Il colpo di Stato dei militari, gli arresti e l’ombra della Wagner: cosa succede in Niger
di INSIDE OVER (Mauro Indelicato)
Il colpo di Stato in Niger attuato mercoledì 26 luglio dalla guardia presidenziale, potrebbe avere ripercussioni molto importanti sull’intera regione del Sahel. Non solo, ma in gioco ci sono delicati equilibri internazionali che riguardano l’occidente e la Russia. Da qui lo spettro di un nuovo conflitto armato in grado di coinvolgere non solo il Niger, ma l’intera Africa occidentale. Il tutto in un contesto dove già oggi il Sahel si presenta come una delle aree più instabili del pianeta, in cui povertà, terrorismo islamista e organizzazioni criminali stanno prendendo definitivamente il sopravento.
Cosa è successo a Niamey
Tutto è iniziato la mattina del 26 luglio. Fonti locali hanno rivelato la presenza di un gruppo di uomini in uniforme all’interno e all’esterno del palazzo presidenziale di Niamey, capitale del Niger. L’edificio si trova al centro della città, tra le sponde del fiume Niger e il Boulevard de la Republique. Poco dopo, è stato specificato che ad entrare in azione sono stati uomini della guardia presidenziale guidata dal generale Omar Tchiani. Tuttavia, a Niamey la situazione è apparsa tranquilla e con i cittadini che hanno appreso del tentativo di golpe solo dai media. Non sono state segnalate sparatorie e né sono stati registrati momenti di tensione per le strade.
Intorno a metà mattinata, fonti militari regionali hanno confermato l’esistenza di un tentativo di colpo di Stato. In particolare, membri della guardia presidenziale hanno bloccato gli accessi al palazzo presidenziale e hanno tratto in arresto il presidente Mohamed Bazoum. Quest’ultimo poco più tardi ha aggiornato in prima persona sull’evoluzione della situazione tramite il proprio account Twitter. Ha confermato di stare bene ma ha escluso sia le dimissioni che la possibilità di dialogo con i golpisti. Nel frattempo a livello internazionale Bazoum ha incassato la solidarietà e il sostegno di gran parte dei governi, a cominciare da quelli occidentali.
Quando la situazione sembrava entrare in una fase di stallo, nella tarda serata di mercoledì 26 luglio un gruppo composto da dieci militari è apparso in Tv per annunciare ufficialmente la deposizione di Bazoum. Il giorno seguente, a tenere un discorso televisivo è stato invece proprio Omar Tchiani, considerato come vero architetto del colpo di Stato. Tchiani si è autoproclamato a capo della giunta militare di transizione e ha annunciato di aver agito per salvaguardare la sicurezza nel Paese e per l’incapacità di Bazoum di far fronte alle sfide esistenziali per il Niger. La giunta militare ha inoltre imposto il coprifuoco notturno, così come la chiusura delle frontiere e dello spazio aereo.
Il 31 agosto in una dichiarazione all’Afp il partito presidenziale ha confermato che quattro ministri, un ex ministro e il leader del partito di Bazoum sono stati arrestati: “Dopo il sequestro del presidente della Repubblica Mohamed Bazoum, i golpisti ci riprovano e moltiplicano gli arresti illegali”, ha denunciato il Partito nigerino per la democrazia e il socialismo.
Chi sono i golpisti
Non sembrano esserci dubbi sul fatto che il principale artefice del golpe sia proprio Tchiani. Nelle prime ore dell’azione contro Bazoum, cronache locali hanno raccontato della sua personale insofferenza contro il capo dello Stato. Circostanza che deriverebbe dalla volontà di Bazoum di rimuoverlo e di ridimensionare il potere in campo alla guardia presidenziale.
Tuttavia il generale Tchiani non si è mosso da solo. Con lui hanno agito membri di diversi reparti dell’esercito, mentre il giorno successivo all’arresto del presidente Bazoum è stato lo stesso capo di stato maggiore dell’esercito nigerino, Abdou Sidikou Issa, ad appoggiare l’azione promossa dalla guardia presidenziale. Il golpe ha quindi ricevuto il favore dell’intero quadro dell’esercito del Niger, circostanza rivelatasi decisiva per la sua riuscita.
Chi è il presidente deposto
Mohamed Bazoum è stato eletto nel marzo del 2021, in un contesto comunque tutt’altro che stabile. Se infatti da un lato è vero che in Niger, a differenza che nei Paesi vicini, è stata attuata una transizione pacifica e con delle elezioni che hanno garantito un regolare passaggio di consegne, dall’altro però non sono mancate accuse di irregolarità e corruzione. L’esito di quel voto, secondo diverse formazioni di opposizione, era da ritenersi scontato in quanto Bazoum è il fedelissimo del suo predecessore, Mahamadou Issoufou. Sarebbe stato proprio lui a spianare la strada al proprio delfino e a garantirgli una vittoria elettorale ottenuta poi al secondo turno contro un altro ex presidente, Mahamane Ousmane. Da sottolineare poi come lo stesso Issoufou, a pochi giorni dal definitivo passaggio di testimone, è stato vittima di un tentativo di golpe non andato a segno.
L’operato di Bazoum è da considerarsi in continuità con quello del predecessore, con una politica estera considerata molto vicina all’occidente. A testimoniarlo, tra le altre cose, il via libera alla presenza di diversi contingenti stranieri nel territorio nigerino. Oltre ai militari francesi, qui sono stanziati anche soldati statunitensi, tedeschi, italiani e canadesi. Il motivo di una presenza così importante di contingenti internazionali è dovuto alla posizione strategica del Niger nel Sahel: il suo territorio confina con la Libia ed è una vera e propria cerniera tra il nord Africa e l’Africa sub sahariana. I governi occidentali hanno così avviato operazioni volte ad addestrare le forze locali per contrastare l’emersione dei gruppi jihadisti, dei contrabbandieri internazionali e dei gruppi criminali che sfruttano il traffico di esseri umani.
Il Niger è inoltre un territorio ricco di materie prime, a partire dall’uranio. La Francia, ex madrepatria del Niger, importa più di un terzo dell’uranio che serve ad alimentare le proprie centrali nucleari. La politica di Bazoum vicina all’occidente è stata mal vista dai suoi detrattori, anche in considerazione del fatto che essa si è mossa lungo una linea di discontinuità rispetto ai vicini del Mali e del Burkina Faso. Paesi cioè dove la recente presa del potere da parte di giunte militari ha inaugurato politiche più lontane dall’occidente e più vicine alla Russia.
Il nuovo terreno di contrasto tra l’occidente e la Russia
Proprio alla luce della crescente influenza di Mosca nel Sahel, il golpe in Niger potrebbe far diventare la regione come il teatro di un nuovo scontro tra gli interessi occidentali e quelli russi. La Francia, così come gli Usa e l’Ue, non vedrebbero di buon occhio un tentativo di emulazione delle politiche compiute in Mali e Burkina Faso da parte della nuova giunta militare. Il rischio sarebbe quello di un indietreggiamento molto pericoloso nell’intero Sahel, con lo spettro di perdere ulteriore terreno nell’intera Africa occidentale.
Le bandiere russe sventolate dai manifestanti filo golpisti a Niamey, così come da quelli che hanno assaltato sabato l’ambasciata francese, possono essere considerate come l’emblema dell’attuale situazione. In tutto il Sahel negli ultimi anni, complice l’insuccesso delle missioni francesi nel Mali e l’avanzata del terrorismo, la retorica anti Parigi e anti occidentale ha fatto sempre più presa tra la popolazione. L’opinione pubblica in Niger, così come nei Paesi vicini, considera sempre di più la Russia come principale alternativa per smarcarsi dall’influenza occidentale.
Mosca dal canto suo ha detto di essere favorevole allo Stato di diritto. Quello che accade in Niger, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, è “fonte di grave preoccupazione” e le considerazioni del Cremlino sul Paese “non dovrebbero essere messe sullo stesso piano semantico” di quelle fatte dal leader del Gruppo Wagner Yevgeny Prigozhin. Il leader della milizia nei giorni scorsi aveva plaudito al golpe assicurando che i suoi “possono ristabilire l’ordine”. “Siamo favorevoli al rapido ripristino dello stato di diritto nel Paese” e “alla moderazione da parte di tutti”, “vogliamo che il Niger ripristini l’ordine costituzionale il prima possibile”, ha aggiunto Peskov.
Cosa potrebbe accadere adesso
Lo spettro principale riguarda una guerra interna alla regione del Sahel e dell’Africa occidentale. L’Ecowas, l’organizzazione degli Stati dell’Africa occidentale di cui anche il Niger è membro, ha espresso condanna all’azione golpista. L’impressione è che i governi dell’area a sud del Sahel vogliano chiudere con la stagione dei colpi di Stato militari, anche a tutela dei propri già fragili sistemi. La condanna espressa dall’Ecowas ha dato modo a Tchiani di parlare di un piano di invasione orchestrato dall’occidente.
Da parte sua, il capo della giunta militare ha provveduto a sospendere l’export di uranio verso la Francia, confermando la sua presa di posizione anti Parigi e contribuendo a fomentare timori per un’escalation. Lo senario più tetro riguarda quindi una guerra tra due coalizioni di Stati africani: quelli filo occidentali da un lato e quelli filo Mosca (ossia Mali, Burkina Faso e Niger) dall’altro.
Ad ogni modo, Bazoum non sembra essere del tutto fuori dai giochi. Domenica sera è apparso in una foto in compagnia del presidente del Ciad, Mahamat Déby, giunto a Niamey per provare una mediazione. La presenza stessa di Bazoum all’interno del palazzo presidenziale, indica la possibilità di un accordo che salvaguardi gli interessi dei vari attori interni ed internazionali.
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