IL MARINAIO E LA SUPERSTIZIONE
di MARCO TROMBINO
È recentemente comparsa sui media la notizia che i giovani italiani si stanno allontanando dalla professione di marinaio e che è quasi impossibile trovare giovani italiani che vogliano intraprendere le professioni del navigare.
In realtà, se si va a scorrere bene le pagine dei giornali o se si discute a voce coi professionisti di ogni settore lavorativo si scoprirà che i giovani mancano nelle professioni più disparate: non ci sono geometri, non ci sono infermieri, non ci sono medici, non ci sono docenti a scuola. Il motivo alla base di tutto è che non ci sono più giovani italiani: falcidiati in numero dal più basso tasso di fertilità della storia umana (si consiglia un indicativo saggio in merito: Roberto Volpi, “Gli ultimi italiani”, Solferino Ed.), spinti ad emigrare da una retorica globalista che indica loro l’Italia come il paese più disastrato del mondo e l’Europa o l’America come l’eden del XXI secolo, è ovvio che il numero assoluto delle fasce d’età più basse rimaste in patria sia ridotto al ridicolo, e che nemmeno l’immigrazione riesca a compensarne le perdite, specie quando ad immigrare è personale privo di ogni qualifica professionale. Chi si lamenta della mancanza di giovani in settori lavorativi o la smetta di mugugnare, o proponga soluzioni per far sì che le famiglie si rimettano a fare ciò che in qualsiasi civiltà, di qualsiasi epoca e in qualsiasi continente è sempre stato fatto: generare bambini.
Ma l’osservazione più grave pertiene all’assenza di un punto fondamentale nelle critiche di chi urla “non vengono i giovani”: il tema salariale. Quanto viene pagato un marinaio? Qual è lo stipendio di un infermiere? Basta per mantenere dignitosamente sé stessi e la propria famiglia come recita l’art. 36 della Costituzione? Le “leggi di mercato” rivelano di essere una superstizione fasulla proprio in questo contesto: se esistesse il gioco “della domanda e dell’offerta” allo scarseggiare dell’offerta di manodopera aumenterebbero gli stipendi che invece, cifre statistiche alla mano, sono al palo. E il problema non è questo. Il problema è che alle superstizioni delle “leggi di mercato” la maggior parte del pubblico, giovani inclusi, ci crede ancora.
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