-la-terre/).
È in quest’aria di complicità naturale che la partecipazione internazionale alle giornate di lotta nell’ovest della Francia è stata numerosa e importante, nonostante il progetto contestato sia legato in modo specifico alla realtà francese. Per la stessa ragione le battaglie di Lutzerath in Germania e della foresta di Atlanta – di per sé legate a progetti locali o al più nazionali – hanno assunto una dimensione internazionale, facendoci sentire una solidarietà istintiva.
La stessa complicità istintiva la si sente anche nella lotta contro un orribile progetto bolognese che sta entrando in queste settimane nella prima fase di cantierizzazione. Ci riferiamo al Passante di Mezzo, il progetto di allargamento del tratto parallelo di tangenziale e autostrada A14 che corre a circa 3km dal centro del capoluogo emiliano e all’interno di alcuni suoi quartieri periferici. Il progetto porta tutte le caratteristiche che abbiamo imparato a riconoscere: affronta il problema della mobilità investendo sull’ampliamento del trasporto individuale su gomma, distruggerà molte delle (poche) aree verdi in città, aggraverà il problema delle polveri sottili e quello delle emissioni in barba alle chiacchiere del Comune di Bologna sull’emergenza climatica e farà tutto questo calando una logica economica di governo sugli spazi di vita di chi abita nell’area bolognese: vai al lavoro, vacci in fretta, vacci da solo, vacci in macchina. Il resto non è essenziale. L’amministrazione della città si riduce a un insieme di fatti collaterali e funzionali allo scorrimento del traffico, alla portata dei flussi logistici.
Non sono state poche le persone partite da tutta Italia per raggiungere Sainte-Soline. Nell’area emiliana questo è successo anche grazie a Sollevamenti della Terra in Marcia (https://sollevamentiterra.noblogs.org), una rete locale che ha scelto un nome analogo a quella francese dopo aver letto le parole che venivano da oltralpe, una rete che unisce comitati e persone in lotta contro molte opere dannose nella zona, dagli hub logistici che cancellano i terreni agricoli nella bassa, agli impianti sciistici (in assenza di neve) sull’Appennino tosco-emiliano, fino al Passante di Mezzo di cui abbiamo appena parlato. Non è quindi un caso se la prima occupazione realizzata a Bologna contro il Passante, iniziata la scorsa settimana, abbia richiamato questa corrente sotterranea in modo esplicito sui suoi muri (per più informazioni su questa occupazione vi invitiamo a visitare il sito di informazioni che hanno messo in piedi: www.murodiviaagucchi.noblogs.org). L’occupazione di via Agucchi si trova su un terreno che sarà espropriato dal comune per costruire un grande svincolo del futuro Passante nel quartiere della Pescarola. Contro questo progetto alcune creature hanno cominciato un’azione diretta che vuole innescarne altre, richiamando alla complicità naturale tra chi vuole interrompere la proliferazione di strade, autostrade, cemento.
La situazione francese degli ultimi mesi lascia sensazioni strane se vista dall’Italia, perché insieme a politiche dure e una repressione violenta vediamo anche una popolazione determinata, che si sente in grado di agire conseguentemente alle proprie convinzioni: per una vita più libera dal ricatto lavorativo, per un rapporto alle terre non estrattivista. La situazione nella penisola sembra estremamente diversa, ma la suggestione che lascia la lotta contro i mega-bacini è quella di un’intuizione comune che può spaccare la coltre di rassegnazione, un gesto che riporta nel presente la possibilità di insorgere perché quella possibilità è pervasiva e dà forma al nostro ambiente naturale.
P.s.: Il 3 maggio, di prima mattina, le forze dell’ordine hanno sgomberato l’occupazione di via Agucchi a Bologna, mettendo così fine a tre settimane di mercati, assemblee, incontri, giochi, feste, avvenuti in quel luogo. Il messaggio mandato dalla giunta di centrosinistra bolognese, dal sindaco Lepore e dalla vicesindaca Clancy, è chiaro: in quello stesso giorno in cui una pioggia battente faceva morti e danni su tutto il territorio emiliano, si è scelto di usare squadre di pompieri per silenziare un’esperienza che diceva chiaramente No alla cementificazione e al progetto di Passante di Mezzo. L’augurio e la convinzione di chi scrive è che lo spirito delle giornate di Agucchi e delle nuove lotte ambientali non nascesse tra quelle mura, ma vi avesse solo trovato temporaneamente riposo. *Continuons le combat*.
FONTE:https://gliasinirivista.org/siamo-lacqua-che-si-difende-la-battaglia-di-sainte-soline/
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