A chi mai interessasse, il link al n. 28 di Riflessioni sistemiche, rivista di studio dell’Associazione Italiana di Epistemologia e Metodologia Sistemiche – AIEMS. A p. 78 un mio contributo che si ricollega ad un articolo più o meno sullo stesso argomento nel precedente numero della rivista. I temi dell’articolo precedente sono brevemente riassunti all’inizio di questo nuovo.
In breve, si segnala l’eccezionalità della transizione storica iniziata settanta anni fa: 1) triplicazione di esseri umani e Stati in soli settanta anni; 2) adozione mondiale generalizzata dei modi e forme dell’economia moderna; 3) formazione di un nuovo livello del sistema mondo in cui la civiltà occidentale -tendenzialmente- contrae il suo peso percentuale in termini demografici, di potenza economica, di potenza geopolitica. La questione dell’equilibrio generale tra sistema umano e pianeta in termini eco-climatici e problema delle risorse è conseguente i primi due punti. Le turbolente questioni geopolitiche, invece, discendono dal terzo.
Tutto ciò pone il problema dell’adattamento che è forse il senso più importante di quella che altrimenti abbiamo chiamato teoria dell’evoluzione ovvero la compatibilità tra tutte le parti di un insieme in un flusso dinamico di tempo. Per le società occidentali, questo verifica adattiva sarà particolarmente problematica.
Per affrontare queste problematicità ci vorrebbero società capaci di manifestare processi di autorganizzazione in quanto proprio la cultura sistemico-complessa nata proprio in osservazione problematiche di questo tipo, a vari livelli, questo ha dedotto dai suoi studi su sistemi complessi e contesti dinamici.
Le nostre società sono ordinate dai fatti economici e questi sono sovraintesi da una teoria basata proprio sulla logica dell’autorganizzazione ovvero la libera dinamica dei mercati che mostra, secondo i suoi teorici, facoltà di intelligenza di processo, la c.d. “mano invisibile”. Si dà per scontato che questo ordine dinamico ordinerà poi in senso positivo anche la società, ma questo “scontato” non lo è affatto. Questa convinzione si basa su un riduzionismo indebito e non sostenibile ed in fondo, mai davvero discusso e sicuramente inverificabile. Nei fatti, le società umane sono molto di più che non la loro forma economica.
Per questo, nell’articolo, ci poniamo il problema di quale sia l’ordinamento naturale di una società umana, rinvenendolo nella politica, non nell’economia, cosa per altro nota dai tempi di Aristotele ed anche prima. Ma da molti altri anche dopo.
Qual è allora la forma di sistema autorganizzato in politica? L’autogoverno dei Molti ovvero la “democrazia”. Non certo quella forma che tale chiamiamo oggi, ma la democrazia reale, una forma da sviluppare progressivamente seguendo, come minimo, un pentalogo di principi illustrati nell’articolo: recuperare tempo per l’attività di autogoverno sottraendolo al tempo di lavoro, porsi i problemi di formazione, informazione, distribuzione, dibattito sulla conoscenza diffusa tra i soci naturali della società. Se i soci del sistema sociale in assetto autorganizzato non hanno conoscenze di ciò che debbono gestire, certo non ci sarà alcuna “mano invisibile” che farà tornare i conti. Non far tornare i conti significa disadattamento ed il fallimento adattivo porta con sé molte disgrazie che sarebbe meglio evitare.
Come si vedrà, abbiamo evitato il lungo elenco dei sogni sul migliore dei mondi possibili (più giusti, più egalitari, più etici, più ecocompatibili, più di qui e più di là) tanto ci sono chilometri quadri di biblioteche a disposizione per farsi idee in merito. Ci siamo invece concentrati sul terribile punto espresso nell’undicesima Tesi su Feuerbach di Marx: come mettere in grado le nostre società di cambiare intenzionalmente.
Ringrazio qui pubblicamente il Presidente di AIMES Sergio Boria per l’invito.
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