La Cina è socialista?
di GABRIELE GERMANI (Pagina FB)
La Cina è socialista?
La domanda non è capziosa, in passato ho sorvolato sulla questione o ho risposto dicendo di “si” senza soffermarmi. Sono le stesse autorità cinesi a parlare di “socialismo di mercato” o “socialismo con caratteristiche cinesi”, parlando sia di un adattamento del marxismo alla loro storia nazionale (e quindi mentalità), sia di una fase di transizione verso forse più mature o complete di socialismo; qui si potrebbe aprire il dibattito sulla rilevanza del mercato (società con o di mercato), sull’importanza del mercato nello stabilire i rapporti di forza e la distribuzione della ricchezza nella società.
Anche i critici del socialismo cinese (o vietnamita, laotiano e in parte cubano per via delle recenti aperture al mercato e alla piccola proprietà privata) riconoscono una distinzione tra le svolte adottate col socialismo di mercato in Cina, Vietnam e Laos e il crollo del socialismo reale in Europa dell’Est e URSS.
Alla peggio, nel primo caso si riconosce in corso una dinamica che sta riportando la borghesia in sella ai rispettivi governi nazionali, ma con dovute differenze: controllo dello stato sul sistema bancario, sulla politica monetaria, uso di queste leve per indirizzare l’economia, proprietà pubblica degli apparati industriali e produttivi ritenuti strategici, in alcuni (questo anche in alcuni Stati africani ex socialisti) cessione della terra in usufrutto, ma non riconoscimento della proprietà privata della stessa.
Nessuno direbbe che in Russia esistano basi simili, tuttavia innegabilmente l’apertura della Cina agli investitori stranieri ha posto le basi per una maggiore penetrazione della borghesia (o se preferite stratificazione sociale); come per l’URSS degli anni ’80, l’apertura ad investitori esteri pone in essere la necessità di assicurare profitti sugli investimenti, generando un pericoloso fraintendimento tra il fine e i mezzi.
A differenza della Russia, la Cina sembra avere ancora una prevalenza del politico sull’economico e l’eventuale restaurazione capitalista è incompleta, al più in itinere.
Gli studiosi cinesi di marxismo parlano di processo e di fase di transizione. La transizione al socialismo implicherà secoli e probabilmente sarà caratterizzata dalla creazione di molte tappe intermedie, da molte false partenze e fallimenti; il processo già in atto, porterà a molte formule intermedie tra capitalismo e socialismo (a posteriori, la stessa Svezia di Palme o la Jugoslavia di Tito possono essere interpretati come altri esperimenti, paralleli a quello sovietico e in finale come fasi di transizione verso altro). Gradualmente da questi esperimenti emergerà probabilmente uno Stato socialista maturo e esente dalle contraddizioni tipiche della società capitalista (ma non privo di contraddizioni in toto).
Per quel che riguarda la Cina è più opportuno immaginarla come un funambolo sospeso tra il predominio del capitale e quello dei lavoratori, una dialettica costante in cui lo Stato cinese viene trasportato ad ondate verso l’una o l’altra parte. Vi sono ancora molte traiettorie possibili per lo Stato cinese, alcune vanno verso il socialismo, altre verso il capitalismo, allo stato attuale è forse meglio attendere prima di pronunciarsi in modo netto.
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